Terremoto 6 aprile, le braccia del mondo dello sport nella notte più lunga

Il terremoto che ha sconvolto la città de L’Aquila e la ricostruzione che dura ormai da undici anni, passata, inevitabilmente, anche dalle braccia e dalle lacrime dello sport.
La ricostruzione è passata sotto le mani di tanti e attraverso il sacrificio di tutti. Chi è sopravvissuto ha fatto i conti col passato e si è rassegnato al presente con il peso delle perdite. Una rinascita impone che niente e nessuno sia lasciato indietro. Ci si appende alla speranza attraverso le istituzioni politiche, le eccellenze locali, attraverso i bambini, la cultura. E attraverso lo sport. L’Aquila, per oltre un secolo, ha ricoperto un ruolo centrale nel panorama sportivo nazionale, e chi ha dato lustro al capoluogo d’Abruzzo non si è tirato indietro di fronte alla partita più dura.
La palla ovale, simbolo di orgoglio e di eccellenza per questa città, ha onorato l’amore di un popolo intero a cominciare da quella notte. Poco dopo le 3:32, non appena la città intera si ritrovò per strada, l’Ispettore di Polizia Lorenzo Cavalli, da tempo collaboratore de L’Aquila Rugby, inviò ai giocatori un sms con la preghiera di recarsi in ospedale perché c’era bisogno d’aiuto. Nonostante le gambe tremanti, la puzza di gas e la nebbia creata dai calcinacci, sei di loro, compreso il tecnico Mascioletti, si presentarono al San Salvatore per evacuare i reparti. Antonio Fidanza, Lorenzo Bocchini, Dario Pallotta,Stefano Varrella, Carlo Cerasoli, e Ollie Hodge. Angeli dalle spalle larghe, il cui contributo sarebbe stato riconosciuto dallo Stato italiano.
L’allora Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, conferirà loro il premio al valor civile. Poco più di un anno dopo, in un’intervista a Il Centro, Dario Pallotta, uno degli angeli di quella notte, raccontò di aver risposto al messaggio arrivato sul suo telefono con una sola parola. Eccomi. Arrivò in ospedale dopo aver estratto a mani nude dalle macerie una coppia di anziani in zona San Domenico. Quanti Dario sono esistiti quella notte? Quante mani hanno scavato? Il sisma ha devastato un popolo e poi gli ha donato i suoi eroi. E se questi ragazzi resteranno nella memoria per aver segnato, come altri, il momento della reazione, è anche vero che che hanno lasciato sotto pietre e detriti una parte di cuore. Uno di loro non uscì vivo dai resti.

“Ciccio”, Lorenzo Sebastiani, perse la vita quella notte assieme ad altre 308 persone. Quella perdita, inconcepibile per lo sport cittadino, sconvolse il mondo del rugby e, inevitabilmente, ne rafforzò il legame con la sua terra.
Da allora la ricostruzione sportiva ha accelerato e rallentato cercando di tenere botta alle difficoltà dei tempi. Gli ultimi anni non hanno risparmiato delusioni, eppure mai, dai campi di gioco, è giunto un segnale di resa. E non potrebbe essere altrimenti. Il dramma del sisma ha insegnato molto agli aquilani. Li ha resi destinatari di una solidarietà arrivata pressoché da ovunque. Hanno commosso le iniziative benefiche degli scorsi giorni da parte dei rappresentanti del Rugby e del Calcio cittadini nei confronti dei presidi ospedalieri bergamaschi, affossati dal dramma del Coronavirus. Nessuno dimenticherà l’aiuto degli amici di Bergamo all’indomani del terremoto. Soldi, alloggi e conforto giunsero dalla città dei mille, solo ed unicamente nel nome della fratellanza sportiva. Da allora, ormai da undici anni, sulle maglie del rugby aquilano è impresso con orgoglio il logo della Curva Nord nerazzurra.
Se c’è un valore che lo sport aquilano ha assunto nel corso di questi anni, è quello di aver rappresentato un volano per la rinascita. I campi da gioco si sono prestati ad ospitare le grandi tendopoli del dopo sisma. Più dardi, a distanza di anni, l’amministrazione Biondi avrebbe istituito una consulta sportiva, con l’obiettivo di rafforzare la presa dello sport sul territorio e incrementare la presenza delle strutture da mettere a disposizione delle diverse discipline. In tanti tra calciatori, rugbisti e atleti, hanno scelto di restare nel rispetto di quel legame umano che li ha uniti alla città. A loro è doveroso dire grazie. Come allo sport nella sua complessità, per non essersi risparmiato, per aver impiegato braccia e sudore quella notte, per aver dato alla città il sostegno di amici vicini e lontani, e per aver ridato la spensieratezza delle domeniche allo stadio.