Le nuove stanze della poesia, Selene Luise

28 novembre 2019 | 09:40
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Le nuove stanze della poesia, Selene Luise

Per le Nuove stanze della poesia, Valter Marcone descrive la giovane Selene Luise.

La poesia di Selene Luise è raccontata dalla penna di Valter Marcone.

Selene Luise Classe 1991. Studia giurisprudenza. Appassionata di letteratura sin dall’infanzia, ama leggere libri di ogni genere. Scrive romanzi e poesie. Dopo IL TOCCO DEL ROVO, uscito nel 2015, LA TERZA IDENTITA’ è il suo secondo libro.

In realtà Selene Luise è molto altro ancora. Cogliamo l’occasione di queste pagine delle Stanze della poesia per ricordare in questa puntata una Selene Luise poetessa che il prossimo sabato 30 novembre, nella libreria Mondadori presso il complesso La Meridiana, presenterà la sua prima raccolta di poesie. Raccolta che viene dopo la pubblicazione di due romanzo “Il tocco del rovo” e La Terza identità.

In una intervista a Filippo Semplici, su Nero su bianco il blog degli scrittori esordienti la stessa Selene afferma “Quando posso, partecipo agli eventi letterari della mia città. Il mio genere preferito è il thriller psicologico, poiché lo ritengo quello più vicino alla vita. Il più adatto per capire e raccontare l’uomo e il mondo in cui vive e agisce. Ho cominciato a scrivere a ventun anni e mi dedico principalmente al romanzo, ma ogni tanto, quando mi vengono degli “attimi di folgorazione” mi diverto a comporre delle poesiole, che chiamo “carmìni”.

Fino a oggi ne ho scritti circa una ventina, di cui una pubblicata su due riviste telematiche IL PRIMATO e TESORI D’ABRUZZO.”(…)” IL TOCCO DEL ROVO, il mio primo romanzo, è nato quasi per gioco, in un periodo non bello della mia vita. Un giorno, mentre facevo pausa tra un paragrafo e l’altro, mi si è affacciata alla mente l’immagine di un ragazzo ustionato, incatenato in una nicchia. Da quell’immagine sono nate mille domande. Tentando di trovare una risposta, è nato un appunto. Da un appunto, una scaletta. Da una scaletta, un testo. A quel punto ho detto: “Ma si, proviamoci. Tanto non lo leggerà nessuno.” Questa frase me la ripeto ancora adesso, ogni volta che mi cimento in una nuova storia. In quella ci ho messo dentro tutti i malesseri di allora, ma anche i sogni e le ispirazioni. Scriverlo è stato un toccasana. “(…)

Poi è venuta “La terza identità” una storia sorprendente scritta con il garbo. Una lettura quotidiana di pensieri, azioni e paesaggi dell’identità da leggere come un breviario quotidiano.

Parlando di Selene poetessa c’è da dire che ci sono storie che restano dentro. Dentro il cuore, dentro la mente, dentro l’anima. In silenzio.

Rimangono celate,indecifrabili ,gelosamente custodite. Vengono qualche volta raccontate al mondo non con le parole ma con i gesti, gli esempi ,i comportamenti, la cura delle relazioni ,l’attenzione alle storie. Ci sono poi storie che nascono per essere direttamente raccontate al mondo solo con la parola. Entrambe queste storie , a modo loro , comunque arricchiscono il mondo e arricchiscono quella sorta di vocabolario, tacito o espresso che alimenta un lessico che ha lo stesso destino (le parole che non ti ho detto, le parole nella bottiglia, ) dei fatti .

Così sentimenti, accadimenti, emozioni, contesti trovano parole e gesti per venire al mondo. Quasi sempre però queste storie sono raccontate in prosa, ovvero con l’arte di costruire buone storie plausibili che consentono di inglobare gli indizi di cui lo scrittore dispone.

Quindi l’arte di investigare le persone, i caratteri, i sentimenti, i fenomeni ,le relazioni, le idee, che si fa narrazione. Una investigazione della realtà, “dell’animo umano” con la chiave del racconto che ricostruisce il passato, stabilisce il presente, e plausibilmente inventa il futuro. Portando tutto a compimento con conferme o disconferme che inglobano ogni cosa della vita vera, vissuta o inventata.

Tutto questo dicevamo i narratori fanno con le parole. Sappiamo che queste parole sono anche il mondo di Selene Luise che ha già dato due prove di questa sua capacità nei romanzi “Il tocco del rovo “ e “La terza identità” . Un mondo che è comparso attraverso queste due prove narrative, che si è affermato con prepotenza e che sicuramente continuerà a dare frutti preziosi. Storie che aprono e chiudono per un tempo lungo il diaframma di una ideale macchina fotografica in un gioco con la luce che in tutti i casi è scoperta , di svelamento .

Ma perché nulla “vada perduto” Selene Luise ha un modo tutto suo di restituire fino in fondo il suo mondo narrativo attraverso la “scoperta” che in questo caso non ha più nulla della prosa ma è movimento imprigionato in un istante ,in una sequenza che è quella della esplosione di voci, colori, odori,sapori . Nasce così per lei l’urgenza di ritrovare in poesia quello che le storie che racconta lasciano lungo la strada della narrazione : ritrovare in poesia quello che diversamente andrebbe irrimediabilmente perduto .

Queste poesie sono anche un modo di “completare le storie”, come dire, chiudere la tensione ,restituire ciò che è andato perduto come diceva Alessandro Manzoni nelle lettere a Monsieur Chauvet a proposito dell’invenzione.

Selene Luise sa bene , da romanziere, come si inventano i personaggi e all’occorrenza sa bene immaginare quello che manca per far risaltare una storia.

Questi versi sono quello che manca ,il completamento delle storie ma anche paradossalmente quello che resta delle storie ,quello che non deve andare perduto.

Nella continua elaborazione del suo mondo narrativo ecco sentimenti, emozioni ,fatti che si condensano e si suggellano non con le parole ma nella parola.

Ovvero si rivelano al mondo con l’immediatezza di una parola che appunto tutto compendia , tutto esprime, ma anche tutto conserva. Certo le storie raccontate da una sola parola sono altro da quelle narrate con costrutti, periodi, paragrafi, capitoli.

Perché sono storie che hanno il senso del dono di sè . Sono per Selene Luise il progetto identitario di un sé esposto in molti modi , (a modo di caledeiscopio; scrive romanzi, scrive recensioni, scrive poesie, partecipa a recital di poesia e prosa ,studia diritto) che non appassiscono ma rinverdiscono continuamente il suo modo di essere.

Dunque le parole da non perdere contenute in queste poesie sono anche quelle con le quali dialoga in molti modi con il mondo “ fuori “ ,con il mondo “altro” con la certezza che esse hanno più forza proprio nei confronti di quel mondo perchè hanno spesso una “piccola scintilla di follia che non va persa ,cosa molto diversa da quella pazzia del mondo che come ella stessa dice: “ … mi etichetta strana/Perché /Invece di una App./Amo mucchi di carta /Quella stessa carta a cui affido/I miei segreti pensieri.”

L’Aquila e gli alpini
L’Aquila,
Piccola città
Ma molto importante
Ballerina
Ma solida
Fredda
Ma calorosa
Il tuo nome
Evoca
Autorità
Forza
Possanza
Tu volavi in alto
Tutte le superavi in bellezza
Poi all’improvviso
Un dardo ti colpì
Cadesti tra i rovi
I tuoi figli
Fuggirono da te
Come cuccioli smarriti
Ma sola non rimanesti
Mani buone
Fasciarono
Le tue ferite
Le tue ali
Però
Sono ancora spezzate
E Dio solo sa
Quando potremo
Di nuovo
Vederti volare
Ciò nonostante
Tu non dimenticasti
Chi dalle carni
Ti tolse
Il sismico dardo
Gli Alpini
Sono tornati
A trovarti
Li hai accolti
Nel tuo grembo
Mille cappelli piumati
Passeggiano
Tra le tue vie
Camper e tende
Sostano nei tuoi spiazzi
Scorrono fiumi
Rossi
Bianchi
E gialli
E la parlata nordica
Va a braccetto
Con quella locale
Ti vestisti
Del patrio vessillo
Il tuo cuore
Batte più forte
Si forte
Che tutta Italia
Lo sente
Tu sei viva
L’Aquila
Mia città
Mia alfa e omega
Mia base
Mio trampolino di slancio

Rialzati
Bella me
Distendi
Le tue ali
E vola
Vola
E non fermarti più

Il mio paese

C’era una volta
Nel cuore di una lingua di terra
Una città

Sopra la città
Un paesino
Dal volto fiabesco

Navigava in un mare d
D’estate
E di inverno
Tra batuffoli di bianco cotone

Suoni di campanelli
Profumo di erba tagliata
Bambini festosi nei vicoli
Case misteriose
Strade acciottolate

Poi una notte
Si prese il sisma
Il mio piccolo paradiso

Ventitré secondi
E tutto scomparve
Lasciando solo
Polvere e sassi

Quel paesino era Roio

Il mio amato Roio
La mia culla
La mia fiaba
Il mio mondo perduto

Inverno

Cammino a tentoni
Su un mucchio di panna
Lo scricchiolio sotto lo stivale
Il vento mi sputa
In faccia
Spilli ghiacciati

Un gelido abbraccio
Tutto avvolge
L’aria è frizzante
Ripulita dal fumo

Piccoli fiocchi bianchi
Formano
Uno spesso strato bianco
Che tutto ricopre
Qual morbido piumone

Perché non anche
Le aquilane ferite?
Perché non anche le cicatrici del cuore?

Cadi, neve!
Fa sembrare
Almeno per poco
Il mondo meno brutto

Milioni di pulviscoli
Danzano
Nell’aria quieta

Un lungo lento
Silenzioso ballo
E’ il riposo del mondo
Shshs