Covid 19 e palestra chiusa, “Oltre al danno ora rischio lo sfratto”

7 novembre 2020 | 08:46
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Covid 19 e palestra chiusa, “Oltre al danno ora rischio lo sfratto”

Covid 19 e lo spettro dello sfratto per il titolare di una palestra a L’Aquila: “Con i locali chiusi e le entrate azzerate non riesco a pagare l’affitto”.

Il grido d’allarme è di Michele Giuliani, storico titolare di una palestra e città e molto noto nel settore del body building anche internazionale.

Michele Giuliani è presente con la sua attività in città da oltre 30 anni, prima si trovava in centro, a piazza San Pietro e nel 2005 la decisione di ampliarsi e aprire la palestra al Cermone. Su di lui sono passati come uragani i 3 terremoti: quello del 2009 e i due eventi sismici del 2016 e del 2017.

Adesso che pensava di aver ricominciato un attimo a respirare, si è abbattuta su di lui la scure della pandemia da Covid 19 con l’ inevitabile chiusura della palestra e il conseguente lockdown.

Sono stati mesi duri senza entrate e con spese fisse che non è riuscito a sostenere. Ora, a breve, rischia anche lo sfratto e il 9 novembre prossimo ci sarà l’udienza in tribunale.

Sulla questione durante il lockdown il Capoluogo aveva già fatto un approfondimento con l’ausilio dell’avvocato Vincenzo Calderoni. Al tempo del Coronavirus anche i rapporti legati agli affitti e alla locazione dei locali divengono decisamente problematici, soprattutto per i commercianti e i titolari di attività come quella di Michele Giuliani che da mesi hanno visto ridursi drasticamente le entrare a causa della pandemia.

Coronavirus e affitti, dramma per i commercianti: cosa si può fare

“Sono disperato – dice Michele Giuliani al Capoluogo – so di essere in torto ma non sono riuscito proprio a stare al passo con le spese. Ho riaperto  che era praticamente estate e si sa che il periodo non è il più favorevole perchè si preferisce stare all’aria aperta. Contestualmente alle entrate dimezzate ci sono state spese su spese per la manutenzione dei macchinari, le sanificazioni, le utenze da pagare altrimenti mi avrebbero staccato anche la corrente”.

“Una settimana prima di questa nuova chiusura avevo fatto un’altra sanificazione, avevo comprato le protezioni e gli igienizzanti. Non ho altre entrate, questo è il mio lavoro da sempre, se mi mandano via davvero non so cosa fare!”.

Una situazione difficile dal momento che nei locali che ospitano la palestra Michele negli anni ha fatto anche dei lavori. “Oltre alle migliaia di euro spese nel tempo per avere macchine all’avanguardia, ho fatto anche diverse migliorie e lavori e rischio di ritrovarmi senza niente. Se mi sfrattano dove mi metto?”.

“Abbiamo anche subito una campagna mediatica molto negativa, si è lasciato far passare il messaggio per cui la palestra è un posto pericoloso che, invece, se frequentato con le dovute cautele rafforza mente e corpo e consente di mantenere uno stato di salute ottimale”.

Intanto, in attesa di conoscere il destino dei locali della sua palestra, Michele sta provando a riciclarsi come personal trainer “a domicilio”.

“Si può fare sport all’aria aperta e lo sport è la mia ragione di vita. Per cui ho pensato di ‘riciclarmi’ cos’: chi non vuole perdere la forma può contattarmi e facciamo un allenamento o a distanza, oppure anche all’aperto.

“Sono allenamenti di un’ora e mezza circa con attrezzature leggere come bilancieri o elastici. È un momento difficilissimo ma lo sport in queste circostanze può essere un aiuto anche per spezzare l’isolamento e mantenere in forma corpo e spirito”.

Per quanto riguarda lo sfratto la speranza per Michele adesso è che la giurisprudenza sia dalla sua: come accaduto in altri tribunali in Italia, i giudici hanno sospeso gli sfratti per i titolari di attività penalizzate dal lockdown e quindi morose “causa Covid 19”.

È il caso ad esempio di un ristoratore di Settimo Milanese che come Michele è rimasto indietro con gli affitti a causa del lockdown. Il proprietario dell’immobile è andato con lo sfratto che è stato però “congelato” da un giudice del tribunale di Milano.

Dal lockdown il ristoratore milanese non è riuscito a pagare l’affitto di marzo, aprile, maggio per un totale di 10.600 euro. Il magistrato, che ha rinviato la causa a dicembre, ha chiesto alle parti di rinegoziare il canone, facendo appello “al dovere di solidarietà” così comesancito dalla Costituzione.

Con l‘emergenza sanitaria e il lockdown molte attività hanno visto drasticamente ridurre le proprie entrate e, per questo, il giudice di Milano ha dichiarato che “nell’emergenza sanitaria in corso è da ritenersi necessaria, alla luce del principio di buona fede e correttezza nonché dei doveri di solidarietà costituzionali, una rinegoziazione del canone”.

Altrimenti, ha chiarito, “si scaricherebbero i sacrifici imposti solo sull’affittuario che ha sofferto di una limitazione nel godimento del bene”.

Inoltre, il giudice ha osservato che se il locale fosse rimesso sul mercato, nell’attuale situazione, “verosimilmente non otterrebbe più il valore fissato dall’ultimo contratto; il valore del bene infatti sarebbe ridotto”.

Il magistrato ha quindi chiesto alle parti di trovare un accordo, poiché a causa delle misure restrittive imposte l’attività non ha potuto procedere a pieno regime.

L’ordinanza del pm si ricollega alla relazione con la quale la Cassazione a luglio ha affrontato il tema della “Eccessiva onerosità dei canoni conseguente all’ emergenza Covid-19”.