Caso Eleuteri, quando il dolore riaccende la rabbia

A Settembre la Procura di Rieti ha chiesto l’archiviazione dell’ipotesi di istigazione nel caso del suicidio di Franco Eleuteri. La moglie ha presentato opposizione tramite il legale e continua a combattere con tutti i mezzi a disposizione.
È bastato leggere un articolo sulla condizione dei lavoratori Carrefour perché si riacutizzasse il dolore della moglie di Franco Eleuteri.
Marina Alberti convive da due anni con un dolore sordo, incancellabile, che a volte diventa insopprimibile e necessita di essere elaborato o legittimato in qualche modo.
Neanche due giorni fa Il Capoluogo ha pubblicato l’ultimo articolo relativo alle condizioni dei lavoratori Carrefour dei due punti vendita di L’Aquila, preoccupati per il loro futuro e per la gestione manageriale e del lavoro del colosso francese.
I lavoratori parlano di “lettere di contestazioni a ripetizione, ambiente di lavoro insopportabile e insostenibile e pressioni continue con l’obiettivo di “incentivare” i lavoratori a lasciare l’azienda”.
Il bilancio
Il bilancio riportato dai lavoratori è di: “19 colleghi non più al lavoro, 3 dimessisi, 8 di loro, pur di recuperare serenità personale e familiare, hanno visto la soluzione nell’incentivo all’esodo, 5 sono stati licenziati, 2 purtroppo sono morti e 1 si è suicidato”.
Per quell’1 suicidatosi continua a combattere strenuamente la moglie, Marina Alberti, con tutti i mezzi a disposizione e con un’indignazione senza eguali nei confronti di alcuni episodi.
I brindisi
A Settembre la Procura di Rieti ha chiesto l’archiviazione dell’ipotesi di istigazione nel caso del suicidio di Franco Eleuteri poiché non individuò collegamenti tra il suicidio e il mobbing sul posto di lavoro denunciato dalla moglie.
Archiviazione avverso la quale il legale della donna, l’avvocato Riziero Angeletti, ha presentato opposizione e ha chiesto il trasferimento del caso presso la Procura dell’Aquila.
«In quell’occasione alcuni lavoratori di via Panella hanno addirittura brindato all’archiviazione dell’istigazione al suicidio – racconta ferma Marina Alberti -. Lo so, mi è stato raccontato e ho anche letto su Facebook commenti vergognosi alla cosa, quali ad esempio “Finalmente giustizia”. Giustizia per chi?»
Il capro espiatorio
Poche cose sono giuste in questa faccenda, come ad esempio il licenziamento di Maurizio Panepucci con cui l’azienda ha dichiarato di aver fatto giustizia, secondo il suo punto di vista.
Per “rimediare” alla morte di mio marito è stato licenziato Panepucci che paradossalmente è invece l’unica persona che mi sia rimasta accanto in questi due anni.
Dell’ex direttore di via Panella ed ex capoarea Panepucci il compianto Eleuteri scriveva invece “… è una grande persona: mi è sempre stato vicino, mi ha aiutato in ogni modo, non gli hanno permesso di lavorare… è un grande uomo”.
Maurizio Panepucci ha chiesto il reintegro ed è ancora in attesa della sentenza finale per la riabilitazione: l’ultima udienza del processo c’è stata il 30 gennaio.
Marina continuerà a combattere
«Mi rendo conto che di fronte al nome del colosso francese Carrefour si trovano sempre porte chiuse ma io continuerò a combattere per Franco – prosegue Alberti -. Lo faccio con tutti i mezzi che ho a disposizione: le mie lettere sono arrivate anche in Brasile e a Casablanca, oltre che all’ambasciata francese a Roma e alla direzione generale in Francia.»
«Ho intenzione anche di promuovere una serie di conferenze sul mobbing e sul mobbing legato all’azienda francese e sarò grata a quanti vorranno partecipare o collaborare con me. Voglio che a nessun altro possa capitare quello che è capitato a mio marito.»