2 agosto 1980, per non dimenticare la strage di Bologna

Era una mattinata molto calda e la sala d’aspetto della seconda classe della stazione era gremita di gente; c’era chi si incontrava e si rivedeva dopo le vacanze, chi stava partendo per le ferie e chi in stazione come ogni giorno era venuto per lavorarci.
Alle 10,25 i superstiti hanno raccontato di aver sentito questa fortissima esplosione e poi solo macerie, polvere e pianti: un ordigno a tempo, del peso di 23 kg composto da t4, tritolo e gelatinato venne fatto esplodere, causando il crollo di tutta l’ala ovest, causando la morte di 85 persone e la mutilazione di oltre 200.
L’esplosivo era stato posizionato su un tavolino con lo scopo di aumentarne l’effetto.

I soccorsi furono tempestivi e interessarono non solo le forze dell’ordine, ma anche semplici cittadini misero a disposizione ciò che avevano per poter portare il più fretta possibile i feriti negli ospedali.
Al fine di prestare le cure alle vittime, i medici e il personale ospedaliero fecero ritorno dalle ferie, così come i reparti, chiusi per le festività estive, furono riaperti per consentire il ricovero di tutti i pazienti.
In quegli attimi frenetici rimane impresso alla memoria un autobus, il numero 37, che venne coperto pietosamente con dei lenzuoli e al suo interno vennero deposti i corpi martoriati delle persone decedute.

Gli aquilani possono ben capire l’eco di una tragedia avendo vissuto il dramma del terremoto del 6 aprile; ma l’effetto distruttivo del sisma è un fenomeno causato dalla natura ed è impensabile ancora oggi, ricordando quel lontano 2 agosto, come possa l’uomo approvare e mettere in atto una barbarie simile.
Non furono chiare subito le cause, nell’immediato si pensò anche a un incidente casuale, dovuto a una caldaia guasta: ben presto però fu chiara ed evidente la natura dolosa dell’episodio.
I mandanti della strage non sono mai stati identificati.
La sentenza definitiva giungerà solo nel 1995: il 23 novembre, la Corte di Cassazione emisela condanna all’ergastolo, quali esecutori dell’attentato, per i neofascisti dei NAR Giuseppe Valerio Fioravanti e Francesca Mambro, che si sono sempre dichiarati innocenti.
L’ex capo della P2 Licio Gelli, l’ex agente del SISMI Francesco Pazienza e gli ufficiali del servizio segreto militare Pietro Musumeci e Giuseppe Belmonte furono condannati per il depistaggio delle indagini.
Il 9 giugno 2000 la Corte d’Assise di Bologna emise nuove condanne per la stessa motivazione.
Nel 2007 è arrivata anche la condanna definitiva in Cassazione per Luigi Ciavardini, minorenne all’epoca dei fatti, accusato da Angelo Izzo, criminale italiano, noto per il pluriomicidio del Circeo.
Il processo bis, iniziato a marzo 2018, vede alla sbarra l’ex terrorista dei Nuclei Armati Rivoluzionari Gilberto Cavallini, accusato di aver dato supporto alla Mambro e a Ciavardini.

Nel processo in corso nel Tribunale di Bologna si è dimostrato già diverse volte fondamentale l’utilizzo di nuove immagini: in casi più “tecnici”, come quello dell’interruttore trovato ai Prati di Caprara e inizialmente comparato ai materiali sequestrati alla terrorista tedesca di estrema sinistra Margot Christa Frohlich, la cui posizione è stata archiviata nella cosiddetta “pista palestinese”.
La pista palestinese rientra tra le tesi che sono state fatte negli anni: c’è chi ha parlato di un complotto Nato, chi di una ritorsione successiva alla strage di Ustica di pochi giorni prima, chi ha collegato la strage al lodo Moro e alcune tesi vedono un coinvolgimento nella strage di alcuni esponenti della Banda della Magliana.
Sul settimanale di destra L’Italia settimanale venne fornita questa ipotesi, “L’Italia è stata, come tutti sanno, un paese a sovranità limitata […] ora, nel momento in cui, per questioni contingenti […] ha fatto – raramente – scelte che si sono rivelate in contrasto con le alleanze di cui vi dicevo, ha compiuto, detto in termini politico-mafioso-diplomatici, uno “sgarro”. E come nella mafia quando un picciotto sbaglia finisce in qualche pilone di cemento o viene privato di qualche parente (in gergo si chiama “vendetta trasversale”). Così è fra gli Stati: quando qualche paese sbaglia, non gli si dichiara guerra; ma gli si manda un “avvertimento”, sotto forma di bomba, che esplode in una piazza, su di un treno, su una nave, ecc ecc”.
Resta il fatto che il 2 agosto morirono 85 persone, e che ancora oggi l’associazione nata per volontà dei familiari delle vittime, chiede di sapere cosa sia accaduto realmente.
“Possono esserci dei filmati, inediti o privati, che – ha spiegato Paolo Bolognesi, presidente dell’Associazione – potrebbero essere utili perché possono essere d’aiuto per individuare altre persone che, il 2 agosto 1980, erano presenti a Bologna. Molto probabilmente, non c’erano solo quelle tre o quattro persone che sono state individuate, ma sicuramente ce ne erano altre. Stimiamo dalle venti alle trenta persone. È possibile che ci fossero altre persone interessate alla vicenda”.
Persone che, per Bolognesi, erano legate ai “servizi, ad ambienti neofascisti. Secondo noi a Bologna c’era una struttura che ha fatto una cosa del genere. Quello che è accaduto non possono averlo fatto due o tre persone solo. Se seguite il processo a Cavallini, da lì si capisce che ha agito un gruppo”.
Anche la trasmissione Chi l’ha visto, in una delle ultime puntate ha fornito una serie di immagini di repertorio che potrebbero aiutare al riconoscimento di altre persone coinvolte.
I familiari delle vittime a cui è toccato il pietoso rito del riconoscimento hanno ricordato che dei loro congiunti rimaneva poco e niente.
A oggi manca ancora un corpo, quello della povera Maria Fresu, una mamma 23enne che stava partendo per le vacanze con la figlia Angela di soli 3 anni e alcune amiche. Del gruppo sopravviverà solo Silvana Ancillotti.

Il corpo di Maria non è stato mai ritrovato, come se fosse volatizzata; mesi dopo, sotto i rottami di uno dei treni venne ritrovato un piccolo lembo facciale: questo è quello che resta di questa giovane mamma.