Emergenza Poesia, la solitudine della malattia

Lo spunto odierno della rubrica Emergenza Poesia a cura di Alessandra Prospero è dedicato alla solitudine della malattia, con i versi della scrittrice neozelandese Katherine Mansfield.
Ora è la Solitudine, e non il Sonno,
che viene la notte a sedersi vicino al mio letto.
Distesa come una bimba stanca attendo il suo passo,
e la guardo spegnere la luce con un soffio lieve.
Salendo immobile, non si volge né a destra
né a sinistra, ma stanca, stanca abbassa il capo.
Anche lei è vecchia, anche lei ha combattuto tanto
da meritare la corona d’alloro.
Nella triste oscurità lenta rifluisce la marea
e s’infrange sull’arido lido, inappagata.
Soffia un vento insolito: poi il silenzio. Sono pronta
ad abbracciare la Solitudine, a prenderle la mano,
ad aggrapparmi a lei, aspettando che l’arida terra
si imbeva della terribile monotonia della pioggia.
Solitudine, Katherine Mansfield
Questa poesia è dedicata a tutte le persone che stanno soffrendo la solitudine della malattia.
L’autrice, Katherine Mansfield, combatté la tisi per anni e la malattia fu per lei un banco di prova, che la provò fino alla morte, ma che le regalò un’intensa umanità.
Nonostante la tosse, che in un accesso fatale la strappò alla vita a soli 34 anni, scrisse moltissimo in quegli anni.
Scrivere era per lei una “religione”: le sue pagine erano piene di vita, di realtà, di luminosità. Mansfield, neozelandese di nascita e cittadina europea per destino, aveva una vera e propria passione per l’osservazione della realtà: amava nutrirsi di essa anche dalle finestre delle stanze in cui veniva ricoverata per trovare una cura al suo male.
Aveva amore per ogni persona e per ogni cosa, per la malattia, per la Solitudine che, come si legge nel testo, era “pronta ad abbracciare” e anche per la sua ultima casa terrena, che reca come epitaffio una citazione dall’Enrico IV di Shakespeare: «Ma io vi dico, mio sciocco signore, che da questa ortica, da questo rischio, cogliamo il fiore della sicurezza»