Covid L’Aquila, ristoratori distrutti: “È come un secondo lockdown”

15 ottobre 2020 | 03:57
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Covid L’Aquila, ristoratori distrutti: “È come un secondo lockdown”

I ristoratori aquilani alle prese con la crisi conseguente la seconda ondata di Covid: locali vuoti, prenotazioni azzerate. “È come se fosse un altro lockdown”.

È un grido disperato quello che accomuna i ristoratori aquilani, 5 mesi  dopo la fine del lockdown ufficiale, tutti alle prese con i problemi legati alla seconda ondata del Covid che a L’Aquila sta registrando ogni giorno tanti nuovi casi positivi.

Un conto troppo salato per chi è stato già alle prese con 2 mesi di chiusure con la paura di non poter riaprire. Tanti i locali all’Aquila che nei giorni scorsi sono stati costretti a chiudere dopo la notizia di qualche positivo, anche asintomatico, tra i dipendenti. Altri invece hanno proprio scelto di abbassare la saracinesca “per un po’, in attesa di tempi migliori”.

A questo si aggiunge il nuovo Dpcm, in vigore dal 15 ottobre, che ha dettato restrizioni e rigidi parametri di riferimento per i locali e per i ristoratori. 

Non solo, la tanto ventilata e promessa detrazione di imposta al 50 per cento a marzo sui dispositivi di protezione è stato uno “specchietto per allodole”. A oggi, secondo quanto riferito alla redazione da diversi ristoratori, è stata cambiata dall’Agenzia delle entrate per mancanza di fondi e la detrazione è solo del 13 percento.

La chiusura per qualcuno potrebbe essere anche la spia del fallimento definitivo, dopo la crisi nera del lockdown di marzo. 

“Hanno deciso di prendere noi ristoratori per il collo dopo che noi vi abbiamo presi per la gola! – scherza, ma non troppo un ristoratore aquilano -. È grottesco. Dobbiamo stare attenti ma così sembra di vivere in caserma. La multa equivale quasi alla metà dello stipendio di un dipendente”.

“Non saremmo comunque in grado di gestire un nuovo periodo di chiusura – dice al Capoluogo uno dei tanti ristoratori della città che ha scelto di restare anonimo – . Sono stati mesi tremendi. Tremendi. L’estate è servita a tappare qualche falla ma tutta la provincia viveva già da prima una fase critica. A fatica stavamo risalendo la china dopo gli eventi sismici del 2009 e del 2017 e l’emergenza Coronavirus, con la sua inesorabile conta dei casi positivi ogni giorno, rischia di infliggere il colpo di grazia ad un mercato produttivo in grande difficoltà e strozzato da una serie di obblighi finanziari”.

C’è chi a L’Aquila invece non ha perso l’entusiasmo e sta affrontando questo momento difficile alla stregua di una sfida come i ragazzi del ristorante Førma di via Fortebraccio.

Lo staff di Førma da prima dell’ultima emergenza ha lavorato duramente e nonostante tutte le problematiche del caso, per consentire ai clienti di poter frequentare serenamente il locale.

“Il periodo è quello che è però pensiamo che, per darci una mano tutti, con ogni cautela, si potrebbe superare la paura e continuare a frequentare locali e ristoranti. Ad esempio nel nostro caso abbiamo dall’inaugurazione deciso di anticipare l’apertura alle 18 in modo da evitare gli assembramenti”, spiegano i ragazzi di Førma sentiti dal Capoluogo.

Il ristorante Førma ha una predisposizione nordica già dal nome, la scelta di aprire prima rispetto agli orari canonici viene dall’esperienza fatta all’estero dallo chef del locale Simone Ciuffetelli e da Roberta, sua socia e compagna, in alcuni ristoranti danesi.

“Le cautele sono state messe in campo da tutto lo staff e credo che la stessa cosa valga per tutti i colleghi della città. Abbiamo comprato le visiere  che vengono indossate sopra la mascherina, lavoriamo ‘sotto assedio’ ma da parte nostra c’è la voglia di rimanere aperti e il desiderio di condividere con i nostri clienti la passione per la cucina, il buon cibo e il buon vino ‘anti Covid’. Il locale è sanificato e noi dello staff abbiamo sempre fatto i tamponi. Vi aspettiamo dal martedì al sabato, dalle 18 alle 24 per aperitivi, cena e dopocena. I ristoranti sono luoghi sicuri al pari di altri, se stiamo attenti possiamo uscirne!”.

simone ciuffetelli

“Chiudo qualche giorno: ho tanta paura”, Luca Totani

ristoranti luca totani

Preoccupato per l’andamento dei contagi a L’Aquila le ripercussioni sulla sua attività, Luca Totani, titolare del Connubio dove lavora insieme alla moglie Erika Gianfelice. Luca è uno dei “pionieri” della ristorazione in centro storico post sisma. Nel 2016 fu tra i primi a riaprire sul Corso stretto e poi a San Bernardino.

Luca la difficoltà la conosce bene, probabilmente l’ha fatta sua insieme alla passione per la cucina: ha vissuto lo spopolamento post sisma nel 2016 a pochissime settimane dall’apertura, poi il tunnel dei sottoservizi, poi ancora il sisma del 2017 e il lockdown di marzo scorso.

Adesso anche un’altra chiusura, precauzionale, dopo essere venuto a conoscenza di un suo possibile contatto con una persona risultata positiva al Covid.

“Teniamo molto alla nostra salute ma soprattutto a quella delle nostre bimbe, e dei nostri collaboratori, faremo il tampone e speriamo di poter riaprire presto”, spiega Luca al Capoluogo.

“È un periodo molto difficile: siamo piombati ancora una volta in un pantano scuro che ti risucchia e cerca di mandarti sul fondo. Ogni giorno mi chiedo: ‘Ce la farò?’ Bella domanda! Le prenotazioni sono quasi azzerate: avevamo eventi e occasioni che sono andate in fumo. Mi rendo conto della priorità dell’emergenza sanitaria ma per chi come me ha una partita Iva questo momento è una crisi a 360°. Le persone hanno paura e anche noi non lavoriamo tranquilli. Per questo abbiamo deciso, per adesso, di restare aperti solo se ci sono prenotazioni”.

Le spese sono tante e Luca pensa ogni tanto di non farcela: “Il quotidiano ti richiama alla realtà. Spese fisse, fornitori, utenze e a questo aggiungiamo sanificazioni, protezioni per il personale, insomma tutto quanto necessario per stare tranquilli. Eppure sono bastati pochi giorni in cui la curva dei contagi è tornata a salire per svuotare negozi, bar e ristoranti e vanificare gli sforzi e la fatica di questa estate che è stata all’inizio una sorta di ‘tappa buchi’ dopo i mesi di chiusura”.

In ogni caso Luca e Erika sono pronti a rimodulare l’offerta del locale: “Avevamo appena cambiato il menù e aggiunto l’opzione del ‘pranzetto’, in caso ricominciamo da capo e creiamo un menù compatibile con l’asporto. Insomma, stiamo al passo e vediamo che succede. Speriamo che ci siano le condizioni per garantire un minimo di vita dal momento che è l’unica cosa che ci consente la sussistenza”.

Preoccupato anche un altro ristoratore della zona est dell’Aquila che ha scelto l’anonimato.

“Dopo le ultime dichiarazioni del governo la situazione sta precipitando – dice al Capoluogo -.

” Il fatturato in 3 giorni è calato moltissimo a seguito degli attacchi psicologici indotti. La gente ha paura e si muove molto di meno”.

“Dal nuovo Dpcm in sostanza si evince che c’è un grosso pericolo soprattutto a frequentare i locali pubblici e non è così. Lavoriamo con tutte le protezioni necessarie e imposte, chi frequenta un ristorante ha la stessa possibilità di contrarre il Covid di chi frequenta abitualmente un bar, un tabaccaio, l’ufficio, la scuola o il supermercato”.

“Speriamo che almeno il Governo abbia intenzione di mettere in campo tutti gli aiuti possibili per sostenere un settore, quello dei ristoratori, che a L’Aquila è stato già abbondantemente fiaccato dai problemi legati al post sisma”.

“I problemi sono per noi ristoratori: il governo se ne lava le mani”

Questo il commento al Capoluogo dei ragazzi dell’Antica trattoria dei Gemelli.

trattoria dei gemelli

“Dovevamo riaprire adesso dopo una settimana di ferie, ma considerato il momento abbiamo prenotato dei nuovi tamponi e un’altra sanificazione in modo da stare ancora più tranquilli e perdere in caso solo un fine settimana utile. Anche noi stiamo pensando all’asporto con una rimodulazione del menù ma è ancora tutto da definire”.

Non faranno un nuovo lockdown ufficiale dovendosi accollare oneri come la cassa integrazione o le utenze per categorie come quella dei ristoratori ma dai timori che incutono nelle persone, ci sono le condizioni perchè si apra un nuovo periodo nero per attività come la nostra”.

“Per carità, il problema c’è ed è innanzitutto sanitario ma ovviamente noi saremo penalizzati perchè, anche se stai chiuso, di rimando le utenze vanno comunque pagate, le protezioni e i dispositivi, stessa cosa per le sanificazioni”.

A questo si aggiunge l’amarezza per le promesse disattese dal Governo: “Ci era stata ventilata una detrazione di imposta al 50 percento a marzo sui dispositivi di protezione. A oggi è stata cambiata dall’Agenzia delle entrate per mancanza di fondi e la detrazione è del 13 per cento. Che aiuto è?”.

“Noi ristoratori vittime del terrorismo psicologico attuato dal governo”

mattia faraone

Questo il pensiero di Mattia Faraone, l’architetto pizzaiolo titolare del ristorante-pizzeria Al Faraone a Poggio Picenze.

“Abbiamo lavorato tantissimo in estate, per vedere vanificato tutto in pochi giorni: adesso la situazione è davvero piatta, siamo stati chiusi una settimana per ferie e se si vede qualcuno è concentrato solo nel fine settimana ma sempre in proporzione all’aumento dei contagi”.

Per Mattia, “Il settore della ristorazione è stato ancora una volta dimenticato: dopo l’imposizione di spese assurde dalla fine del lockdown adesso se ne lavano le mani perchè in sostanza a noi ci fanno stare aperti ma consigliano alla gente di stare a casa”.

Che succede quindi? “Di fatto stai aperto e magari se ti va bene prepari 12 pizze per l’asporto, fai 2 coperti in una sera e a lavorare siamo in 4 con tutte e le utenze da pagare e le spese fisse”.

“La paura è motivata, ci mancherebbe ma noi siamo in regola con tutti i dispositivi di protezione: il ristorante non è un luogo peggiore di altri per il rischio, noi non siamo untori! Il locale viene regolarmente sanificato, ci sono tutte le protezioni e abbiamo fatto i tamponi con regolarità, ho una macchina per fare la sanificazione, cos’altro possiamo fare?”.

Con il nuovo Decreto non si scherza, anche a livello di sanzioni.

La stretta decisa dal Governo Conte non è solo più rigida a livello di disposizioni, ma fissa l’impegno di monitorare con più rigore la situazione e punire severamente chi sgarra. Oltre ai vari divieti ed obblighi, c’è un provvedimento che resterà in vigore per un mese con le sanzioni per chi non rispetterà quanto deciso dal Governo nel tentativo di frenare la seconda ondata della pandemia in Italia.

I locali pubblici che non seguono le direttive del decreto (ad esempio, l’obbligo di far rispettare l’uso della mascherina o di servire le consumazioni solo al tavolino dopo le 21 o, ancora, tirare giù la serranda alle 24) rischiano la chiusura dell’esercizio o dell’attività da 5 a 30 giorni, oltre alla sanzione pecuniaria. Chi ci prende gusto a trasgredire e viene sorpreso per due volte a violare la stessa norma, si troverà a dover pagare il doppio della sanzione, quindi da 800 a 6mila euro. I locali, in questo caso, rischiano la chiusura per il tempo massimo previsto, cioè 30 giorni.