Il reportage

L’Aquila, ultimi ritocchi per la Perdonanza 2020: turisti, dialetti e mascherine

Meno di 48 ore alla 726' edizione della Perdonanza. Tra palchi, dialetti, musica e mascherine, L'Aquila si scopre calda e accogliente. Con le ferite in bella mostra e l'aria fresca che si intrufola fra i vicoli a darti refrigerio.

L’Aquila, Perdonanza 2020 – C’è gran fermento sul prato di Collemaggio: decine di operai al lavoro come formiche.

Una voce dall’alto grida “passa, che lo fissiamo” con un accento emiliano: starà almeno a otto metri da terra e tutti alzano lo sguardo. Sta fissando un punto dell’impalcatura del Teatro del Perdono, il grande palcoscenico che domani, dalle 21,vedrà l’inizio della 726’edizione della perdonanza Celestiniana. Perché fra tubi e luci, dietro, svetta sempre lei, maestosa, avvolta dalla luce del tramonto: la Basilica di Santa Maria di Collemaggio.

Ma c’è fermento anche fuori dal prato: fra casse e tubi si fa avanti un gruppo di 5 persone, giovani e anziani, tutti con la mascherina. L’inequivocabile accento romano: “Dove si può vede’ chi viene? Giovane, chi suona?”. Venditti riscuote successo.

Famiglie: ci sono. Aquilani a spasso: ci sono. Turisti: ci sono. Tanti dialetti diversi: ci sono. L’Aquila: c’è. Da nata, cresciuta (e pasciuta) in città, riconosco nei ragazzi a passeggio, nelle risate provenienti dai tavolini esterni ai locali, nelle chiacchiere in mezzo alla strada la mia città calda, accogliente, matura.

Con le ferite in bella mostra e l’aria fresca che si incanala dai vicoli a darti refrigerio.

Dall’Emiciclo, bianco e splendente, si sente della musica, come se stessero facendo delle prove per qualche spettacolo. Davanti, le transenne accatastate in un angolo per gli eventi dei prossimi giorni: alla Villa ci sarà uno dei maxischermi per assistere ai concerti di Collemaggio. L’altro sarà in piazza Duomo.

Risalgo velocemente il Corso facendo slalom fra i gruppi di turisti che, in salita, arrancano. Un buon 90 per cento indossa la mascherina : non è un particolare da poco conto. Chi guarda gli annunci immobiliari, chi prende un caffè.

In Piazza Duomo tavolini pieni e la giostrina che gira, il palco si erge davanti San Massimo: ecco una delle ferite aperte della città. Un’altra è Santa Giusta: da una parte, la chiesa capoquarto, incerottata e con ciuffi di vegetazione, arbusti ormai, che escono dai lati della rete di protezione. Dall’altra palazzo Centi, maestoso. Chiuso. Con l’insegna che ne racconta la storia a terra. In mezzo, auto. Tante auto.

Ma anche qui una coccola non manca: il formaggio allo zafferano, al tartufo, al peperoncino del Tavernacolo, offerti insieme alle indicazioni turistiche per visitare al meglio la città e ai sorrisi che si percepiscono anche da dietro la mascherina ti fanno sentire a casa. L’Aquila accogliente è anche questo.

Il Corso brulica letteralmente di gente, fra i portici riaperti e quelli che mostrano, ancora, i segni del terremoto del 2009. Sono le 18 e in alcuni punti si resta fermi per aspettare che si liberi quel tratto. E anche di sera la situazione non cambia.

Ai Quattro Cantoni le bandiere sventolano, si sente aria di festa. E ancora dialetti diversi e ancora musica: dai locali, dagli artisti di strada di piazza Regina Margherita.

C’è aria di festa, ovunque. E se non fosse per le mascherine, sembrerebbe tutto “normale”. Un’estate “normale” in una città turistica “normale”.

L’Aquila bella si prepara a una Perdonanza tutt’altro che normale : la prima da patrimonio immateriale dell’Unesco, la prima sotto emergenza sanitaria.

La prima da città turistica vera in un’estate che ha rilanciato i borghi interni: la sfida verso i turisti è affascinarli, sì, ma soprattutto farli tornare.

La sfida per noi è tornare ‘normali’ : perché per L’Aquila, nata dalla forza dei suoi castelli, la città colpita dai terremoti ma che si è sempre rialzata, l’impresa eccezionale è essere normale

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