Cultura

Le nuove stanze della poesia, Clemente De Cesaris

Clemente De Cesaris per l'appuntamento con la rubrica a cura di Valter Marcone, Le nuove stanze della poesia.

Clemente De Caesaris per l’appuntamento con la rubrica Le Nuove stanze della poesia, a cura di Valter Marcone.

Clemente De Cesario nacque a Penne il 23 agosto 1810 e morì il 28 novembre 1877.

Appartenente ad una famiglia di patrioti e partigiani dell’unità italiana, fu tra i più attivi carbonari teramani. Studiò nei seminari di Penne e di Chieti.

Nel 1838 fu arrestato per la partecipazione alla rivolta di Penne. Fu detenuto nelle carceri di Teramo, dove scrisse poesie e opere. Fu condannato all’esilio a Chieti fino al 1840.

De Cesaris si trasferì a Napoli dove pubblicò il volume “Pochi versi.” Partecipò ai moti del 1848 per difendere la costituzione concessa da Ferdinando II e prese parte alla rivolta del 15 maggio1848 a Largo Carità di Napoli.

L’anno successivo fu arrestato e processato a Teramo e fu condannato a 8 anni di carcere, di cui uno trascorso a Teramo, cinque a Pescara, gli altri nei carceri di Foggia, Brindisi e Nisida.

In carcere scrisse tre raccolte di poesie: “Agli amici ed ai compagni”, “Alla gioventù italiana”, “Sei Liriche” , e due epistole Epistola al popolo e Le parole di un cittadino a Luciano Murat.

Nel 1859 fu confinato a Bovino dove rimase fino al 1860 scrivendo Inno al Piacere, Un confronto dall’esilio, Miei ricordi in Bovino.

Nel 1860 tornò a Penne e divenne Prodittatore. Nel 1861 fu eletto deputato, ma si dimise poco dopo. Nel 1961 Luigi Polacchi,altro poeta e patriota pennese , pubblicò un’edizione completa delle sue opere nel volume “Da Melchiorre Delfico a Clemente De Caesaris. Storia politica e letteraria del Risorgimento in Abruzzo, sulla base della Fortezza di Pescara, 1798-1860.”

Le poesie abbracciano la corrente foscoliana e leopardiana, Foscolo fu ripreso per le riflessioni a soliloquio a carattere patriottico, sopra le rovine e i cimiteri, ispirato dai Sepolcri.

Tuttavia De Caesaris a differenza di Leopardi e Foscolo dimostra un attaccamento sincero alla religione cristiana, in cui vede un fine provvidenziale, se liberata dalla patina corrotta della gerarchia Ecclesiastica, e dal controllo dello Stato. La religione è l’unico conforto che ha il popolo, oppresso dalla tirannide dei monarchi.

Lo dimostra anche la riflessione poetica di De Caesaris ne “La campana della mia parrocchia”, ricordando come la campana del Duomo di Penne segni i momenti fondamentali della vita quotidiana, durante il giorno e le occasioni speciali.
Da Leopardi, De Caesaris prende spunto riflessivo del bel.parlato, ma non accademico né lezioso, affrontando con nuova parola i turbamenti dello spirito nell’era del romanticismo. Indattilo stile decesariano è tutto volto alla chiarezza e all’asciuttezza, nell’espressione furente della passione per i propri ideali. Molti componimenti furono delle rielaborazioni, anche col calco del titolo, dei maggiori Idilli leopardiani.

L’ultimo lavoro di nota del De Caesaris, oltre alle difese pronunciate per l’incarcerazione, è la Epistola al Popolo.

Opera in prosa in cui De Caesaris pronuncia un’orazione volta a scaldare i cuori del Popolo, inteso come raggruppamento mondiale in una sola figura degli.oppressi e delle misere masse, attanagliate dal gioco dei Sovrani che De Caesaris definisce senza mezze parole Tiranni, anche scagliandosi contro la gerarchia Ecclesiastica.

Dopo aver tracciato, con notevoli rimandi alla Genesi biblica, la storia dell’Uomo, o mrglio del Popolo, da sempre oppresso, illuso anche dal punto di vista religioso, per mwzzo dei rappresentanti di Duo sulla Terra, De Caesaris esorta il Popolo a ribellarsi e a perseguire ideali di rivoluzione per rovesciare i governi attuali, con particolare riferimento al governo borbonico a Napoli, accogliendo i nuovi liberatori.

“I Re , i Signori, i ricchi si sono
divisi fra loro la terra,
inventando due tremende
parole, il mio e il tuo;
siepe di ferro fra te e i tuoi bisogni.
Nessuno ha diritto al superfluo
fino a che vi sarà un sol uomo
che manchi del necessario”
(Epistola al Popolo)

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