Cultura

Le nuove stanze della poesia, Francesco Giuliani: poeta e pastore

Francesco Giuliani, il ritratto e il ricordo del poeta pastore nato a Castel Del Monte nel 1888, per l'appuntamento con la rubrica Le nuove stanze della poesia.

Il ritratto di di Francesco Giuliani, poeta e pastore per l’appuntamento con la rubrica a cura di Valter Marcone, Le nuove stanze della poesia.

Dopo aver presentato alcuni editori narratori,poeti e letterati che proprio per le loro qualità mettono nell’attività editoriale un particolare impegno, vogliamo ora presentare particolari figure del mondo della poesia come per esempio, per questa puntata il pastore poeta Francesco Giuliani.

Alle ore 21,30 del 15 luglio 2020 per le rassegne di “Cantiere immaginario” tenutosi a L’Aquila in quel mese di luglio 2020, in Piazza Duomo è andato in scena “La stanza del pastore”, la fortunata drammaturgia di Vincenzo Mambella, diretto ed interpretato da Edoardo Oliva, sul palcoscenico Giuliano Di Giuseppe alle tastiere, Luca Trabucchi alla chitarra, Pierluigi Ruggiero al violoncello, Virginia Galliani al violino, Claudio Di Bucchianico all’oboe, con la scenografia di Francesco Vitelli, le musiche originali e gli arrangiamenti di Giuliano Di Giuseppe e il video a cura di Francesco Calandra e Maria Grazia Liguori.

Si trattava di un omaggio proprio al pastore poeta Francesco Giuliani attraverso la proposizione al pubblico di parole leggere, suoni melodiosi tratti e ispirati di libri di “Chicche ru cuaprare”, il soprannome di Francesco Giuliani (Castel del Monte 1888-1969), lo straordinario pastore-poeta e scrittore abruzzese che amava Dante, Ariosto e Tasso.

Quei preziosi e inseparabili libri lo hanno accompagnato nelle sue numerose transumanze, e gli hanno permesso di guardare al mondo e all’umanità con uno sguardo sempre nuovo e diverso perché tutto quel mondo e quella umanità già la contenevano da soli.

Con una forte introspezione che gli ha permesso di restituire, attraverso i suoi versi, tutte le considerazioni, i pensieri, le emozioni che la lettura di quei libri, ma anche le sue esperienze, gli suggerivano

Sfogliando i suoi amati autori classici nella sua stanza, prenderanno forma i suoi ricordi mentre la vita lentamente volterà le sue ultime pagine.

E il testo teatrale, liberamente ispirato alla vita di Francesco Giuliani che ne è scaturito lo mette bene in evidenza. Nel dicembre 2019, l’Unesco ha riconosciuto la transumanza come patrimonio dell’umanità. L’evento è stato presentato dal Teatro Stabile d’Abruzzo con Fondazione Aria, l’associazione Espressione d’arte e Teatro Immediato.

Dunque i pastori del Gran Sasso hanno talvolta raccontato le loro storie in lunghi diari o hanno addirittura messo in versi la loro esperienza della transumanza, nella tradizione dei poeti-pastori.

È il caso di Francesco Giuliani, pastore nato a Castel del Monte, sul Gran Sasso, nel 1888 e ivi morto nel 1969. I fatti narrati in versi nel suo diario delle transumanze risalgono ai primi anni del Novecento.

A settembre cominciava la transumanza. I pastori, seguendo i trattuti conducevano le loro greggi da Campo Imperatore, nel Parco nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga, al Tavoliere delle Puglie, per poi rientrare a Campo Imperatore al disgelo in primavera. Per cinquant’anni Giuliani ha percorso all’andta e al ritorno queste strade che attraversavano alcune regioni. Ininterrottamente per cinquant’anni egli ha vissuto la transumanza con la sola interruzione allo scoppio della prima guerra mondiale e durante una breve esperienza in fabbrica da emigrato in Francia.

Francesco Giuliani, ispirato dai grandi classici della lingua italiana, decide di passare dalla lettura alla scrittura e così riempie alcuni quaderni . In alcune pagine di questi quaderni si legge per esempio : “ Se ascoltar vi piace . La transumanza raccontata da Francesco Giuliani “

“I pastori per otto mesi nelle Puglie, lontano dalle famiglie, sparsi in quella sterminata pianura che ancora oggi si chiama il Tavoliere, tante volte nelle campagne deserte e malariche, per alloggio una stalla o la capanna, senza nessuna necessaria comodità, dove si viveva quasi la vita degli uomini primitivi; quattro mesi in montagna, eppure non erano tutti analfabeti. Nelle sere d’inverno riuniti intorno ad un gran fuoco, si leggeva e tutti ascoltavano attentamente. I libri preferiti erano L’Orlando innamorato, L’Orlando furioso, La Gerusalemme liberata, I Reali di Francia, Il Guerin meschino, Le mille e una notte, Le storie dei Paladini di Francia e Paris e Vienna. C’era qualcuno che poteva fare concorrenza a Silvio Pellico e Tommaso Grossi, nel sapere a memoria parecchi canti della Gerusalemme liberata. Però non tutti i padroni permettevano di leggere; c’erano di quelli che per l’avarizia superavano l’Avaro di Salerno e la sera, come questi, se ne stavano al buio. Quando gli affari andavano bene il padrone stava contento e ai pastori comprava il vino. La sera, rientrati nel rustico abituro, vi regnavano la pace e l’allegria.

Qualcuno che aveva un poco di intelligenza raccontava fiabe e storielle allegre. Vivevano nella più pura semplicità. Credevano per vere tutte le fiabe di orchi, di maghi, di fate, di streghe e questi racconti creavano sempre la delizia della pura e semplice compagnia.

Raccontavano anche di tesori nascosti nelle caverne sui nostri monti, ma custoditi dai demoni, e non vi era stato mai un coraggioso che riusciva a prenderli. Quando tutto andava male per qualche nevicata o per qualche altro accidente, era come se si stava in lutto. La sera se ne stavano taciturni e muti e se qualcuno faceva una parola non c’era chi gli rispondeva; era come se si assistesse ad una veglia funebre. Qualcuno, annoiato da tanto silenzio, se ne andava a dormire. Se il pane era di cattiva qualità nessuno poteva reclamare.

Pazientemente si doveva tollerare tutto. Negli anni del brigantaggio si può dire che vivevano sotto il terrore. Non potevano stare mai tranquilli; qualche volta di notte assaliti e derubati, la casa incendiata e a qualcuno veniva tolta barbaramente la vita. Quando non c’erano le ferrovie la maggior disgrazia per i pastori era quando cadevano ammalati; e nelle zone malariche accadeva spesso. Il malato che voleva e poteva tornare al suo paese vi andava a cavallo sopra il basto, accompagnato da un conducente che prendeva la via del ritorno. La paga giornaliera era di trenta o quaranta centesimi e un chilo di pane, al mese un litro d’olio e un chilo di sale.

Erano uomini grandi e robusti; chi sa che si sarebbero mangiato e dei trenta chili di pane ne risparmiavano cinque o sei e anche l’olio non lo consumavano tutto. Stavano sempre affamati come i lupi; mangiavano ogni qualità di verdura selvaggia. La carne delle pecore morte si salava e si conservava secca. Per conto del padrone erano attivi, infaticabili. Lavoravano non solo il giorno, ma anche parte della notte e per se stessi trovavano il tempo per radersi, rattoppare i panni, lavare la biancheria. Al tempo della partenza, nei tempi passati, c’era l’usanza che il giovanotto che aveva la fidanzata riuniva tre o quattro cantori e suonatori e con questi andava sotto la finestra della sua bella e con poche strofe rozzamente ingarbugliate esprimeva il dolore per la partenza, il pensiero che si aveva nella lontananza e l’ansia del ritorno. La fanciulla si affacciava e rispondeva con un mesto canto. Quelle strofe volentieri le avrei scritte, ma non mi riuscì di coglierle intere e per questo vi ho messo del mio.”

Nel 1960 Francesco Giuliani affidò i suoi quaderni all’antropologa Annabella Rossi, che ne ha curato la pubblicazione. Ne proponiamo una pagina.

Di settembre allor verso la fine / lassù nel nostro Campo Imperatore, / sull’alte vette, e pur sulle colline / vi scende della neve il bel candore, / bianche le valli ed il piano di brine / ti punge il freddo; le greggi e il pastore / non vi ponno più stare senza ripari / a partire convien che si prepari.
La partenza è ver che è dolorosa / che distaccarsi non puo far piacere, / perché si vive una vita incresciosa / delle Puglie nel vasto Tavoliere. / Chi lascia la consorte o l’amorosa, / i figli, i genitori. Triste mestiere! / Per la miseria e campar la vita / la famiglia non può viver unita.
E partono i pastori un bel mattino / pare che sembran lieti e confortati, / per breve tratto del lungo cammino / vanno dai loro cari accompagnati. / Breve sosta nel borgo vicino, / dopo di aversi un po’ rifocillati / come gli piace con qualche bicchiere / che gli toglie la pena e il dispiacere.
A Forca poi si fermano la sera / dove si stanno col gregge accampati. / Come si puote in qualche maniera / si fa la magra cena e ristorati; / poi si stanno nella notte intera / sopra a qualche pelle addormentati, / e non appena è chiaro il mattino / son pronti e si rimettono in cammino.
Pel tratturo si va largo ed erboso / dove le greggi posson pascolare; / per tutto il giorno non si ha mai riposo / danno le greggi fin troppo da fare. / Lo sguardo intorno può spaziare ozioso / tanti paesi belli ad osservare, / Frittoli, Curvara e Petranico / adagiato sopra un colle aprico.
Adagio o in fretta sempre avanti vanno / campi e paesi a incontrar più belli, / Cugnoli, Nocciano, a destra Alanno; / dei contadini dovunque gli ostelli. / Son ghiotti i pastor io non m’inganno / di tutti i tratti che vedon novelli; / i giovani talor svelti ed accorti / nelle vigne rubano e negli orti.
La sera poi nell’ubertosa piana / del Pescara si sosta, a lieta cena / con gente buona, si può dire umana / e si oblia un po’ l’amara pena. / Non si sa da quale època lontana / alle Puglie il trattur le greggi mena. / …

Francesco Giuliani, “Diario”, in Monti d’Italia – Appennino centrale, ENI, 1972, pagine 128. Leggi anche Se Ascoltar vi piace dai quaderni di Francesco Giuliani, a cura di Maurizio Gentile, Lindau Editore 1992. L’editore Japadre di L’Aquila ha pubblicato nel 2001 di Francesco Giuliani il Diario della guerra 1915-18 curato da Paolo Muzi.

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