Ludopatia, il gioco è bello quando dura poco

Dipendenza dal gioco d’azzardo: analisi del disturbo, i sintomi, la psicologia, la cura. Tutto parte da un vuoto. L’intervista.
Il gioco d’azzardo, secondo i dati riportati da Agimeg, Agenzia Giornalistica sul Mercato del Gioco, ha visto tre province d’Abruzzo su quattro, tra cui L’Aquila, nella top ten delle città italiane con la maggior spesa pro capite per il 2018. I numeri sono rilevanti da anni, soprattutto per i giovani, minori non esclusi. In uno studio del 2008 del CNR sono stati identificati 17 milioni di italiani che avevano giocato almeno una volta, nella fascia d’età compresa dai 17 ai 24 anni. Una tendenza che è andata ad accentuarsi con la diffusione del gioco online, da un lato, e con la progressiva alienazione dei rapporti sociali, dall’altro. Ma perché si gioca?
Ludopatia, il parere dell’esperto
Il Capoluogo ha approfondito il fenomeno del gioco d’azzardo, con la dottoressa Arianna Sirolli,psicologa e psicoterapeuta, specializzata in età evolutiva e in età adulta. Si occupa, inoltre, di psicologia giuridica e di psicologia clinica. Lavora come supervisore clinico all’interno della Case Famiglia per minori Il Volo delle Aquile, Il Nido delle Aquile ed è socia delle associazioni 180 Amici L’Aquila Onlus e Psyplus Roma.
Il punto di partenza è che il gioco d’azzardo patologico costituisce, a tutti gli effetti, una dipendenza. Dato che va riconosciuto da entrambe le parti: dall’eventuale terapeuta e da chi ne dipende. “Negli ultimi sviluppi della nosografia psichiatrica, il gioco d’azzardo inizia a prendere parte dell’insieme dei disturbi. Si parla di gioco d’azzardo patologico e, secondo lo studio dei circuiti che si innescano a livello neuronale, si tratta di un disturbo che attiva le medesime aree cerebrali di ricompensa e astinenza che si attivano durante l’uso e l’abuso di sostanze”.
Il gioco d’azzardo dà una grande adrenalina, “Ti fa sentire onnipotente quando vinci – anche se quasi mai – ed è su quel ricordo adrenalinico di superuomo che si incrociano le situazioni negative di fallimento e impotenza. Queste vengono, a loro volta, superate soltanto tramite la ricerca di quelle emozioni, già sperimentate, che generano una carica del tutto diversa”.
Ludopatia, come si cura?
La principale strada da tentare è la psicoterapia e il primo passo verso la ‘disintossicazione’ da gioco d’azzardo patologico è la consapevolezza. La presa di coscienza di avere un problema che, in quanto tale, va affrontato.
“Il gioco d’azzardo patologico porta a non essere consapevoli del proprio disturbo. Chi soffre di questa dipendenza, infatti, tende a dissociarsi ogni volta che gioca. Si dissocia dalla realtà, dalla quotidianità, dalle relazioni personali. È importante che siano anche i familiari a prestare attenzione ai cambiamenti comportamentali di un congiunto. Un dipendente dal gioco è distratto e facilmente irritabile. Caratteristiche, del resto, che si ravvisano, in generale quando una persona è dipendente da una qualsiasi sostanza”.
Se la terapia, quindi, inizia dalla consapevolezza non può prescindere, però, dal lavoro che il terapeuta imposta con la rete dei familiari.
“Solo le persone vicine a chi è dipendente dal gioco riescono a renderlo consapevole dei gesti che compie e di ciò che sta accadendo. I familiari possono aiutare il dipendente a riallacciare i fili con una realtà quasi perduta, nascosta dal muro del segreto. Colui che sarà, ormai, entrato nel tunnel tenderà a minimizzare, a parlare di passatempi e distrazioni, senza ammettere l’effettivo disagio. È qui che deve subentrare la famiglia”.
Ludopatia e senso del vuoto
Quanto influisce la predisposizione psicologica o un eventuale periodo di fragilità nello sviluppo del disturbo? “Possiamo parlare degli indicatori che spesso accomunano queste persone – spiega la dottoressa Sirolli – ma sarebbe un errore generalizzare. Ogni individuo è a se stante e ogni disturbo è la manifestazione di una struttura di personalità che, in quel determinato momento, ha perso un equilibrio. Quindi sì: si può parlare per certi versi anche di fragilità, ma poi la condizione varia in base alle reazioni di ognuno”.
Tra i dati emerge che a giocare siano soprattutto gli appartenenti a una fascia di reddito che va dai 35mila euro annui in giù. Questo è uno degli indicatori, ma ad accomunare, soprattutto, i soggetti dipendenti dal gioco d’azzardo c’è il vuoto. “Frequentemente si gioca per colmare un vuoto. La ripetizione e la dilatazione dello stato di gratificazione imminente sono una conseguenza diretta dell’esigenza di colmare un vuoto personale. Si posticipano i problemi: è il proprio sistema che viene messo in stand-by”.
Ludopatia a L’Aquila
“A L’Aquila – conclude Arianna Sirolli – mi sono capitati e mi capitano casi differenti e anche piuttosto complessi, in un numero rilevante. In questa città, inoltre, è molto difficile lavorare sul segreto e, di conseguenza, sulla consapevolezza di avere questo problema. Sto seguendo diversi casi da anni e il problema principale, spesso, consiste nel mancato riscontro effettivo del problema”.