L’Aquila, didattica a distanza anche a settembre: c’è chi dice no

Didattica a distanza, verso la mobilitazione del 30 maggio a L’Aquila. “La scuola è anche socialità. I nostri ragazzi sono già figli del sisma”.
Genitori, alunni e docenti aquilani si oppongono alla didattica a distanza e hanno organizzato un flash mob in programma per il prossimo 30 maggio. L’appuntamento è alle 15 a Piazza Duomo.

Gli organizzatori reclamano la riapertura regolare delle scuole a settembre, ma in sicurezza.
“Non vogliamo turnazione degli alunni: vogliamo nidi, classi composte da meno alunni. Vogliamo la scuola aperta perché la scuola è in presenza, è relazione, socializzazione e continuità, non è didattica a distanza”.

“La scuola va riaperta, perché solo la scuola offre inclusione, uguaglianza, motivazione, socializzazione e crescita. La scuola deve essere riaperta in sicurezza, perché l’istruzione è un diritto e perché bambini e ragazzi a scuola ci vogliono tornare“.
“RIAPRIAMO LE SCUOLE AL PIÙ PRESTO – dicono gli organizzatori del flash mob sentiti dal Capoluogo – Gli studenti sono le vittime silenziose di questa emergenza. Le disabilità sono ad esclusivo carico delle famiglie. I bambini e i ragazzi chiedono, gridano, di tornare a scuola, di rivedere le maestre, i loro amici, e non vogliono più guardarsi attraverso uno schermo, ma il Governo e le Istituzioni restano sorde!!!
“L’Italia è l’unica nazione che ha ABBANDONATO i bambini NEGANDO loro il diritto alla vita: il gioco e la scuola.
La didattica a distanza non é la scuola che vogliamo. Non vogliamo che il Ministro ci regali computer e tablet, reti internet veloci, noi VOGLIAMO la lavagna e i vecchi banchi di scuola e vita vera”.
“La digitalizzazione degli istituti scolastici non rappresenta una seria proposta per il nostro paese. È INSOSTENIBILE per gli studenti e per i genitori”.
“La scuola è anche socialità, una cosa che per questi ragazzi è stata completamente azzerata con la didattica a distanza – spiega una mamma sentita dal Capoluogo – l’emergenza sanitaria prima di tutto ma adesso non si può continuare così. Senza contare che tanti genitori sono tornati a lavoro e non tutti i nostri sono digitalizzati a sufficienza per sostenere la mole di lavoro a casa”.
“La didattica a distanza ha peggiorato la qualità di una scuola che per alcuni aspetti era già allo sbando” concorda un altro genitore.
“Da quando sono state chiuse le scuole, a causa dell’emergenza Coronavirus, a oggi, abbiamo trasformato i nostri figli in piccoli universitari: ogni giorni ci sono file da inviare, gruppi su gruppi sui social e su Whatsapp e non dimentichiamo che questo tipo di tecnologia non è alla portata di tutti, vuoi per retaggi culturali o per possibilità”.
Effettivamente, in un territorio come quello aquilano, uno dei primi problemi della didattica a distanza è stato quello di raggiungere anche virtualmente tutti gli scolari.
In tante zone dell’hinterland la connessione è praticamente assente, la fibra non è arrivata ovunque e non tutte le famiglie dispongono di attrezzature idonee per seguire le video lezioni, le board, le varie piattaforme aperte dai docenti in questo periodo.
“Ho 2 figli alle medie, io e mio marito abbiamo lavorato in smart working e in casa abbiamo un solo computer – spiega ancora una mamma – non tutti avevano le possibilità di comperare altre attrezzature. Per fortuna che la scuola ci è venuta incontro e sono stati dati dei tablet in comodato d’uso”.
“Ci lamentiamo che i nostri figli passino troppo tempo davanti agli schermi o alla Playstation e poi, qualcuno propone di continuare la didattica a distanza a settembre… Scherziamo? Dopo 3, anche 4 ore ogni giorno in quella che qualcuno osa anche chiamare ‘classe’, continuano il pomeriggio con le board da guardare e studiare, i file da restitutore… In emergenza si fa tutto, ma ora l’emergenza sta finendo e i nostri ragazzi devono tornare in classe”, continua un padre.
“Non dimentichiamo che questi ragazzi che oggi frequentano la scuola dell’obbligo all’Aquila sono a pieno titolo ‘figli del sisma’, tarati alle difficoltà di una scuola che si è dovuta ricollocare nei Musp con tutti i disagi del caso”.