A tre anni dalla tragedia

Rigopiano, la valanga: 29 vittime e la giustizia sepolta

A tre anni dalla tragedia di Rigopiano resta il dolore per le 29 vittime e la rabbia dei familiari per la "giustizia sepolta" tra depistaggi e archiviazioni.

FARINDOLA – A tre anni dalla tragedia di Rigopiano, troppe ferite rimangono aperte. Il dolore per le vittime e la rabbia per una giustizia sepolta dalla stessa valanga.

Erano circa le 17,40 del 18 gennaio 2017 quando partì il primo allarme per la valanga che aveva travolto l’hotel Rigopiano, nell’omonima frazione di Farindola. Un mix letale di abbondanti nevicate e ripetute scosse di terremoto avevano lanciato un micidiale ammasso di neve, ghiaccio e detriti (un intero bosco, diranno poi i soccorritori) contro l’hotel che ospitava 40 persone, 28 ospiti e 12 membri del personale. Una “trappola” che non ha lasciato scampo a 29 persone; gli 11 sopravvissuti, a parte 2 che in quel momento si trovavano fuori dalla struttura, erano tutti al piano terra.

Rigopiano, i soccorsi.

“Si è trattata di un’operazione anomala fin dall’inizio” raccontava a LaPresse Walter Milan, portavoce del Soccorso Alpino. “L’Italia centrale era sotto una nevicata eccezionale da diversi giorni e gli uomini del Soccorso Alpino erano al lavoro, un po’ da tutte le regioni appenniniche, per cercare di raggiungere e portare aiuto ai villaggi isolati. Nel tardo pomeriggio del 18 gennaio, o meglio verso sera, sono arrivate le prime segnalazioni che qualcosa di grave poteva essere accaduto a Rigopiano. Ci siamo messi in marcia, con i fuoristrada, diretti verso l’hotel. Poco dopo Farindola ci siamo trovati incolonnati in un lungo corteo di mezzi che faticosamente tentavano di progredire lungo la strada innevata. Quando è apparso evidente che era impossibile procedere – troppe le auto e la fresa purtroppo ferma e impotente – abbiamo preso una decisione apparentemente ‘folle’. Mettere gli sci e le pelli di foca e proseguire a piedi: noi e alcuni altri soccorritori-alpinisti, coraggiosi, della guardia di finanza […]. È stata una tragedia eccezionale, al di là di ogni immaginazione. Nessuno si immaginava che potesse essere scesa una valanga talmente grande da sradicare un bosco intero e far crollare un hotel di cemento armato come fosse una semplice capanna in legno. Ricordo ancora l’attimo di smarrimento che ci ha percorso quando, nel centro di Penne, abbiamo sentito dalla voce dei nostri ragazzi appena arrivati lassù la frase: ‘È crollato tutto, questa è una tragedia immane’. Abbiamo avuto comunque poco tempo per concentrarci sulle emozioni: la corsa contro il tempo era iniziata: le emozioni sono state messe in secondo piano, concentrati sul lavoro di soccorso in atto, difficile e con molte insidie”. Un lavoro di soccorso difficile e delicato che è riuscito a salvare la vita di 9 persone.

Rigopiano

Rigopiano, una tragedia da non crederci.

Terminate le complicate operazioni di soccorso e la tragica conta delle vittime, è scattata l’inchiesta della Procura di Pescara per accertare le responsabilità per una tragedia di dimensioni enormi. Come se non bastasse, alla prima inchiesta si aggiunse anche quella per depistaggio. Da capire, come prima cosa, come sia stato possibile attivare la macchina dei soccorsi con circa un’ora e mezzo di ritardo rispetto ai primi allarmi. Tra le presunte concause di questi ritardi, emerse subito la vicenda grottesca legata a uno dei tentativi effettuati per lanciare l’allarme e finita in una telefonata assurda con una funzionaria della Prefettura di Pescara che prese l’allarme per uno scherzo: “La mamma degli imbecilli è sempre incinta”. La donna è uscita dall’indagine principale (ma non da quella del Rigopiano bis sul depistaggio) a dicembre 2019. Archiviazione per lei e altri 21 indagati, tra cui gli ex governatori Chiodi, D’Alfonso e Del Turco, vari assessori che si sono succeduti alla Protezione Civile, dirigenti e funzionari. Un’archiviazione che – sostanzialmente –  ha escluso la politica dalle responsabilità sulla tragedia. Restano in gioco solo figure come gli ex sindaci di Farindola, alcuni impiegati dello stesso municipio e il gestore dell’albergo.

Rigopiano, i depistaggi.

A parte l’inchiesta principale, “alleggerita” delle archiviazioni, c’è l’indagine per depistaggio e frode processuale, emersa anche grazie al lavoro del giornalista Ezio Cerasi del TgR Abruzzo, che ha di fatto anticipato gli sviluppi dell’indagine. “Secondo l’accusa formulata dal procuratore capo, Massimiliano Serpi, e dal sostituto Andrea Papalia – ricorda Il Fatto Quotidiano – gli imputati, nonostante fossero stati sollecitati a fornire agli investigatori ogni elemento utile alle indagini, avrebbero omesso di riportare, nelle loro relazioni, le segnalazioni di soccorso che il 18 gennaio 2017, giorno in cui l’hotel fu travolto da una valanga, erano pervenute alla Prefettura di Pescara, in particolare da parte del cameriere Gabriele D’Angelo, una delle 29 vittime. Inoltre ognuno, sempre secondo l’accusa, avrebbe cercato di nascondere agli inquirenti anche i brogliacci con le chiamate in arrivo”. I due procedimenti sono stati riuniti in un unico filone.

Per come si è svolta la vicenda e per i primi passi del percorso processuale, comunque, non è difficile immaginare che per le famiglie delle vittime sotto la neve di Rigopiano sia rimasta seppellita anche la giustizia. Non per questo si arrendono.

rigopiano

Rigopiano, l’ultima denuncia.

“Ho appena depositato in Procura una nuova denuncia, dopo quella del 29 novembre scorso, per chiedere indagini suppletive e ulteriori iscrizioni nel registro degli indagati”. Lo dice all’Adnkronos Gianluca Tanda, fratello di una delle 29 vittime dell’hotel di Farindola e portavoce del Comitato dei familiari. “Si ritiene che gli ultimi accertamenti eseguiti e/o in corso di indagine dimostrino l’esistenza di una volontà collettiva di occultare molti eventi accaduti tra il 16 il 18 gennaio 2017, tra i quali le richieste di soccorso di Gabriele D’angelo”. E ancora: “L’occultamento di tali telefonate avviene – scrive Tanda, assistito dall’avvocato Romolo Reboa – in quanto tutti i protagonisti della vicenda le hanno volutamente ignorate”. Il riferimento è alla “superficialità” con la quale, secondo il fratello di Marco Tanda, gli imputati avrebbero trattato la situazione nella fase dell’emergenza. ‘Che stessero tranquilli al caldo, è stato detto – dice Tanda – tanto lassù hanno tutto’. Quella frase pronunciata da uno degli imputati è fondamentale per dimostrare l’esistenza di una volontà collettiva di non prestare soccorsi e non sgomberare la strada diretta all’hotel Rigopiano”. Impossibile anche ignorare, sempre secondo Tanda, la pec di richiesta d’aiuto arrivata alla Prefettura di Pescara alle 13,40 del giorno della tragedia da parte del gestore dell’Hotel Rigopiano che confermava la situazione di pericolo denunciata da D’Angelo. “La Procura della Repubblica – si legge nella denuncia – dovrebbe valutare come rilevante il fatto che, in questa operazione di depistaggio permanente e continuato, i carabinieri di Penne hanno omesso di trasmettere un documento sicuramente rilevante, e cioè il brogliaccio del servizio svolto dal Centro di Coordinamento del 18 gennaio 2017 nelle ore antecedenti le 18,20, pur – sottolinea Tanda – avendo allegato tutti quelle delle ore e giorni successivi e pur essendo stati espressamente richiesti dalla Squadra Mobile della Prefettura di Pescara”.

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