Operaio sbranato dai cani, lo sfogo della vedova dopo patteggiamento

26 giugno 2019 | 10:53
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Operaio sbranato dai cani, lo sfogo della vedova dopo patteggiamento

Operaio 36enne sbranato dai cani: uno degli imputati patteggia 10 mesi. Lo sfogo della vedova di Edmond Preka.

L’operaio edile sbranato dai cani si chiamava Edmond Preka, 36enne di origini albanesi ma trapiantato da anni a L’Aquila, nella piccola comunità di Paganica.

A marzo 2018, mentre stava tornando a casa dopo una lunga giornata di lavoro, è stato aggredito da 3 cani corso padronali, sopraffatto dagli animali è caduto in un ruscello battendo la testa ed è morto annegato.

Per la terribile morte di “Un uomo e un padre esemplare strappato ai suoi cari”, come viene ancora oggi ricordato, c’è un procedimento a carico di due persone: Gianluca De Paulis e Sara Galassi, una coppia proprietaria dei cani.

I due sarebbero responsabili “perché in concorso tra di loro, per colpa, consistente in negligenza e imprudenza, cagionarono la morte di Edmond Preka”, l’ipotesi di reato è cooperazione in omicidio colposo.

Ieri, Sara Galassi, ha chiesto e ottenuto il patteggiamento a dieci mesi di reclusione, con i benefici di legge con il consenso del pm.

Questo beneficio si tramuta in una sospensione condizionale della pena; il patteggiamento in ogni caso “non fa stato” ai fini della richiesta di risarcimento dei danni, già ufficializzata e quantificata in un milione e 300 mila euro.

Nei giorni scorsi il giudice aveva respinto la richiesta di costituzione di uno dei parenti della vittima, le parti ammesse a oggi sono sei.

La difesa sta puntando sul fatto che uni dei due imputati, al momento della tragedia non si trovava in casa per cui non potrebbe essere imputabile a lui, l’omessa custodia dei cani.

Di altro avviso la parte civile, rappresentata dagli avvocati Antonio Pascale e Sonia Giallonardo, secondo cui, “c’è l’obbligo di custodire animali dotati di naturale ferocia. Custodia che incombe sul detentore a qualsiasi titolo e non solo sul proprietario”.

A settembre il dibattito con l’audizione dei testimoni. La difesa è affidata agli avvocati Antonio e Francesco Valentini e Alessandro De Paulis.

Mariana Preka ieri non era presente in tribunale, “non ce l’ho fatta” ha detto e oggi, ha voluto rilasciare al Capoluogo.it, le sue impressioni su questa vicenda, le sue sono parole forti, un grido di dolore dovuto alla mancanza del suo uomo e al fatto che da quasi due anni cresce da sola i due bambini nati dal frutto di questo amore nato che erano poco più che adolescenti.

“Io non ho studiato, per cui non conosco i termini del mio processo, per questo ci sono gli avvocati. Dico solo che non è giusto, praticamente chi paga per la morte di mio marito? Chi doveva custodire quei cani padronali?Non voglio vendetta, ma giustizia, anche perchè nei giorni successivi alla tragedia ho sentito e sono state dette tante cose che mi hanno fatto male!”.

“Nessuno mi ridarà indietro mio marito – si sfoga – nessuna cifra potrà quantificare mai il dolore e il senso di vuoto che mi porto dentro. Sono stata criticata, mi hanno accusata di aver mercificato la mia disgrazia. Nessuno può capire cosa vuol dire vivere sola e crescere due bambini sentendo gli occhi di tutti puntati addosso!”.

“Per cui qualunque tipo di risarcimento, verrà utilizzato per far crescere e studiare i nostri gioielli, come avrebbe voluto mio marito, in modo che potranno avere un futuro migliore del nostro, un futuro che a mio marito è stato tolto, senza una motivazione concreta!”, spiega.

La coppia fino al giorno della disgrazia abitava in un alloggio antisismico del Progetto Case Paganica 2. Oggi, in quella casa decorosa e pulitissima sono rimasti in 3, circondati dal peso dei ricordi, dai tanti disegni che i bambini fanno per il loro papà e con la morsa delle difficoltà del quotidiano.

“Non sono ancora riuscita a trovare un lavoro decoroso e continuativo che mi consentisse quantomeno una certa serenità – spiega la donna – e non ho nemmeno la consolazione di poter andare al cimitero quando voglio per poter piangere insieme al mio amore. Per rispettare i suoi desideri lo abbiamo sepolto in Albania e allora i miei figli fanno sempre un disegno per il loro papà sperando di poterglielo portare presto”.

Una quotidianità che è resa difficile non solo dalle difficoltà materiali ma anche per via delle tante domande che i figli fanno alla loro mamma.

“Mi chiedono in continuazione: perchè piangi? Dov’è papà? Perchè i nostri amici hanno due genitori noi uno solo?E poi sono bambini svegli, ricordano tutto… Nonostante lavorasse tutto il giorno, Edmond era molto presente. In estate ci portava al mare, nel fine settimana facevamo sempre una gita tutti insieme da qualche parte… Adesso non posso, devo fare i conti con la spesa, con le bollette, con le esigenze di due bambini che crescono a vista d’occhio e hanno bisogno di essere come gli altri!”

Un dolore, alleviato nel tempo, dalla presenza discreta e costante della piccola comunità di Paganica, che è stata molto vicina a questo nido “spezzato”.

“Senza l’affetto di tante persone ce l’avremmo fatta. I bambini hanno capito tutto da subito, il maschietto lo ha letto sui giornali e ne hanno parlato anche a scuola, la piccola mi preoccupa di più. Piange, si dispera, e  io non so che cosa rispondere. Continuo anche adesso a svegliarmi nel cuore della notte, sperando che sia un incubo, Poi vedo il suo posto vuoto, i vestiti ancora impilati e stirati nell’armadio. Stringo a me un suo indumento, cercando brandelli del suo profumo, e chiudo gli occhi, sperando almeno di sognarlo”.

E in tanti stanno cercando da quasi due anni di aiutare questa famiglia “spezzata”; ma Mariana non vuole elemosine e pietismi.

“Voglio quello che è giusto e che mi spetta. E un lavoro decoroso, che dia ai miei figli anche il buon esempio per il loro futuro!”.