Monsignor Orlando Antonini, ‘abitare la sofferenza per vincere sulla morte’

Parole di dolore, memoria e voglia di rinascita nell’omelia pronunciata alle ore 10 durante Messa nella chiesa delle Anime Sante all’Aquila da Monsignor Orlando Antonini.
“Abitare la sofferenza per vincere sulla morte”.
Carissimi, abbiamo appena sentito dalla lettera di S. Paolo ai Corinzi che “la morte è stata ingoiata per la vittoria”, vittoria sulla morte che ci è data “per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo”.
Il 14 aprile prossimo, Domenica delle Palme, inizia la settimana santa della passione e della morte di Gesù, che però è finalizzata alla Pasqua, resurrezione di Gesù e dunque resurrezione anche nostra e resurrezione delle 309 vittime del sisma, per le quali compiamo questo rito di suffragio. Inoltre, in uno di questi giorni di Passione il Vangelo ci parlerà di Gesù che risuscita Lazzaro.
Come ha commentato Papa Francesco, al sepolcro di Lazzaro tutto sembrava finito: la tomba era chiusa da una grande pietra; intorno, solo pianto e desolazione. Anche Gesù fu scosso dal mistero drammatico della perdita di una persona cara: il Vangelo dice che «si commosse profondamente», fu «molto turbato» (Gv 11,33), poi «scoppiò in pianto» (v. 35) e si recò al sepolcro «ancora una volta commosso profondamente» (v. 38). È questo il cuore di Dio: lontano dal male ma vicino a chi soffre; non fa scomparire il male magicamente, ma con-patisce la sofferenza, la fa propria e la trasforma abitandola.
È vero, in passato, nella misura che la maturità dei tempi e il grado di approfondimento della fede permettevano, sciagure immani come i sismi distruttori venivano viste quali castigo di Dio per i peccati degli uomini. Lo leggiamo nelle opere storiche dei nostri cronisti, da Buccio di Ranallo nel ‘300 alle relazioni ufficiali sia municipali che statali sul terremoto del 1703. Diciamo pure che, allora, questa lettura dava qualche spiegazione, per quanto errata, al flagello sopravvenuto, sicché in certo qual modo aiutava psicologicamente a farsene una ragione.
Oggi vale quanto in merito papa Benedetto disse nel 2010: “Di fronte alla facile conclusione di considerare il male come effetto della punizione divina, Gesù mette in guardia dal pensare che le sventure siano l’effetto immediato delle colpe personali di chi le subisce, e invita a fare una lettura diversa di quei fatti… In presenza di sofferenza e lutti, di sventure, di eventi luttuosi come i terremoti, vera saggezza è lasciarsi interpellare dalla precarietà dell’esistenza e leggere la storia umana con gli occhi di Dio, il quale, volendo sempre e solo il bene dei suoi figli, per un disegno imperscrutabile del suo amore, talora permette siano provati dal dolore per condurli a un bene più grande”. Non parliamo dunque di castigo, ma al massimo, di avvertimento, di uno scossone che deve aiutare a prendere coscienza della precarietà dell’esistenza, della china materialista, egoista ed edonista su cui magari si sta precipitando, e dell’urgenza di riscoprire la comprensione, la fraternità, la solidarietà.
A ragione, poi, il nostro Cardinale Arcivescovo parla non di ‘terremoto’ ma di ‘terremoti’. Abbiamo subito il terremoto geologico con morte e distruzione delle case, delle chiese e dei monumenti, simbolo della spiritualità e della civiltà del nostro popolo. In merito vada ancora la nostra perenne riconoscenza a tutti gli angeli soccorritori, sia istituzionali sia delle tante organizzazioni di volontariato dalle varie regioni d’Italia, che accorsero con inesauribile generosità ad aiutarci, in uno slancio straordinario mantenutosi tale per mesi e mesi, nonché a Papa Benedetto che ci fu prossimo quel 29 aprile 2009. Ma abbiamo subito un altro terremoto, il terremoto dell’anima che dura ancora, con gravi fratture nelle menti e nei cuori, il trauma di chi è stato sradicato dal proprio nido. Il Signore faccia sentire a ciascuno il suo sostegno! Se dopo 10 anni le ferite stanno guarendo, ne rimangono e rimarranno per tutta la vita le cicatrici.
Parlare di terremoto dell’anima e di necessità di una ricostruzione spirituale e sociale della comunità non significa ovviamente ridimensionare l’urgenza della ricostruzione materiale.
Questa, almeno la privata, sta andando avanti visibilmente. Certo, c’è ancora molto da fare per un più rapido ripopolamento della città e la ripresa in toto delle attività economiche e della vita sociale e culturale normale; obiettivo cui si sarebbe giunti più speditamente se vi fosse stata una normativa meno farraginosa ed una burocrazia più agile di quella in vigore. Ma, come il Cardinale Arcivescovo dice anche nel suo Messaggio, “bisogna riconoscere con gratitudine che molto è stato fatto e si sta facendo”. La bellezza inizia ormai a circondarci, dando senso alle nostre giornate e diventando sana riscoperta d’arte, di tesori nascosti e di beni comuni. Conferisce spazi e luoghi straordinari alla comunità.
Le nostre più antiche vestigia, la nostra storia secolare sono qui, meravigliose, a ricordarci che dobbiamo tutti operare con adeguato senso di responsabilità nel custodirla e nel tramandarla alle generazioni future. La bellezza materiale cura anche le ferite del cuore. I dati dicono, e lo si vede, che la ricostruzione privata è terminata all’80% nella città extra moenia dove abita la maggior parte dei 60 mila abitanti circa del capoluogo, e nel centro storico intra moenia al 70%. Oserei in proposito chiedere alle nostre Anime Sante la semplificazione della normativa per lo sblocco della ricostruzione pubblica, che non si rinvii oltre la ricostruzione delle chiese, luoghi di culto ma anche di riaggregazione sociale e identitaria, la soluzione presso l’UE, non la proroga, del problema della restituzione delle tasse sospese, infine la formalizzazione di una Soprintendenza stabile all’Aquila avente competenza sull’Abruzzo interno (Province di L’Aquila e di Teramo), con quella di Chieti che l’avrebbe sull’Abruzzo costiero.
Eleviamo, carissimi, un’intensa preghiera al Signore per i nostri 309 morti, e domandiamoci anche come loro vorrebbero vederci adesso. Io sono certo che vogliono vederci reagire e rinascere. Reagire come fecero sempre i nostri avi nei terremoti precedenti, trasformando la tragedia in opportunità. Nel 1703 dopo la prima fase di sgomento la reazione fu di grande voglia di rinascita. Ci si sarebbe ad esempio aspettati che, per tema del terremoto, l’edilizia fosse ricostruita in dimensioni minori rispetto a quella abbattuta dal sisma.
Fu il contrario. Guardate le nuove chiese realizzate allora, questa stessa delle Anime Sante. La Confraternita del Suffragio lasciò la piccola chiesa in via Roio ed in memoria delle 3 mila vittime di allora fece realizzare dal 1714 al 1719, dal rinomato architetto romano Carlo Buratti, la cospicua costruzione sacra che oggi ci accoglie dopo un’accurata ricostruzione.
Così lo stesso Duomo, e S. Agostino, S. Marco, S. Domenico, S. Pietro di Coppito prima del ripristino, S. Maria di Paganica ecc.: sono edifici molto più alti e grandi di quelli medioevali crollati, caricati di alte volte in muratura e con l’aggiunta anche di ardite cupole benché poi non tutte realizzate. Con un tipo di ricostruzione del genere gli Aquilani sembra insomma abbiano voluto dare a sé stessi ed al mondo il segno della loro caparbia volontà di ripresa, ad aperta sfida ai terremoti.
Autentiche sfide appaiono appunto questi organismi settecenteschi sia chiesastici che civili per l’ampiezza, la monumentalità, la possanza muraria e di membrature.
Nel ‘700 inoltre, notate, si seppe coniugare la sicurezza con la bellezza, realizzando edifici più solidi di prima ma anche belli. Oggi si rischia spesso, infatti, la sopraffazione della tecnologia, del funzionalismo utilitaristico e del profitto, sull’umanesimo e sui valori antropologici, sociali e culturali: la carenza di sensibilità alla bellezza ne è una delle più evidenti cartine di tornasole.
In tal senso v’è da rallegrarsi che in questa quinta ricostruzione post-sismica, all’Aquila siano entrate in campo Associazioni Culturali come le 11 che con un disciplinare col Comune hanno adottato le mura urbiche come storicamente i castelli fondatori e stano monìtorando il decoro urbano. Una città ben ricostruita e bella sarà anche una città sana, garantirà ai cittadini una più alta qualità di vita, più serena, comunitaria e solidale, assicura la restituzione di centri abitati vivibili in ordine alla ricostruzione spirituale e sociale delle persone ed al recupero della loro armonia psicologica e della loro identità.
E costituisce anche un grande investimento per la stessa ripresa occupazionale ed economica del territorio nella sola risorsa che l’Abruzzo Aquilano e le aree interne della Regione possiedono, natura, arte, cultura.
Carissimi, gli ingredienti che fecero grande il nostro passato e disegnano il nostro futuro li conosciamo: da un lato, il radicamento nella fede in Cristo e nei suoi valori – “Mai un uomo ha parlato come parla quest’uomo!”, abbiamo sentito dal Vangelo – e, dall’altro, il rispetto, l’impegno civico, l’etica, il senso di responsabilità, lo spirito d’intraprendenza che fu dell’Aquila dei secoli d’oro, l’amore alla propria terra e per la propria storia e la dedizione al bene comune.
Chiediamo l’aiuto dei nostri Santi Protettori per il recupero o il potenziamento, in noi, di questi ingredienti. In tal modo il sacrificio dei nostri morti, come detto ancora nella lettera ai Corinzi, “non sarà stato vano”. Per essi versiamo le nostre calde lacrime ed offriamo in questa S. Messa i nostri accorati suffragi, nel segno di Gesù morto ma risorto e di S. Maria del Suffragio.
Amen.