Messaggio di Pasqua dell’arcivescovo Petrocchi

L’inizio della celebrazione è previsto alle ore 11, meteo permettendo, sul sagrato della Basilica dove saranno benedetti dall’Arcivescovo i rami d’ulivo.
Dal sagrato partirà la processione che rievoca l’ingresso di Gesù a Gerusalemme verso l’altare maggiore della Basilica dove proseguirà la celebrazione eucaristica.
Riportiamo integralmente il messaggio alla comunità ecclesiale per la Pasqua 2018 dell’Arcivescovo di L’Aquila, monsignor Giuseppe Petrocchi.
LIBERTÀ: DONO DELLA PASQUA
Carissime Sorelle e Carissimi Fratelli in Cristo,
durante il tempo di Quaresima mi è capitato di rileggere, con uno sguardo nuovo, l’episodio della tempesta sedata, raccontato nel Vangelo di Matteo (14, 23-32).
Questa meditazione mi ha aiutato ad incontrare più profondamente il Signore, crocifisso-risorto, e a fare un’esperienza più coinvolgente della Chiesa-comunione, fino a sentirmi spinto a ripetere, nei vostri confronti, le espressioni dell’Apostolo Paolo: «siete nel nostro cuore, per morire insieme e insieme vivere» (2Cor 7,3).
È nella luce della Pasqua, perciò, che vorrei condividere con voi alcune riflessioni, cercando di collegare il testo biblico con le
“pagine” della nostra vita.
Come precisa l’Evangelista, i Discepoli affrontano la traversata del lago, che si rivelerà piena di rischi e molto faticosa, non per iniziativa loro, ma per obbedire ad una disposizione di Gesù, che li aveva invitati a precederlo sull’altra riva (v. 22).
Anche a noi può capitare di andare incontro a difficoltà, che si abbattono impetuose sulla nostra esistenza, non per colpa nostra, ma nello svolgimento di impegni a cui siamo tenuti.
Il racconto biblico precisa che, proprio durante questo tragitto – che era iniziato bene – si scatena la tempesta: il brano sottolinea che la barca «era agitata dalle onde: il vento infatti era contrario» (v. 24).
I Discepoli facevano i pescatori di mestiere: dunque, erano esperti nell’arte di navigare su quello specchio d’acqua. Sapevano, perciò, valutare bene la pericolosità della burrasca. Erano pure consapevoli che, quando le condizioni metereologiche si facevano particolarmente sfavorevoli, il lago diventava un bacino molto insidioso.
Immaginiamo gli sforzi messi in atto dai Discepoli per procedere contro corrente, a forza di braccia, perché potevano usare solo i remi; non ci è difficile, poi, intuire la loro paura, di fronte ad avversità che apparivano molto più grandi rispetto alle risorse di cui
disponevano.
Immedesimandoci in loro, ipotizziamo pure un profondo smarrimento, misto forse a un amara delusione, perché si sentivano persi e abbandonati. Infatti, il Signore sembrava assente e lontano, poiché non era entrato con loro sulla barca, ma era salito su un monte, prospiciente la riva del lago, e lassù se ne stava da solo, in disparte, a pregare (cfr. v. 23).
Proprio sul finire della notte, quando i Discepoli erano ormai esausti e i tentativi di mettersi in salvo sembravano destinati al fallimento, Gesù «andò verso di loro camminando sul mare» agitato (cfr. v. 25).
Gesù si mostra così il Signore, che ha il potere di dominare le potenze ostili, e l’Amico fedele, che viene in soccorso di quanti rischiano di rimanere inghiottiti dalle turbolenze della vita.
Egli non ha evitato che i discepoli sperimentassero la tempesta, ma impedito che ne rimanessero sopraffatti.
Questo intervento inedito spaventa i discepoli che, in preda all’ansia e allo sconforto, non riescono a identificarlo. Ma Gesù, che conosce i pensieri e i sentimenti del nostro cuore, ha subito rivolto a loro una parola di rassicurazione: «Coraggio, sono io, non
abbiate paura!» (v. 27).
Tale espressione di prossimità e di conforto, raggiunge anche ciascuno di noi, qui ed oggi.
La fede in Lui, infatti, alimenta il timore, ma scaccia la paura.
Né può essere altrimenti, poiché il timore nasce dalla tensione a non sciupare i “talenti” preziosi, ricevuti da Dio, ed è irrobustito dalla vigilanza, mirata a custodirli e valorizzarli: rappresenta, perciò, una virtù accesa in noi dallo Spirito Santo.
La paura, invece, scaturisce dal fatto che gravitiamo su noi stessi e misuriamo gli eventi solo sulle nostre forze: ecco perché cadiamo facilmente in preda al panico quando ci accorgiamo che le nostre “attrezzature” esistenziali non sono sufficienti per superare le
situazioni negative, che si muovono contro di noi.
La fede ci assicura che il Signore ci accompagna tutti i giorni della nostra vita (cfr. Mt 28, 20) e che sul Suo aiuto onnipotente possiamo contare sempre.
Sta qui il segreto per mantenere intatta la pace del cuore, qualunque cosa accada!
È un insegnamento, questo, che troviamo fortemente marcato anche dal profeta Isaia, il quale afferma: «nella conversione e nella calma sta la vostra salvezza, nell’abbandono confidente sta la vostra forza» (Is 30,15).
Se la nostra fede ha una bassa “caratura”, siamo esposti alle “intemperie” della storia, personale e comunitaria, e le ondate contrarie della vita “squassano” la nostra anima e le tolgono la serenità. Invece, quanto più la nostra fede è adulta e solida, tanto più
restiamo sereni e manteniamo la quiete: non solo “dopo” la tempesta, ma “dentro” la tempesta, se la viviamo nel Signore. Ecco perché, le reazioni, che mettiamo in campo nelle “congiunture” ostili, rappresentano un valido test di maturità spirituale.
Per questo, riadattando un antico proverbio, si potrebbe affermare: “Dimmi come ti comporti, quando sei nei guai, e ti dirò chi sei!”.
Ma riprendiamo il breve commento al brano evangelico. Di fronte alla “apparizione” di Gesù, che viene scambiato per un “fantasma”, Pietro, sconvolto, esclama: «Signore, se sei tu, comandami di venire verso di te sulle acque» (v. 28).
A prima vista, sembra un desiderio paradossale, totalmente al di fuori delle capacità umane, perché, senza l’ausilio di un oggetto galleggiante, il nostro corpo affonda nell’acqua: ma Dio, che rende possibile ciò che per noi è impossibile, offre a Pietro (come a noi!) questa straordinaria opportunità.
Infatti, Gesù, disse: «Vieni!», e «Pietro scese dalla barca, si mise a camminare sulle acque e andò verso Gesù» (v. 29). Dunque, ciò che solo il Signore può fare, lo rende accessibile ai suoi Discepoli; vengono, così, confermate le promesse che ci ha fatto: «chi crede in me,
anch’egli compirà le opere che io compio e ne compirà di più grandi» (Gv 14,14).
Imparare a “camminare sulle acque turbolente”, è una metafora che esprime la graduale abilità ad affrontare e risolvere i problemi, senza esserne catturati e soffocati. Di fronte alle difficoltà, che sembrano più forti di noi, non bisogna scappare e neppure applicare strategie sbagliate: occorre, invece, gestire la mente e le emozioni alla luce del Vangelo e della retta ragione.
L’esperienza vissuta dai Discepoli, in mezzo alla tempesta, rappresenta una fondamentale lezione per tutti. Infatti, capita anche a noi, quando siamo investiti dagli uragani della vita, di restare imbrigliati in una angoscia spirituale e psicologica che ci avvilisce e oscura la via di uscita.
Così non ci accorgiamo che Signore ci raggiunge proprio là dove i problemi sembrano travolgerci: perciò, proprio le sofferenze, che ci hanno messo a dura prova, possono diventare il “luogo” in cui ci è donata la grazia di incontrare Gesù: in modo più vero e più profondo.
Per “camminare sulle acque” – in senso biblico – cioè, per avanzare nella soluzione dei problemi, senza essere trascinati nei gorghi della rabbia o della disperazione, occorre riconoscere il Signore che ci viene incontro e andare verso di Lui, obbedendo alla Sua voce.
Ciò richiede il coraggio di uscire dal guscio della nostra “barca”, che si dimostra inadeguata per salvarci dalla tempesta che si abbatte su di noi: si tratta, cioè, di oltrepassare i nostri schemi usuali di giudizio e di comportamento, che risultano perdenti di fronte alla violenza delle avversità, per entrare in un modo di pensare, di sentire e di agire più conforme al Vangelo.
In sintesi: l’abilità specifica del cristiano sta nel non lasciarsi sommergere dalle acque ostili della vita ma, con l’aiuto della grazia, nel riuscire a “camminarvi sopra”, trasformandole in superficie solida, su cui avanzare “verso” una comunione più piena: con Gesù, con se stessi e gli altri. Ecco il miracolo della Pasqua!
L’impresa, per essere completamente attuata, richiede di rimanere saldi nella fede, altrimenti dal “piano evangelico” si scivola sul livello solo umano, e si sprofonda nei problemi di prima. È quello che accade a Pietro (che ci rappresenta tutti!), il quale «vedendo che il vento era forte, s’impaurì e, cominciando ad affondare, gridò:”Signore, salvami!” E subito Gesù tese la mano, lo afferrò e gli disse: “Uomo di poca fede, perché hai dubitato?”» (vv. 30-31).
Quando, a causa delle nostre fragilità, ricadiamo negli errori da cui ci pareva di esserci affrancati, Gesù ci tende la mano e ci “afferra”, consentendoci – se lo vogliamo – di “essere tirati fuori” dal vortice mortale della tempesta. L’aiuto che Gesù ci offre, attraverso la Chiesa, è la “mano” potente della Parola, della grazia e della comunione fraterna.
Bisogna lasciarsi “afferrare” da Lui, se non vogliamo sprofondare nelle sabbie mobili che ci portiamo dentro, o essere sommersi dalle “crisi” esistenziali che ci sfidano fuori.
Questo “metodo evangelico” funziona sempre, anche nelle peggiori situazioni.
Non si risorge dai naufragi della propria storia se non si accetta, serenamente, che da soli non ci salviamo, ma restiamo intrappolati nelle nostre debolezze Il racconto evangelico si conclude con una frase, carica di consolazione e di speranza: «Appena saliti sulla barca, il vento cessò. Quelli che erano sulla barca si prostrarono davanti a lui, dicendo: “Davvero tu sei Figlio di Dio!” (vv. 32-33).
Se rimaniamo perseveranti nell’ascolto della Parola, nella celebrazione eucaristica, nella preghiera e nell’unità fraterna (cfr. At 2,42), vedremo, con gioia, che tutto passa (anche i venti più minacciosi si placano), ma Dio resta e scopriremo, con una verità più intensa, che solo in Gesù, Figlio di Dio fatto uomo, ci è data la salvezza, spirituale e umana, di cui abbiamo bisogno (cfr. At 4,12).
Va messo in risalto che Gesù “insegna” a Pietro a “camminare sulle acque”, prima di placare la tempesta. È una indicazione importante, che dovrebbe risuonare nelle nostre invocazioni: cioè, prima di chiedere di essere liberati “dalle” difficoltà, è importante domandare, con costanza, la grazia di essere liberi “nelle” difficoltà.
Ciò è possibile perché, nella Sua Pasqua, «Cristo ci ha liberati, perché restassimo liberi» (Gal 5,1): perciò, con l’aiuto dello Spirito, siamo chiamati a comportarci come «uomini liberi» (1Pt 2,16) e «cittadini degni del Vangelo» (Fil 1,27).
È fondamentale ricordare sempre che, secondo il progetto di Dio, è nella Comunità ecclesiale che questi eventi di salvezza possono ri-accadere: “per” noi e “con” noi.
Sappiamo che nella Pasqua di Gesù, la morte è morta: allora viviamo da “vivi”!
Maria: Donna della Pasqua e Madre della Comunione, ci aiuti a perseverare nel suo “sì” crocifisso e risorto, non lasciandoci sviare da niente e da nessuno, perché – ne siamo certi – alla fine è sempre l’Amore che vince!
Con la mia benedizione, che vuole raggiungere tutti e ciascuno.
+ Giuseppe Petrocchi
Arcivescovo