Di Benedetto, Pd ucciso dalla sua oligarchia

“Le analisi fatte subito dopo prendono anche un pò gli umori quindi bisogna essere riflessivi e capire come rilanciare una proposta politica che ha avuto uno scotto evidente” – comincia Di Benedetto, oggi nei banchi dell’opposizione del comune dell’Aquila.
Si può perdere con un progetto politico serio?
“La politica della contrarietà l’abbiamo scontata all’interno del Partito Democratico. Ci sono state una serie di vicissitudini di cui ognuno di noi deve assumersi responsabilità. C’è bisogno di una forza innovativa, liberale, contemporanea che possa dare entusiasmo. Il Pd è frammentato, ci sono delle differenze che sono state esaltate e non una forza congiunta”.
Di Benedetto ricorda la campagna elettorale delle comunali
“Solo sei mesi fa si sono fatte le elezioni comunali, cosa diversa, così come lo saranno le regionali. Con le politiche non si è capito bene come si è giunti a questo risultato e quale sia stato l’impegno. Ciò che è certo è che il Pd ha bisogno di una svolta e deve capire che un ciclo si è chiuso”.
Renzi e le dimissioni – la spaccatura del Pd – territorio emerginato
“Renzi ha vissuto un momento difficile, era carico di avversari anche all’interno del partito, cosa difficile da sopportare. A livello nazionale il risultato è stato deludente, ma anche in Abruzzo si è sbagliato tutto. Renzi non si è calato con i suoi collaboratori sul territorio, non ha capito cosa stesse accadendo ha ignorato le esigenze dei comuni sono state ignorate. Non si è capito che ci voleva un cambiamento alemeno visivo dei candidati, per esempio non sono stato mai convinto della candidatura di D’Alfonso. E’ stata una gestione oligarchica”.
Da renziano convinto a vittima di una guerra in seno al partito
La massima esaltazione della democrazia è il confronto: misurarsi non significa stare contro. Io ho dovuto fare addirittura le primarie nel mio partito alle comunali. Noi dobbiamo ripartire da un nuovo modo di fare politica. Si deve stare meno sui giornali e più sui problemi.