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Lettera dal Cotugno, la vita nel Musp

1 giugno 2018 | 11:23
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Lettera dal Cotugno, la vita nel Musp

Isolati dal mondo, a contatto con gli studenti più piccoli, sballottati da un edificio all’altro. Uno studente del Cotugno parla della soluzione provvisoria di questo anno appena concluso.

“E così è finito anche l’ultimo anno di scuola superiore. Chi l’avrebbe mai detto di finire questo percorso di grande crescita umana e culturale nel corridoio posteriore del MUSP della scuola media “G.Carducci”, sentendosi in un certo senso isolati dal resto del mondo?
Noi del corso B del Liceo Classico, dopo la minaccia del ritorno dei doppi turni, ancora ben vividi nelle nostri menti dall’anno scorso, il primo giorno di scuola abbiamo quasi baciato quell’aula piena di cartelloni colorati che ci è stata assegnata, non ci importava che entravamo da un ingresso dietro al MUSP lontano tre minuti dal cancello, che eravamo divisi dai ragazzini delle medie solo da un muro di cartongesso eretto il giorno prima, che eravamo cinque classi di età differente o che eravamo in quella zona desertica dimenticata da Dio tra Colle Capocroce e Colle Sapone, come ci ha detto una delle nostre docenti: “Non è proprio un luogo ameno, ma ci accontentiamo”. Tanto, come ci avrebbe detto poi la nostra povera Preside Serenella Ottaviano, che quest’anno ha combattuto strenuamente, era “la soluzione provvisoria della soluzione provvisoria”. Non è proprio andata così.
Qualcuno penserà che io stia esagerando a fare del vittimismo e, durante quest’anno, molti mi hanno rivolto questa critica in maniera più o meno velata.

Vaglielo a spiegare a chi ti ha fatto: ”Dai che fra qualche mese ne sei fuori”, che tu aspettavi questo anno da quando alla scuola materna vedevi uscire quelli delle superiori che riprendevano i loro motorini, che ti avevano promesso che quello sarebbe stato il più bello e speciale dei tuoi anni scolastici, che ti senti come se avessi aspettato per tanto tempo una cosa che non è arrivata; per carità, non è che le soddisfazioni non ci siano state: le patenti che sono cominciate ad apparire nei nostri portafogli, i diciottesimi con le peggiori intenzioni, la meravigliosa gita in Grecia dei quinti anni del classico, ma queste soddisfazioni nascono e muoiono all’interno del tuo ristretto gruppo della classe che, per quanto affiatato con tutti i suoi limiti, non dà il vero confronto, evocato anche dai professori, che richiamano alla loro memoria mitiche ricreazioni sotto ai Portici.

Vaglielo a spiegare a chi ti dice che la scuola si fa dappertutto (e ne ho avuto ulteriore controprova qualche mattina fa trovandomi a Colle Sapone e quando il giovedì andiamo a fare ginnastica durante le prime ore alla sede originaria del Cotugno a Pettino per poi essere riportati al Torrione con una navetta), che nella formazione di un adolescente non sono importanti solo le lezioni, ma anche il prima, il dopo e gli intervalli, in cui si rivedono gli amici delle altre scuole, il fidanzato o la fidanzata. Certo, come qualcuno ha sottolineato, si è creato un rapporto quasi familiare fra noi studenti più grandi e i professori, o con la bidella Franca, quella zia-gendarme che magari ti porta il ginseng in classe a fine ricreazione ma è intransigente con chi arriva dall’altra parte della città e magari fa quei cinque minuti di ritardo. Tutto bellissimo sì, ma mi sembrano le stesse consolazioni che si adducevano quando stavamo nelle tendopoli, in una situazione diversa da quella che doveva essere si è puntato sul fatto che stiamo tutti “core a core”.

Vaglielo a spiegare a chi ti continua a ripetere: “Su, ma che vi manca”, che ci manca l’ambiente scolastico vero e proprio, un ambiente fatto di persone che si scambiano idee sullo studio, così come quelli spettegolano e scherzano, ma anche di posti fisici, veri spazi di aggregazione, che già mancavano qui a L’Aquila prima ancora che incominciasse l’infinito dramma della nostra scuola.

A questo riguardo, arrivati a questo punto, è inutile recriminare, è solo auspicabile il fatto di trovare presto una sistemazione degna di questo nome a tre scuole superiori della nostra città (Liceo Classico, Liceo Linguistico, Liceo delle Scienze Umane), in modo che chi arriverà dopo di noi non dovrà fronteggiarsi con queste problematiche, come chi quest’anno ha frequentato la prima classe in quel famoso corridoietto, che, all’interno dell’ambiente scolastico, ha avuto rapporti solo con chi era più grande e ridotti a zero invece con chi come loro si stava approcciando al difficile percorso del liceo classico”.