


Nel 1971, 48 anni fa, i moti che sconvolsero L’Aquila per difendere il titolo di capoluogo.
Tre giorni di battaglie iniziate proprio il 26 febbraio
Tre giorni di battaglie, iniziati proprio il 26 febbraio, in cui la città fu messa a ferro e fuoco dagli stessi aquilani, con sedi di partito date alle fiamme (dal Pci alla Dc), abitazioni di uomini politici messe a soqquadro, porte dei negozi date alle fiamme, pompe di benzina rovesciate, scontri con migliaia di uomini delle forze dell’ordine, feriti, arresti.

Siamo a L’Aquila, 26, 27 e 28 febbraio 1971: la lotta dei cittadini per far sì che L’Aquila sia il capoluogo di regione passa alla storia col nome di Moti aquilani del 1971.
La regionalizzazione dell’Italia impose la necessità di individuare un capoluogo anche in Abruzzo.
Chi scegliere? L’Aquila, che fino a quel momento era stata il centro storico e culturale della regione, poteva vantare un miglior rapporto con Roma ma l’appoggio dello Stato alla causa aquilana provocò a Pescara nel 1970 numerose insurrezioni (Notti dei fuochi), riaprendo le trattative; Pescara, dal canto suo, era città moderna in rapido sviluppo votata all’industria e al commercio.

Dopo mesi di frenetiche consultazioni, l’allora presidente Emilio Mattucci lesse alla popolazione il neonato statuto: Consiglio e Giunta regionali si sarebbero riuniti sia a L’Aquila sia a Pescara. Alla fine a dar fuoco alla miccia fu un inghippo di vocali, una o scambiata per una e da Emilio Mattucci, che lesse sbagliando “il Consiglio e la Giunta regionali si riuniscono a L’Aquila e Pescara”, anziché “o Pescara”.
Quella fu la scintilla che fece traboccare il vaso; già alcuni giorni prima, infatti, si decise che ben sei assessorati sarebbero stati collocati in riva all’Adriatico e solo quattro all’ombra del Gran Sasso. Il che all’epoca voleva dire posti di lavoro e soldi oltre che potere e campanilismo.

Un anno dopo, il settimanale L’Aquilasette dirà: “Erano fiamme d’amore” e ripeterà in rosso: “Vergogna”.