Covid e smart working, l’odissea di Dimitri Bernardi

11 maggio 2020 | 07:29
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Covid e smart working, l’odissea di Dimitri Bernardi

Dal lavoro al carcere di Sulmona, allo stop forzato a causa del Covid. Lo sfogo del giovane aquilano Dimitri Bernardi, ipovedente dalla nascita.

A parlare è Dimitri Bernardi, un giovane aquilano di 35 anni: un marito, un padre, un onesto lavoratore, ipovedente dalla nascita a causa di una rara malattia.

Dimitri ha sempre cercato di condurre una vita normale nonostante una serie di vicissitudini anche familiari che lo hanno molto provato.

Dimitri da tempo lavora come centralista presso il carcere di Sulmona: “un lavoro che mi piace – spiega al microfono del Capoluogo – che mi ha consentito negli anni di sentirmi uomo al 100%”.

Ogni giorno, prima dello scoppio della pandemia Coronavirus, il giovane Dimitri salutava moglie e figlia e prendeva 4 mezzi per raggiungere il carcere di Sulmona.

“Un sacrifico che facevo a cuor leggero, perchè mi ha consentito di sentirmi un uomo libero, di ‘vedere’ il mondo attraverso gli altri sensi, di carpirne i colori e le forme attraverso le parole della gente”.

A causa della pandemia, come milioni di italiani, anche Dimitri è rimasto a casa perché una delle sue corse era stata soppressa.

Dimitri vorrebbe lavorare, anche in smart working, ma a quanto pare non è possibile. Ha chiesto di svolgere la sua attività nella propria abitazione.

Da questa richiesta sono iniziati i problemi.

Normalmente a domanda segue risposta: ma non nel caso di Dimitri, che continua a sperare di poter al più presto riprendere le sue mansioni alle dipendenze del Ministero della Giustizia. Ancora, a tutt’oggi, Dimitri non può avvalersi della tecnologia che potrebbe risolvere ogni suo problema, non solo quello dello spostamento, ma anche della possibilità di rimanere accanto alla moglie e alla figlia, abbattendo le problematiche legate alla cecità nel dover uscire da casa.

Sempre la burocrazia gli impedisce di avere il medesimo ruolo all’interno del Tribunale di L’Aquila, a poche centinaia di metri dalla sua abitazione.

Quello che oggi Dimitri chiede  è di essere avvicinato all’Aquila: “voglio lavorare, non voglio essere un peso morto e vivere di quello che mi passa lo Stato per via della malattia. Voglio insegnare a mia figlia l’impegno, trasmetterle l’entusiasmo per ciò che si fa”.

“La burocrazia mi impedisce di fare tutte queste cose, a quanto pare per me non c’è posto nel mondo del lavoro aquilano. C’è una legge per i centralinisti non vedenti, la 113/85, ma a quanto pare nel mio caso se la sono dimenticata”.

La speranza è che il Ministero risponda presto alla sua richiesta  e, magari, attraverso questa sperimentazione tecnologica, favorire la definizione domiciliare del suo rapporto di lavoro  che gli consentirebbe di mettersi a disposizione lavorando direttamente da casa, azzerando le difficoltà di spostamento e, soprattutto, stando vicino al caldo affetto della moglie e della figlia.

Dimitri è disperato: “Avevo creduto di aver trovato uno spiraglio in fondo al tunnel quando venni a conoscenza di un posto vacante presso il tribunale dell’Aquila. La luce intravista però è stata quella di un cerino che si è spento ancor prima di guidarmi. Al tribunale che dista solo poche centinaia di metri da casa mia, ho dovuto rinunciare per problemi burocratici che ancora non riesco a spiegarmi”.

“Poco dopo si presentò una seconda possibilità di riavvicinamento, questa volta con una richiesta di comando. Credevo, anzi speravo, che un qualcosa di bello finalmente la mia dolce Italia potesse avermi portato in dono. Immerso nei miei pensieri ho cominciato a sognare. Tuttavia con tristezza ed incredulità sono dovuto tornare con i piedi per terra giacchè per questioni interne al Ministero di appartenenza  questa procedura non poteva essere espletata. Come spesso accade nella mia vita arriva la classica ciliegina sulla torta: il Coronavirus!”.

Questo terribile virus che ha messo in ginocchio il  nostro tessuto sociale ed economico altro non ha fatto che far star male chi stava bene e far star peggio (come nel mio caso) chi stava male. Certo, non posso che ringraziare Dio per avermi risparmiato la vita. Tendenzialmente sono una persona che si accontenta di poco, sono pochi  i traguardi  ai quali potrei ambire e vorrei tanto che questo Stato, che molti nel mondo ci invidiano, mi mettesse nelle condizioni di poterli trasformare in realtà”.

Dimitri ha solo un desiderio: “Ho tanta voglia di essere normale. Fare il mio lavoro, rendermi utile per me e la mia società. Quella società che da sola, attraverso gli amici che fortunatamente non mi ha fatto mancare, che avendomi aiutato a sopportare il peso del destino dal quale dipendo, merita di essere ricambiata. Purtroppo, ora più che mai, mi ritrovo a dover stare a casa privato di questa possibilità”.

Per chi come me non ha avuto il dono prezioso della vista, lo Smart Working è un’occasione che chiunque vive la mia drammatica situazione potrebbe sperimentare e magari trasformarla in una definitiva impostazione futura. Del resto non è una procedura impossibile da realizzare soprattutto con la tecnologia di oggi che, mai come  in questo caso,  può venire in aiuto a chi come me il mondo esteriore, al netto dei pericoli che quotidianamente offre, può soltanto immaginarlo”.