Cultura

Le nuove stanze della poesia, Vito Moretti

Per l'appuntamento con la rubrica Le nuove stanze della poesia, il ritratto di Vito Moretti, a cura di Valter Marcone.

Per la rubrica Le nuove stanze della poesia il ritratto di Vito Moretti a cura di Valter Marcone.

“Il signore con gli occhiali – scrive Patrizia Tocci – ha gli occhi vispi, dietro le lenti, un bel sorriso sotto i baffi spessi, la zazzera forte e sempre un po’ contestataria. Capace di far fiorire le parole del saluto insieme a quelle dell’allegria, di camminare per i campi della letteratura, zigzagando tra prosa e poesia, senza direzione apparente. Capace di perdersi dentro le parole, disposte in modo così disordinato come oggetti sopra un tavolo di cui però, all’ improvviso, ti fa cogliere I legami. Stabilisce connessioni tra grandi autori della letteratura con piccoli oscuri minori che riporta alla bellezza”.

“Capace di spaziare tra lingua e dialetto con la stessa competenza, misurare con incredibile precisione la parola scritta ma anche lasciarsi prendere da tante parentesi, nel parlato. Capace di scrivere saggi, romanzi, articoli per riviste con la stessa eleganza e perfezione, presentare l’autore sconosciuto con benevolenza o partecipare all’ incontro di critici e letterati. Un uomo così. Uno scrittore, ma soprattutto un poeta. Questa credo sia la tua anima più vera. Lo sguardo del poeta, dietro gli occhiali, diventati ormai parte della nostra faccia, ausilio e difesa. Dietro quelle lenti, sotto quelle lenti hai guardato la vita, radicale nel tuo radicamento e proprio per questo capace di essere universale, per temi, per utopia, per sensibilità. Sei il poeta degli ulivi. Ti ho sempre pensato così, come un ulivo; ben radicato nella tua terra, in San Vito Chietino e nell’Abruzzo, ma con tanti rami che guardano oltre”.

“Un poeta della parola distillata, nella cura con cui tornisci un verso, tutti i versi. Nella molatura fine della parola che dialoga con la Poesia. Quella delle pietre e del muschio, quella delle colline e degli uliveti, quella dell’utopia che i tuoi versi sanno ancora cullare, quella delle parole ancora umane, degli affetti , nella sostanza delle cose”.

E’ un ricordo di Vito Moretti recentemente scomparso che Patrizia Tocci affida a Facebook in occasione della presentazione a San Vito Chietino de La luna sui tetti pubblicato con Tabula Fati, che chiude la trilogia morettiana.

“La luna sui tetti”, completa la trilogia iniziata con “Le ombre adorne” e proseguita con “La misura dei passi”: tre libri sulle dinamiche e sugli svelamenti dell’identità in un mondo – il nostro – che cambia rapidamente e che impone confronti e nuove congetture, chiarezze ideali e necessità di presagire e – talvolta – di respingere e censurare; un’identità, che si mostra – e che anche si consolida – sulla intuizione della bellezza e sulla misura del tempo, sul coraggio della felicità e sull’avventura del pensiero, sulla trepida tenerezza dei sentimenti e sul respiro lungo degli affetti.

Vito Montagnoli a proposito di alcune opere poetiche così ne parla: “Di Vito Moretti ho avuto occasione di leggere La polvere sul cucù, una raccolta di racconti sulla grandezza degli umili e Luoghi, una silloge poetica frutto di impressioni di viaggio. In entrambi i casi mi sono trovato di fronte a opere di gradevole lettura, per niente superficiali, ma che, senza approfondimenti eccessivi, tuttavia lasciano qualcosa dentro di sé, un incisione lieve, ma senz’altro duratura. Indubbiamente l’autore ha un talento innato, impreziosito dagli anni di studi e probabilmente anche dalle esperienze maturate in qualità di docente universitario”.

“Le cose, altra raccolta poetica, parte da un presupposto imprescindibile e di cui spesso nemmeno ci accorgiamo: gli oggetti, per loro natura inanimati, arrivano a un momento che diventano cose, cioè ricordando fatti ed eventi del nostro trascorso finiscono con l’essere parte inscindibile dall’esistenza stessa. Gli oggetti sono amorfi, si considerano per la loro funzione, ma nel momento in cui, invecchiando con noi, sono capaci di suscitarci la memoria acquistano come un’anima, diventando appunto cose”.

“La penna con la quale si è scritta la prima lettera d’amore, il divano sul quale ci si scambiate le prime affettuosità, lo scalcinato ombrello con il quale, stretti stretti, ci si è riparati dalla pioggia e via dicendo, diventano parte di noi stessi, ricordano e rievocano, sono testimoni della nostra esistenza (Ogni cosa, tutto / mi pare perfetto, / il nespolo che resiste / al gelo, la collina / che cala nel suo buio, / il fuoco che arde per me / e per il cane, la via / che si è fatta deserta./ Anche il vetro è uno spolvero / d’umido che lascia lontane / le ore, e la casa é / la memoria che vi abita / le pietre di una torre / cresciuta fino al cielo).

Le cose hanno un linguaggio pertanto, un linguaggio per ognuno di noi, per le sensazioni che ci fanno rivivere, per le emozioni che ci fanno riprovare (Tutto ha il suo richiamo, / un modo di ripetersi / nella cavità della conchiglia, / un brusio che parla di intrecci / e di comete. /….).

Dopo alcune “plaquettes” (riproposte nel vol. Una terra e l’altra. Ristampe e inediti. 1968-1979, a cura di Massimo Pamio, Pescara, Tracce, 1995), Vito Moretti ha pubblicato N’andìca degnetà de fije (ediz. premio, Catanzaro, 1984), La vulundà e li jurne (Roma, Ediz. dell’Ateneo, 1986), Temporalità e altre congetture (Bologna, Cappelli, 1988), Déndre a na storie (Firenze, Editoriale Sette, 1988), Il finito presente (Roma, All’Insegna de «L’Occhiale», 1989), Le prerogative anteriori (Udine, Campanotto, 1992), Da parola a parola (Bari, Laterza, 1994), ’Nanze a la sorte (Venezia, Marsilio, 1999), Di ogni cosa detta (Pescara, Tracce, 2007), L’altrove dei sensi (Lanciano, Carabba, 2007), Con le mani di ieri (ivi, 2009), Luoghi (Chieti, Tabula Fati, 2011), La case che nen ze chiude (ivi, 2013), Dal portico dell’angelo (Pescara, Tracce, 2014) e Principia (Chieti, Tabula Fati, 2015).

Ha pubblicato anche tre vol. di racconti: Nel cerchio della tartaruga. Prose, incontri e qualche storia (Chieti, Métis, 1996), La polvere sul cucù (Chieti, Tabula Fati, 2012), Il colore dei margini (ivi, 2014) e il romanzo Le ombre adorne (ivi, 2016).

I suoi interventi teorici compaiono in Vito Moretti, Le ragioni di una scrittura. Dialoghi sul dialetto e sulla poesia contemporanea (a cura di Enrico Di Carlo, Pescara, D’Incecco, 1989).

Nel campo della saggistica, Moretti ha pubblicato numerosi studi sulla cultura dal Settecento al Novecento, con particolare riguardo alle aree del verismo e del decadentismo e a Gabriele d’Annunzio, di cui ha reso noto carteggi e scritti inediti; ha promosso numerosi convegni e seminari sulla letteratura abruzzese e nazionale, con la stampa dei relativi Atti, e ha curato l’edizione critica o la riproposta in volume di opere di vari autori.

La sua bibliografia completa compare in Studi offerti a Vito Moretti, a cura di Gianni Oliva, Lanciano, Carabba, 2012, pp. 269-293.

Ogni cosa ha un tutto
che gli è necessario, un cerchio
di fatti dove posa l’occhio
e si fa nome l’ovvio
delle passioni, il poco che basta
alle notizie e agli anni.
Niente è davvero finito
e nulla resta soltanto agli oggetti.
Il punto è che mentre credi al giorno
ti consuma il tempo degli orli
e dei giri, si fa incerta la misura
del meno o del più, e resisti,
perché ti pare buono farlo,
con gli amori in testa,
con le premure che si stringono
in gola, artigiano tu
della pazienza – a piedi scalzi –
e dei desideri, delle facce
allo specchio, vive come sono vive
le veglie di Natale, sante
da guardarci ancora dentro, con le cose
e l’angelo e il suono della zampogna,
Dio poi, sceso fra il bue
e l’asinello e i pastori nel bianco
della finta neve.
*
Nel bosco, adesso che è venuta
Nel bosco, adesso che è venuta
la neve, e che il fiume gela,
anche gli animali si stringono
in piccole mandrie
e fuggono le creste ventose,
s’acquietano nella valletta
delle acacie e dei tronchi secchi.
L’inverno ha le braccia
del sonno e dei peli ruvidi
e negli orti il fumo dei camini
stana le volpi, manda
il tenero delle resine
ai casti seni della Vigilia.
Tutta la notte è fuga
impossibile, cosa
che può dirsi di voli,
di lampi, di abissi: un tarlo
al di qua del suo filo spinato,
una cosa vera sulla stanca pietra
delle barricate, sull’esiguo
delle voci e delle corse.
*
Da: Mo che vè la sere (2013)

Na lambàre va ’ppiccènne

Na lambàre va ’ppiccénne
una a une tutte le stelle
ch’à cascate a mmare
e na paranze j va ’pprèsse
a ccavaciulle de la lune.

Ugneccose sa cadéndre a la notte
s’arecumènze a ciavulijà
nghe le vejje de lujurne
e se fa arde nu ccone de ’nnucenze,
nanzigne de paure.

È nu vijaje la matine

È nu vijaje la matine
nghelu sole che se mette
a sciannechejà fra céle
e mmare. Me vè la vojje
destènnemedèndre a lu respire
de stupahésemè
e de ’ddurà la ciprie che mamme
spulverégne l’acqua sande
e de sciuvelàdapù
nghe l’uocchie chiuse
finendeaddóarrive la spume
de l’Adriateche, finende a lumistére
de chill’amore che me metteve n-gore
mijare de stelle e lusurrise
de naninnananne.

Da: Principia (2015)

venerdì 21 novembre

Fa versi la darsena
al sorso dei marosi e delle spume
ed è bianca di focolare
la preghiera dei pescatori
nel porto delle nuvole
e degli acquazzoni.

Canta la messa
lo sguardo delle mogli
e sa di ruvida marina
il bacio dei più giovani.

La mia pagina
è chiusa nel vetro d’una bottiglia
e si consegna al ciglio
della luna nascosta, allo spoglio
delle sue umide ombre.

mercoledì 3 dicembre

Sul treno lascio l’inverno
ai piccioni di San Marco e al mare
scavato nel grembo degli archi
e delle scale. Ho già gli odori
dell’Adriatico, i nodi che spendo
ad ogni ritorno, i pensieri
al peso leggero delle domande
e delle suppliche. Avrò pena soltanto
nel rivedere il nespolo secco,
il muro scrostato del cortile,
l’avanzo di siepe che dorme
nel gelo. Ma nella casa
ho anni astuti di versi, agiate
periferie alla finestra, risacche
al passo feriale dei mesi
e degli ombrelli: un miracolo
nel vaticinio di dicembre, un prodigio forse
nella minuzia dell’età.

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