L’Aquila, Alpino Emidio Vittorini: una tragedia da cui imparare

Partito con l’ARMIR, cadde prigioniero dei russi e morì nel terribile campo 56. Torna a casa l’alpino Emidio Vittorini
Nel pomeriggio di sabato, il soldato Emidio Vittorini, classe 1922, si è ricongiunto con i suoi cari. Il giovane, in forza alla divisione Alpini Julia ed inquadrato nel Battaglione L’Aquila, fu inviato sul fronte russo dove prese parte ai feroci combattimenti che videro impegnati i reparti dell’ARMIR, l’Armata Italiana in Russia, che operava nel settore sud orientale del fronte. Nel 1942 cadde prigioniero delle forze nemiche ed incontrò la fine presso il campo di prigionia di Uciostoje, il terribile campo 56 dove morirono di stenti più di 5000 soldati italiani. Ad essere ricondotta nella natia Preturo, dopo 76 anni, è stata la piastrina di riconoscimento del soldato, ritrovata dall’alpino Antonio Respighi che dal 2009 dedica il suo tempo a riportare a casa i soldati morti in Russia.
Ad accogliere il soldato, le cui spoglie probabilmente riposano nell’enorme fossa comune presso l’ex campo 56, era presente la cognata, la signora Francesca Cicchetti con il figlio Fausto Vittorini insieme ai rappresentanti di tutte le sezioni provinciali dell’ANA. Dopo la Preghiera Dell’Alpino si è tenuto un dibattito che ha visto intervenire il Tenente Colonnello Pietro Piccirilli, Giuseppe Costantini, capogruppo dell’ANA di Preturo, Pietro D’Alfonso, presidente dell’ANA Abruzzo, il consigliere comunale Roberto Jr Silveri, Giampaolo De Rubeis, presidente del comitato organizzatore di Ricordando il Battaglione Alpini L’Aquila, l’avvocato Fabrizio Marinelli ed il giornalista Fulgo Graziosi, direttore della rivista L’Alpino d’Abruzzo.
Sono stati riportati alla memoria gli anni tremendi della seconda guerra mondiale, le speranze e le illusioni di una generazione imbevuta di propaganda nonchè gli atti di estremo coraggio ed abnegazione che contraddistinsero milioni di giovani in divisa
grigioverde che, male armati, furono mandati a combattere una guerra che non era la loro. Se fosse stato presente l’alpini Vittorini avrebbe potuto riconoscersi negli alpini in divisa storica che componevano il picchetto d’onore alla sua piastrina.
Al termine degli interventi la piastrina è stata ufficialmente riconsegnata alla signora Francesca che, nonostante l’età avanzata, ricorda molto bene Emidio, la sua voglia di prendere parte ad una grande avventura e di dimostrare il proprio valore come
uomo in tempi in cui le dimostrazioni di virilità erano tutto per un ragazzo.
IlCapoluogo.it ha avuto l’onore di raccogliere la testimonianza di Francesca Cicchetti.
Signor Cicchetti cosa ricorda di Emidio?
Non dimenticherò mai quei momenti, quando arrivò la lettera di reclutamento in paese c’era un’agitazione generale, erano tanti i ragazzi che dovevano partire tra cui il mio fidanzato Vincenzo e suo fratello gemello Emidio.
Quindi Emidio non è stato l’unico della sua famiglia a partire?
Partì insieme al fratello, erano ragazzi bellissimi, pieni di vita e di entusiasmo, tornò solo Vincenzo e devo ritenermi fortunata per aver potuto riabbracciarlo, tantissime fidanzate non ebbero questo privilegio.
Quali sono state le reazioni emotive di Emidio e Vincenso quando furono reclutati?
Erano entusiasti, due giovani ventenni che andavano a combattere, si vedevano protagonisti di un’impresa avventurosa ma andarono incontro ad una realtà tremenda. Ancora mi ritornano in mente i racconti di mio marito e degli altri pochi reduci superstiti, la guerra è una tragedia, non bisogna mai più fare la guerra. Mai più.
In famiglia si parlava di Emidio?
Certamente, mio marito lo aveva sempre nei suoi pensieri e non le parlo dei genitori. La mamma stringeva spesso al petto una lettera che Emidio inviò dal fronte e ripeteva ossessivamente “Non lo rivedo piu!” Per tanti anni non abbiamo ricevuto
niente di lui, nessuna notizia, nessun conforto.
Una pensione di guerra?
Niente, dei genitori di Emidio ci siamo occupati io e mio marito, dallo Stato non abbiamo avuto niente, neanche una simbolica forma di riconoscenza.
