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Il Cantinone, Franco Cagnoli lascia lo storico ristorante di Santo Stefano di Sessanio

Franco Cagnoli lascia Il Cantinone, locale storico di Santo Stefano di Sessanio.

Franco Cagnoli lascia il Cantinone di Santo Stefano di Sessanio. Difficoltà e problematiche, anche post Covid, oltre alla scadenza del contratto di gestione.

Finisce l’esperienza in uno dei locali, diventati col tempo istituzioni, del borgo di pietra, che tanti visitatori conquista ogni anno. Il ristorante, parte dell’albergo diffuso, non avrà più il suo gestore. L’annuncio arriva dallo stesso Franco, che scrive un lungo post sul suo profilo Facebook

“Cari amici, ho qualcosa di importante da dirvi.
Nonostante non sia propriamente una persona senza passato e senza un’identità ‘popolare’, negli ultimi sette anni ho talmente dedicato la mia vita al Cantinone che in molti hanno finito per identificarmi con il Cantinone stesso. Per tanti giovani aquilani o dei paesi limitrofi sono semplicemente “quello del Cantinone”. Dovunque mi capiti di andare tra L’Aquila e dintorni, o anche sulla costa, chiunque mi chiede o mi parla del Cantinone prima che di qualsiasi altra cosa. A volte vengo riconosciuto e salutato anche nei posti più improbabili da alcune tra le tante persone che ho avuto modo di accogliere, durante la mia gestione, che si ricordano di me senza che io possa, mio malgrado, ricordarmi di loro”.

Scrive Franco Cagnoli, tra ricordi e amarezza per la fine di una bellissima avventura.

“Per sette anni ho vissuto al Cantinone e per il Cantinone, dedicandovi per forza di cose tutte le mie energie, specialmente negli ultimi periodi, in cui mi sono ritrovato mio malgrado a doverlo mandare avanti da solo. Iniziai la mia avventura in una fase generale ormai ascrivibile al passato, seppur ancora non riesca a rendermene totalmente conto, con la mente fresca ed insieme ad un’altra persona, senza avere la minima idea di quanto fosse grande l’impegno che mi sarei trovato a sostenere, di lì in avanti, e di quante difficoltà impensabili mi sarei ritrovato a dover fronteggiare, sul lavoro e nella vita”.

“Per senso di responsabilità e devozione alla causa, tra innumerevoli soddisfazioni, diversi rospi ingoiati a malincuore e qualche incidente di percorso, poco a poco, il Cantinone ha finito per togliermi tutto quello che avevo, fino a restare l’unica cosa che mi rimanesse, arrivando ad assumere in ultimo i connotati di una sorta di prigione dorata, in cui mi ritrovassi come unica “famiglia” le poche persone a me più umanamente affini che lavorassero o gravitassero nel mio circuito più stretto, ed in cui l’unico nutrimento per il mio spirito consistesse negli occhi estasiati dei clienti illuminati dal camino, negli immensi tramonti ammirati dalla piazzetta, nei gatti che ho avuto il piacere di ammirare ed accudire ogni giorno, e nella bellezza che rimanesse sempre lì a circondarmi malgrado tutto”.

“Tutto inizia, tutto si consuma e tutto finisce. Pur potendomi umilmente fregiare dell’orgoglio di aver incarnato fino ad ora la gestione più longeva e più fruttuosa nella storia di questo meraviglioso locale, facente parte di un contesto imprenditoriale particolarissimo e dalle dinamiche che talvolta sembrano sfuggire alla logica e alla ragione, secondo il verdetto di questo corso universale delle cose a cui nessuno prima o poi sfugge, vi comunico che dopo sette anni di onorata navigazione e dopo innumerevoli valutazioni incrociate e tira e molla post covid mi trovo costretto ad abbandonare il timone, vista la scadenza di contratto, le difficoltà generali e vista, soprattutto, la decisione definitiva della mia concedente (Sextantio Albergo Diffuso) di adibire la struttura ad uso esclusivo dei propri clienti”.

“Pur volendo e potendo arrivare ad un accordo in tal senso, questa condizione, oltre che la clientela di passaggio nei periodi di alta stagione, essenziale per la mia sopravvivenza imprenditoriale, mi avrebbe comportato di mettere alla porta tutti voi: la numerosissima clientela storica e locale accumulata con passione e dedizione in questi anni. Questo sarebbe stato per me un grave danno d’immagine e il più insormontabile dei problemi oltre qualsiasi sconvenienza imprenditoriale. Negli anni abbiamo puntato a costruire una proposta equilibrata, trovando una difficile quadra tra le esigenze mai facili della nostra concedente, la nostra sopravvivenza economica, l’approvvigionamento dei prodotti talvolta complicato vista la quantità della domanda nei periodi di punta, la generale discontinuità ricettiva del luogo (specie negli ultimi tre anni, con chiusure stagionali obbligate), e quello che abbiamo sempre creduto debba essere lo spirito fondamentale di una cantina: la convivialità”.

“In questo modo, aiutati certo dall’oggettiva bellezza del locale, abbiamo riavvicinato le persone del posto e ci siamo costruiti un nome strettamente legato alla nostra linea in tutto il territorio regionale. Con tale spirito abbiamo consolidato un’ordinarietà in cui il facoltoso cliente straniero si è seduto a dividere il tavolo con la giovane coppia di avventori di circostanza, gli amici esercenti del posto ci hanno fatto compagnia, bevendo al bancone appena staccato dal lavoro e, più in generale, persone di tutti i tipi hanno convissuto tra le nostre mura in una piacevole ed armonica promiscuità. Una formula che ha fatto felici più o meno tutti, e che molto umilmente sembrava essere la più onesta e saggia possibile”.

“Tutto ciò, seppur tra qualche umana ed inevitabile défaillance, ci ha portato grandi soddisfazioni, ma è stato un risultato raggiunto duramente attraverso molti sacrifici, compromessi e tante situazioni gestite sul filo di lana con tatto e buon senso, impegnandoci spesso e volentieri in uno spirito di squadra che mi rammarico non sia stato sempre colto, come mi rammarico che non sia stata evidentemente colta a pieno né riconosciuta l’efficacia di tale equilibrio gestionale, che oggi si interrompe proprio al culmine del suo successo. Da inguaribile malinconico quale non potrò mai fare a meno di essere, ho passato gli ultimi giorni a rileggere le recensioni e a sfogliare i libri degli ospiti, perdendomi con agrodolce soddisfazione e significativa commozione tra il mare di dediche e gli elogi alla mia specifica persona. Cose che sarebbero di certo motivo per guardarsi avanti piuttosto che indietro. Ma tutto questo ha ormai poca importanza, perché come asserì un sommo filosofo: ‘Dove non si può più amare, bisogna passare oltre’. ”

“Essendo stato oggettivamente un passaggio nella sua storia (il più consistente, probabilmente, ma pur sempre un passaggio) ed essendo ormai quelle bellissime mura impregnate di tutto me stesso, mi auguro nella massima sincerità e visto l’affezionamento che mi porterò dentro per sempre, che il futuro del Cantinone possa essere ancora migliore. Che possa ricevere presto la devozione di persone speciali e la meraviglia di futuri avventori, chiunque essi saranno. È un posto tanto magico che lo merita a prescindere, oltre qualsiasi cosa. Anche oltre la mia sostanziale amarezza, e la profonda convinzione che prima ancora che sconveniente, precluderne l’accesso anche ad una sola persona sia assolutamente delittuoso ed incoerente con l’immagine rispettosa ed empatica verso il territorio di cui la nostra concedente ha fatto in anni il proprio brand. Ma questo sarebbe un altro discorso che non dipende più da me”.

“Ringrazio in questa sede tutti coloro che collaborando o con la semplice presenza abbiano in un modo o nell’altro contribuito a rendere speciale un anno, una serata, o anche un solo secondo di questo intenso periodo, in cui tanto ogni successo quanto ogni opinabile passo falso sono stati frutto di totale devozione alla causa nei limiti delle mie possibilità umane, contrattuali, ed ahimè, commerciali. Grazie di tutto”.

 

 

 

Foto copertina di Andrea Zonetti

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