Terremoto del 1703, nero lutto e verde speranza

1 febbraio 2018 | 09:00
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Terremoto del 1703, nero lutto e verde speranza
Terremoto del 1703, nero lutto e verde speranza
Terremoto del 1703, nero lutto e verde speranza

«Di rosso, all’aquila coronata ed al volo abbassato d’argento». Rosso e bianco, questi erano i colori civici di L’Aquila, prima del terribile sciame sismico che si abbattè sulla città all’inizio del 1703. Da allora, i colori cambiarono in nero e verde: nero come il lutto per gli oltre 6mila morti su tutto il territorio e verde come la speranza che non ha mai abbandonato i suoi cittadini.

Il terremoto del 1703, la storia.

«La città dell’Aquila fu, non è; le case sono unite in mucchi di pietra, li remasti edifici non caduti stanno cadenti. Non so altro che posso dire di più per accreditare una città rovinata». Così Marco Garofalo, Marchese della Rocca, inviato da Napoli in qualità di commissario straordinario, descriveva al Viceré del Regno di Napoli la situazione a L’Aquila dopo la scossa definitiva del 2 febbraio, il grande terremoto della Candelora, dopo il quale cambiò la storia della città, a tal punto da incidere anche nella durata del Carnevale, diventato il più corto del mondo.

Una delle prime scosse più violente si registrò il 14 gennaio, con «un Tremuoto così violente, – scrissero i magistrati locali nel Ragvaglio relativo alle tristi vicende del 1703 – che fè precipitare nella Città un Campanile, con parte della facciata della Chiesa di San Pietro di Sassa, e parte della facciata di San Quintiano, senz’altro daño, se non che del timore de’ Cittadini». Un terremoto «più gagliardo del primo» si verificò il giorno 16 gennaio e danneggiò molti edifici e chiese.

Il colpo di grazia arrivò il 2 febbraio, quando «replicò il tremuoto, e fù così orribile, che con un breue miserere rouinò la Città». Il quadro rappresentato dal rapporto è raggelante: «Il tremore della medema, li precipitij de gli’Edificij, le grida, i lamenti de’ semi viui, i pianti delli feriti, il timore della morte, e la perdita della luce offuscata per più di due ore, composero in quel momento un tuono d’abisso, e uno spauento infernale; impallidirono i più forti, e rimasero insensati i meno, e tutto spirò orrore, morte, e confusione; cadde la Città, caddero le Chiese, e ogni opra fù coperta dalla desolazione, e miseria, seppellendo sotto monti di pietre tre mila Cittadini d’ogni conditione». Crolli gravissimi si ebbero anche nella basilica di San Bernardino, nella cattedrale di San Massimo e nelle chiese di San Filippo, San Francesco e Sant’Agostino.

terremoto 1703 l'aquila

La gestione dell’emergenza.

Due furono i bandi emanati appena il commissario straordinario giunse in città: coprifuoco, obbligo del lume, dieci giorni di galera ai ladri e apposite licenze per l’estrazione dei cadaveri e per cercare oggetti tra le rovine delle proprie case. Nella piazza di San Bernardino fu allestita una grande baracca per accogliere i feriti. «Fu creato il Gouerno della Città, in luogo delli estinti dal tremuoto. Si cominciarono a disseppellire i morti rimasti sotto le rouine, nelle Chiese, e in altri luoghi; e in quella di S. Domenico (dove vi restarono sepolte da 600 persone in circa) volle assistere l’istesso S. Marchese distribuendo gli altri Sig. Ministri alle altre Chiese. […] Si aprirono alcune strade più principali al commercio, buttando a terra l’auanzo delle muraglie, che minacciauano morte a i passeggieri. Si fabbricarono più forni da cuocer pane, essendo rimasti atterrati quelli che vi erano; e fù prouisto all’abbondanza del pubblico. […] Furono accomodati gli acquedotti, […] si costrussero baracche a poueri necessitosi per difenderli dall’oltraggio del freddo, e si dissimbarazzò la piazza del Duomo».

Lo sciame sismico e la faglia: le analogie con il terremoto del 18 gennaio 2017.

Come spesso accade, anche nel 1703 non si registrò un unico evento sismico, ma la terrà continuò a tremare a lungo: «Innumerabili ne sono successi nello spazio di quattro mesi, che si contano fin d’ora (e siamo a Maggio) dal primo dì che precipitarono; essendosi intesi notte, e giorno, molti scoppiauano, e scuoteuano; altri rimbombauano, e scuoteuano, e altri faceuano tremare la terra, con rimbombi sotteranei caminanti, tenendo in continue agitationi l’umana miseria».

Analogie con il recente passato, poi, sono rintracciabili soprattutto per quanto riguarda il sisma del 18 gennaio 2017, a livello di faglia il più vicino in assoluto a quello del 1703. Si tratta della cosiddetta faglia di Barete-Pizzoli-Arischia, storicamente associata proprio al terremoto dei primi del XVIII secolo che rase al suolo L’Aquila e i centri vicini, causando oltre 6mila vittime.