Sangue infetto, risarcimenti milionari

Sono 19 le famiglie che verranno risarcite i cui parenti sono morti a seguito di trasfusioni con sangue infetto.
Questa la cifra stabilita dal due sentenze del Tar Lazio e dai giudici dell’Aquila in favore di alcuen famiglie i cui parenti avevano confratto dopo delle trasfusioni il virus dell’epatite. Tutte le persone coinvolte sono state contagiate, e sono poi decedute nel corso del tempo e fino ai primi anni Novanta, con il virus dell’epatite C e con il virus dell’epatite B
I casi hanno interessato persone di Avezzano, Celano, Pescina, Luco, San Benedetto dei Marsi e altri centri della Marsica che avevano subìto ricoveri negli ospedali del comprensorio.
Le famiglie marsicane sono state assistite dall’avvocato Berardino Terra.
In tutte le sentenze, i giudici hanno sempre sostenuto e accertato la responsabilità del ministero della Salute, allora ministero della Sanità.
Infatti, già dagli anni Cinquanta, ma in particolare tra la fine degli anni ’60 e i primissimi anni ’70, erano noti agli studiosi, italiani e mondiali, i rischi di malattie infettive, come l’epatite, derivanti dall’uso di prodotti emoderivati, che venivano ricavati da plasma ottenuto da cosiddetti “donatori mercenari” nelle banche del sangue di Paesi – quali l’America latina, l’Asia e l’Africa – ove molto alta era la presenza di soggetti a rischio per le infezioni da Hbv e, in seguito, da Hcv e Hiv.
Per i giudici, il ministero “ha omesso di vigilare sulla sicurezza delle trasfusioni di sangue e della preparazione e distruzione degli emoderivati”.
La responsabilità del ministero è aggravata, poi, dal fatto di “aver consentito l’importazione di grandi quantità di plasma da questi Paesi, limitandosi solo a un mero controllo sui documenti e i certificati di origine che lo accompagnavano, ma disinteressandosi di recepire e introdurre con tempestività i più avanzati metodi scoperti dalla scienza, allo scopo di realizzare l’obiettivo tendenziale di rendere sicuro l’uso degli emoderivati”.
Infatti, si è dovuto attendere soltanto il 1994 “per l’attuazione del primo Piano nazionale del sangue».Da allora i controlli sono stringenti e i rischi ridotti al lumicino.