Le nuove stanze della poesia, Cesare Fagiani

Il profilo di Cesare Fagiani per l’appuntamento con la rubrica Le nuove stanze della poesia a cura di Valter Marcone.
Il lancianese Cesare Fagiani fu ritenuto da studiosi come Giammarco e Giancristofaro, l’erede spirituale di Modesto Della Porta.
Le sue opere, comuni a quelle del coetaneo e conterraneo Giuseppe Rosato, hanno dentro lo spirito scanzonato, e riflessivo di una originalità che viene dalla terra chietina. Fa parte di un gruppo di poeti tra cui Guido Giuliante, figlio del famoso scultore Felicetto Giuliante e Alfredo Luciani, Luigi Dommarco, Ermindo Campana, quest’ultimo di Palena. Insieme con i poeti del circolo Peligno con i poeti Ottaviano Giannangeli e Alessandro Dommarco hanno scritto pagine rilevanti nella storia della poesia abrussese.
Il padre di Cesare Fagiani si chiamava Alfonso e lavorava come tipografo nella Casa Editrice Rocco Carabba. Da questo suo genitore, che amava appassionatamente la poesia dialettale, Cesare prese quel dna che lo portò, dopo essersi diplomato come maestro da autodidatta ad interessarsi di letteratura e poesia.
Iniziò a insegnare nel 1920 anno del diploma materie letterarie presso la Scuola di Avviamento Industriale di Lanciano. Nel 1923, vinto il concorso da maestro elementare, venne assegnato alla Scuola della fraz. Verratti di Casoli (Chieti). In quegli anni compose in dialetto le commedie, rimaste inedite, “A la fére de lu bòn’ cunzìje” (Alla festa della Madonna del Buon Consiglio) e “‘Na parentézza a la ritòrne” (Una parentela a circolo).
Il suo dramma per ragazzi “La mamme che nen mòre” (La mamma che non muore) venne messo in scena al Teatro Fenaroli di Lanciano nel 1930. Tra gli attori un ragazzo decenne Eraldo Miscia suo allievo e futuro scrittore .
Nel 1933 aggiunse alcune sue liriche ad una raccolta di componimenti scritti dal padre Alfonso e pubblicata con il titolo Lu Done, (Il Dono,) raccolta di versi ispirata alla tradizionale sfilata di carri dell’8 settembre in omaggio alla Madonna).
Raccolse premi e menzioni e soprattutto scrisse versi musicati che incontrarono il favore del pubblico : molte delle sue composizioni vennero messe in musica per le canzoni delle rappresentazioni folcloristiche abruzzesi, fino a pubblicare la sua prima raccolta di versi dialettali “Luna Nova” (Lanciano, 1949), che mette insieme poesie scherzose e sentimentali, ritratti di conterranei illustri, testi per canzoni e odi d’ispirazione religiosa, nonché le notevoli “Pagine di Storia”, (memorie personali degli avvenimenti bellici e della rivolta antinazista lancianese dei Martiti ottobrini del 6 ottobre 1943) seguita con un secondo volume nel 1953 “Stamme a sentì ca mò te la reccònte”, (Stammi a sentire, ora ti racconto), con introduzione di Italo Testa, compendio di liriche di vario argomento sullo stile del conterraneo Modesto della Porta.
Pubblicò ancora testi destinati al teatro raccolti in “Teatro Abruzzese” (Lanciano, 1961), composta dalla commedia in versi in tre atti “Sciò-llà” (Pussa via!, Fatti da parte), dalla commedia in prosa “Lu crivelle”, (Il crivello ) e “La feste di Sant’Eggìdie” (La festa di Sant’Egidio), Nel 1965 quattro suoi componimenti vennero pubblicati nella raccolta “Lu pijatòre de le feste” (L’impresario di bande musicali, ) Muore l’8 novembre 1965 a Roma all’età di 64 anni.
La Squije di Natale
La Squije di Natale dure n’ora
eppure quanta bbene ti sumente!
Tè na vucetta fine, e gna li sente
pure lu lancianese che sta fore!
Ti vùsciche di botte entr’a lu core
nu monne ch’à passate, entr’à la mente
ti squaije nu penzere malamente
nche nu ndu-lin-da-li che sa d’amore.
Ve da na campanelle chiù cumune
eppure ti rifà gne nu quatrale,
ti fa pregà di core,’n ginucchiune.
Ugne matine sone ma nen vale
la voce de lu ciele, pé ugnune,
chi sa pecché! … le té sole a Natale!
La squilla a Natale dura un’ora
eppure quanto Bene che t’ispira.
Ha una vocina sottile ma la sente
anche il Lancianese che sta lontano.
Ti agita ci colpo dentro al cuore un mondo ormai passato,
dentro la mente ti scioglie un pensiero maligno
con uno scampanio che sa d’amore.
Arriva da una comune campanella
eppure ti fa tornare bambino,
ti fa pregare di cuore, inginocchiato.
Ogni mattina suona, ma non ha lo stesso valore.
La voce del cielo, per ognuno,
chissà perché, ce l’ha solo a Natale