Abruzzo, la ripresa che non c’è: non si può aspettare il Recovery Fund

In Abruzzo il Pil 2020 chiuderà ben oltre il -10%: non si può aspettare il Recovery Fund. Occorre sbloccare subito le opere pubbliche. L’analisi dell’economista Piero Carducci
In Abruzzo poi la situazione è peggiore rispetto a quella nazionale perché la pandemia ha esacerbato criticità irrisolte ed anzi neppure affrontate, come la caduta della produttività che va avanti da sette anni (nella media europea cresce dell’1,6% anno), l’arretratezza infrastrutturale, una burocrazia lenta e intoccabile, piccole imprese debolissime, aree interne sempre più spopolate e marginalizzate.
La fotografia è quella di un territorio con importanti punti di forza ma in affanno, dotato di enormi potenzialità che tali restano, arretrato sotto il profilo dei fattori di competitività, a partire dalla capacità di fare sistema.
La pandemia ha soltanto peggiorato lo stato di salute di una Regione già fragile: nel 2020 l’attività produttiva si è ulteriormente indebolita, il fatturato delle imprese industriali è in difficoltà, l’export è in caduta, l’innovazione viene fatta solo dalle grandi imprese, le Università sono ancora troppo slegate dal tessuto produttivo. Settori come moda, turismo, commercio al dettaglio, ristorazione, trasporti sono in ginocchio. Altri come agroalimentare e meccanica sono invece in ripresa, grazie all’export verso gli unici Paesi a Pil positivo: Cina, Turchia, Corea del Sud, Hong Kong e Far East in generale.
In Abruzzo il Pil 2020 chiuderà ben oltre il -10%, peggio della mia previsione econometrica di marzo che, in verità, considerava tra le ipotesi del modello una pronta reazione della Regione che, al contrario, è stata debole e tardiva. E la seconda ondata fa partire in salita pure il primo trimestre del 2021.
Nell’attesa del Recovery Fund, la Regione deve fare la sua parte per mettere qualcosa di importante sul piatto della bilancia del Pil abruzzese. Insufficiente in questi mesi la capacità di spesa delle risorse disponibili, a partire dai fondi europei, dove l’assistenza tecnica regionale continua a presentare vistosissime lacune (tant’è che i comuni non spendono importanti risorse europee, con poche eccezioni).
Abbiamo due carte da giocare e di impatto immediato: il “Superbonus110” per il rilancio dell’edilizia, e su questo i comuni si stanno muovendo abbastanza bene, e la cantierizzazione delle opere pubbliche. Soltanto un grande piano rapido, immediato, cospicuo, di avviamento dei cantieri pubblici può tirarci fuori dal pantano della crisi. Partiamo da una constatazione: ogni miliardo di euro investito in opere (infrastrutture, banda larga, ecc.) genera, grazie ai moltiplicatori, un incremento del Pil di 3miliardi di euro ed una crescita dell’occupazione media di 80.000 unità per tutta la durata dell’investimento. La velocizzazione delle opere pubbliche dovrebbe essere la massima priorità politica, e non da oggi, dato che il beneficio per l’economia e l’occupazione sarebbe rilevantissimo. Occorre un intervento straordinario, anche sulla burocrazia immobile, per far partire almeno una decina di opere in tempi rapidi. Anche in Abruzzo, ahimé, molte opere procedono con tempi inaccettabili per una serie di ostacoli alla cui rimozione non si sta lavorando con sufficiente determinazione da parte della Regione, nonostante le risorse siano appostate ed i progetti esecutivi pronti da tempo.
E’ ora di passare dagli enunciati a piani precisi, con tempi e risorse certe, per infrastrutture materiali (a partire dai porti, carenti al punto da escluderci dall’occasione storica di far parte della Via della Seta), per la digitalizzazione (nelle aree interne siamo quasi all’anno zero), l’innovazione (occorre valorizzare le Università non con le chiacchiere ma come motore dello sviluppo) e la sburocratizzazione (ahimé).
Occorre uno stimolo keynesiano immediato, uno shock di spesa pubblica in investimenti per evitare all’Abruzzo di sprofondare nella recessione peggiore dai tempi del dopoguerra. E se la Regione non funziona, neppure i privati verranno ad investire e sceglieranno per le loro imprese territori più fertili ed accoglienti del nostro.