Processo don Piccoli, la parola ai periti

La parola ai due periti in aula a Trieste per nuove analisi nel processo che vede imputato con l’accusa di omicidio don Piccoli, già parroco a Pizzoli e Rocca di Cambio
Il dottor Aldo Morra è abruzzese, fratello di Giandonato, ex assessore regionale e esponente di Fratelli d’Italia.
I due esperti in aula dove dovranno analizzare e riferire i dati raccolti in questi mesi e rivalutare le cause che hanno portato alla morte di don Giuseppe Rocco, il 25 aprile 2014, a Trieste, in una stanza della Casa del Clero.

Il pm titolare dell’inchiesta è Matteo Tripani e Lucia Baldovin; fanno parte del collegio giudicante Filippo Gullotta presidente, Enzo Truncellito, giudice a latere, Mauro Cechet, Rosella Bravini, Chiara Mur, Patrizia Pellaschiar, Corrado Cadamuro, Antonia Ciaccia, Nevi Calci e GiuseppeVario,giudici popolari.
Il collegio difensivo è composto dagli avvocati Stefano Cesco, del foro di Pordenone e da Vincenzo Calderoni, del foro dell’Aquila. L’imputato ha inoltre nominato come suoi periti Giovanna Del Balzo e il professore Franco Tagliaro, docente presso l’ateneo di Verona.
A don Piccoli, a lungo parroco di Pizzoli e Rocca di Cambio, viene contestato di aver ucciso don Rocco per impossessarsi di una collanina che l’anziano prelato indossava sempre; una tesi più volte smentita durante tutte le fasi di dibattimento.
La collanina di fatto non è mai stata trovata, nonostante le diverse perquisizioni nella stanza dell’imputato che alloggiava come don Rocco all’interno della Casa del Clero.
Durante le fasi del processo anche il “giallo” del cuscino scomparso dalla stanza di don Rocco, presente nelle immagini scattate dai Carabinieri entrati nella stanza il 2 maggio e svanito poi il 3 durante ulteriori rilievi fotografici.
Ad agosto in quella stanza sono entrati anche i Ris per repertare tracce biologiche utili ai fini delle indagini.
I Carabinieri hanno effettuato i primi rilievi diversi giorni dopo la scomparsa perchè in un primo momento era stato constatato un decesso per cause naturali.
Successivamente l’accusa ha sostenuto la morte per soffocamento e/o strangolamento, tanto che era stata rilevata la frattura dell’osso ioide.
Stando all’accusa don Piccoli avrebbe ucciso il prete, lasciando alcune piccolissime tracce ematiche sulle lenzuola.
La presenza delle tracce ematiche è stata spiegata in questi mesi nel corso del processo: il giorno stesso della morte di don Rocco, l’imputato si è inginocchiato a fianco del letto dove era stata composta la salma per sominnistrare l’estrema unzione e la presenza delle tracce a lui riconducibili è legata a una patologia di cui don Piccoli soffriva, che ha determinato la perdita di minime gocce di sangue.
Don Piccoli soffriva all’epoca di una patologia della pelle certificata dal medico che lo teneva in cura; stando alle testimonianze raccolte, questa malattia lo affliggeva da molto tempo, tanto da averne parlato spesso con parenti e conoscenti che hanno confermato.
Le tesi dell’accusa si basano in particolare sulle dichiarazioni rilasciate da quella che è ritenuta dai media la “grande accusatrice” di don Piccoli, Eleonora “Laura” Di Bitonto, perpetua del sacerdote scomparso, la prima a rinvenirne il corpo privo di vita e a chiamare i soccorsi ma anche, come emerso dagli atti, la destinataria di una cospicua eredità costituita da diversi immobili e ingenti somme di denaro che ha poi diviso con alcuni nipoti del sacerdote.
Il caso ha assunto clamore mediatico; durante le udienze è presente in aula la troupe di “Un giorno in pretura” e se ne è occupato anche la trasmissione “Quarto Grado” di Rete4.
Don Piccoli è stato parroco a Rocca di Cambio dal 1993 al 1997 e a Pizzoli fino al 2001, canonico della cattedrale di San Massimo, molto legato all’allora arcivescovo dell’Aquila Mario Peressin.
A Pizzoli ha fatto parlare di se a causa dei rapporti “vivaci” con il sindaco di allora Giovannino Anastasio, esponente della sinistra, che valsero ad entrambi il soprannome di “don Camillo e Peppone”, come i protagonisti usciti dalla penna di Giovannino Guareschi.
Don Piccoli aveva realizzato a sue spese un modernissimo impianto elettronico per il suono delle campane che azionava più volte al giorno provocando l’esasperazione di alcuni cittadini: questa cosa portò nel 2002 a una condanna per disturbo della quiete pubblica e al sequestro dell’impianto.
Non solo, l’anno prima, durante un comizio di Rifondazione a Pizzoli, don Piccoli diffuse dall’impianto canti come “Canzone d’Africa” e “Tripoli bel suol d’amore”, una “bravata” che gli costò una denuncia.
Nonostante questo definì la sede del Comune come “Casa del Popolo” e la giunta comunale un “politburo di brezneviana memoria”, e parlò di “iniziative degne di un gulag sovietico”.
Don Piccoli fu alla ribalta delle cronache anche in occasione dei funerali dell’ultima regina d’Italia, Maria Josè di Savoia, in quanto fu uno dei pochissimi a prendere parte alla cerimonia di tumulazione della salma in qualità di prefetto di sacrestia, nell’Abbazia di Hautecombe in Svizzera.