Sanita'

Procreazione assistita, il lieto fine di una donna aquilana

Procreazione assistita: il lungo calvario di una coppia aquilana e il sogno coronato dopo tanti anni di attesa.

La procreazione assistita cancella la frase “no, non potrà avere bambini”: poche parole che marchiano la pelle di chi desidera la maternità.

La procreazione assistita è spesso un passaggio difficile che culmina però con una storia a lieto fine.

Come accaduto a una giovane coppia aquilana che per coronare questo grande desiderio si è rivolta al Centro aquilano per la procreazione assistita di recente apertura.

Il Centro di procreazione assistita dell’Aquila è operativo da marzo scorso e si trova dentro l’ospedale San Salvatore; non un semplice reparto, ma una speranza per tante giovani coppie, soprattutto per le mamme, desiderose di completare la loro vita con un bambino.

L’infertilità di coppia è un problema sempre più diffuso; in Italia si parla di un caso su 4, ignote ancora le cause concrete.

A dare una mano alle coppie che si rivolgono al Centro per la procreazione dell’Aquila, il professore Franco Lisi, direttore della struttura, affiancato dalla biologa Carla Tatone e dai professori andrologi Sandro e Felice Francavilla.

Il professor Lisi, che per la procreazione assistita ha diretto diversi centri nella sanità privata, nel 1990 ha fatto parte dell’équipe diretta dal prof. Simon Fishel che ottenne la prima gravidanza al mondo iniettando uno spermatozoo in un ovocita con micromanipolatore.

Franco Lisi di bambini ne ha fatti nascere tanti; la storia che stiamo per raccontare è il “calvario” concluso con una gravidanza di una giovane coppia aquilana.

Lei ha voluto raccontare la sua storia, rimanendo anonima, perchè la gravidanza è ancora agli inizi: questa ragazza, a cui daremo un nome di fantasia non casuale, Anna come la protettrice delle partorienti, vorrebbe accendere nelle donne con problemi analoghi la fiamma della speranza, far capire che non tutto è perduto e che tentare la strada della procreazione assistita non è qualcosa di cui vergognarsi.

È una storia semplice e dolorosa, come tante: una coppia che si ama e che decide di allargare la famiglia.

Quanto è iniziata la ricerca?

“Abbiamo cercato per circa 5 anni di avere un figlio – racconta commossa al Capoluogo.it – all’inizio abbiamo provato, andando avanti si è acceso dentro di noi il campanello d’allarme”.

Questa coppia desiderava tanto un figlio, sarebbe stato il frutto di un grande amore: un bambino è davvero il completamento di ogni bella storia, perchè quando si ama è così, “non solo si condivide ma si accetta e io e mio marito non ci siamo mai lasciati la mano”, spiega.

Questa ragazza, ha cominciato da giovanissima a capire che in lei qualcosa non andava, ma niente di particolare: aveva sin da ragazzina la sindrome dell’ovaio policistico, un problema comune che le ha portato però vari disagi.

“A 15 anni ebbi il primo ciclo mestruale quindi abbastanza in ritardo rispetto alle mie coetanee. Da lì ho iniziato a vedere il ciclo arrivare sempre  più scarso, la comparsa di peli sul mio corpo e questi ritardi prima di 10 giorni poi un mese, due mesi.. Fino ad arrivare a 9 mesi. Impaurita ne parlai con mia madre che mi portó a fare varie visite tra cui un ginecologo ed un endocrinologo, avevo già 17 anni”, ricorda.

Vista la giovane età le fu consigliato semplicemente di prendere la pillola e perdere peso, assicurandola che si sarebbe risolto tutto nel giro di poco tempo.

“Ovviamente mi sono fidata – continua – erano dei medici. Ho continuato a prendere la pillola per 7 anni. Effettivamente i benefici li notai, agli occhi di una semplicissima ragazza vedevo il mio ciclo regolare, la peluria sul corpo svanire, frenata la perdita di capelli. Pensai che allora andava tutto bene!”.

“Dopo questi anni di assunzione di pillola iniziai a pensare che a quel punto forse potesse non servirmi più, ne parlai con il mio medico e mi disse che gli ormoni ormai erano regolarizzati e anche senza pillola avrei avuto una situazione normale come le altre ragazze. In effetti smessa la pillola ho avuto un ciclo regolare per altrettanti 6/7 anni”, spiega ancora.

Ma di figli nemmeno l’ombra, nonostante il ciclo regolare, ma anche in questa occasione arrivarono le rassicurazioni da parte dei medici.

“Ci era stato detto che molte coppie ci mettono di più, che era tutto normale, e ci consigliarono di avere pazienza e continuare a provare”.

Era diventata una sfida per questa ragazza: lei voleva un bambino: “sembrava un girone dantesco: il ciclo c’era, era tutto a posto, ma niente, ogni mese una delusione. Poi a un certo punto cominciò a fare i capricci anche il ciclo, di nuovo ritardi, scompensi, sembrava un incubo senza fine!”.

Di nuovo cicli di visite, pareri di esperti che le danno degli integratori, senza farle esami più approfonditi.

Sono state docce fredde e mesi tristi, dove il ciclo arrivava come una condanna, una spada di Damocle sul collo: “ho pianto tanto, ho sognato culle e bambini da stringere. Un percorso di dolore condiviso con il m io compagno, che come me, condivideva questo desiderio”.

La luce, per questa donna, è arrivata una volta venuta a conoscenza del nuovo Centro per la procreazione all’Aquila.

“Ho preso un appuntamento ma senza metterci tanta speranza, ero talmente avvilita che ci andai sola, senza mio marito, convinta che sarei stata liquidata in dieci minuti come le altre volte”.

Al centro di procreazione l’incontro con quelli che per questa ragazza, Anna, come l’abbiamo chiamata, diventeranno i suoi “angeli custodi”: il professor Lisi e l’infermiera Franca.

“Dopo 5 anni ho toccato con mano l’interesse per il mio caso. Mi hanno capita e ascoltata. Il dottor Lisi è stato il primo e l’unico di una serie di specialisti che mi ha finalmente spiegato che l’ovaio policistico non si cura ma si può tenere sotto controllo e soprattutto cosa fosse questa sindrome e cosa riguardasse, come avrei dovuto cambiare la mia alimentazione e tutta una serie di esami per me e mio marito per capire poi come agire e darci una mano”.

Anna è uscita dallo studio per la prima volta rincuorata: “tornai a casa con tanta gioia nel cuore e una nuova speranza tanto che dissi subito a mio marito che ero sicura che questo dottore ci avrebbe aiutato e ci avrebbe regalato il nostro sogno di famiglia”.

Con le ricerche e i nuovi esami però Anna scopre di avere una tuba chiusa. Il dottor Lisi allora tenta con la stimolazione ovarica, con punture ormonali che avrebbero fatto da “tutor” al suo corpo.

Dopo due tentativi la proposta di provare l’inseminazione intrauterina sempre supportata da stimolazione ovarica e supporto nell’ovulazione.

“Nel frattempo ho perso qualche altro chilo, ho assunto sempre inositolo e acido folico associato a una dieta priva di zuccheri semplici privilegiando carboidrati complessi e integrali ed a tante camminate”, continua a raccontare.

“Da quando mi ha seguito il dottor Lisi ho visto il mio ciclo via via regolarizzarsi a 28 giorni come mai nella mia vita. Questo mi dava speranze che il mio corpo stesse rispondendo”.

“Con l’inseminazione intrauterina abbiamo fatto due tentativi non andati poi a buon fine, un mese abbiamo dovuto interrompere il trattamento perchè purtroppo avevo follicoli solo alla parte con la tuba chiusa e già sapevamo che non avrebbe funzionato. Dopo il dottore mi ha spinta ad un altro tentativo, io ero un po’ scoraggiata, credevo che forse avevo bisogno di altre tecniche che peró attualmente ancora non sono possibili all’ospedale per la mancanza di alcune autorizzazioni”.

Le tecniche a cui questa ragazza fa riferimento sono quelle per la procreazione di secondo livello, quella extra uterina. Mancano le autorizzazioni per partire, che dovrebbero arrivare entro la fine dell’anno.

“Ma che ti vuoi arrendere?” era il messaggio di incoraggiamento che il professore dava ogni volta a questa sua paziente, che stava pensando a un certo punto di mollare.

“Tutti facevano il tifo per me: sembravo un calciatore al suo rigore più importante, supportata da un team di tifosi eccezionali che si trovavano dentro e fuori la mai famiglia”.

Anna mentre racconta queste cose si accarezza la pancia dove adesso dorme tranquillo un bellissimo fagiolino di poche settimane.

“Essere in cura presso questo reparto vuol dire sentirsi coccolata e curata in ogni aspetto anche psicologico; non mi sono sentita mai sola o ignorata, tutti aspettavano prima o poi questa bella notizia e mi invitavano a non mollare. Se non l’ho fatto è grazie a loro, che non mi hanno lasciato mai la mano!”.

Un percorso in salita durato circa 9 anni, dopo un’attesa di oltre 5 anni.

Ma perchè Anna ha voluto raccontare la sua storia?

“Non bisogna mai darsi per vinti e soprattutto bisogna credere nella sanità locale. Abbiamo un’ottima struttura, anche alla portata di tutti. Ho visto tanto amore e tanta professionalità: non siamo numeri ma esseri umani e come tali ci trattano. Mentre ero lì ho visto altre donne come me, per ognuna di loro c’era una buona parola, ci siamo sentite tutte ‘figlie’ di questa famiglia di professionisti”.

“Mi auguro che possa succedere la stessa cosa a tutte le mie ‘compagne di sventura’ che si sono rivolte al professore. Spero inoltre che sblocchino presto anche la situazione per il secondo livello di procreazione, in modo da poter dare una speranza alle circa 50 coppie che oggi sono in lista di attesa”, spiega.

La vita non è facile, ma può essere bellissima. Adesso spero che vada tutto bene, ho davanti altri 8 mesi impegnativi spero passi velocemente il tempo, per poter stringere tra le braccia il nostro bambino, così desiderato, che non solo renderà la vita più bella ma sarà il frutto di un grande amore”, conclude.

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