Il poeta aquilano Andrea Petricca racconta Beethoven

Il musicista e poeta aquilano Andrea Petricca racconta Beethoven: “Ascoltare le sue Sinfonie camminando sul Gran Sasso è pura magia”.
“La musica è una rivelazione più profonda
di ogni saggezza e filosofia”
Ludwig van Beethoven
Cos’è la musica di Beethoven?
Da sempre il Gran Sasso è la meta delle mie escursioni estive insieme a mio padre. Durante il tragitto tra la nostra casa e Campo Imperatore è pura magia ascoltare le Sinfonie di Beethoven suonate dalla Berliner Philharmoniker diretta da Karajan e percepire il tempo non come il ticchettio di un orologio, ma come flusso vitale reso in musica: il tragitto da casa a Campo Imperatore dura infatti circa un‘Ottava di Beethoven.
Man mano che ci si avvicina alle vette del Gran Sasso, la musica di Beethoven trasforma la bellezza di quei luoghi appenninici in idealità, in filosofia. Sorge Pizzo Cefalone nell’Adagio della Quarta Sinfonia o il Corno Grande nel trionfo dell’ultimo movimento della Settima.
Beethoven si può sentire fisicamente. Quando suono le sue Sinfonie, le sue Sonate, i suoi canti popolari lo sento nell’arco, in quella tensione e in quel peso corporeo e spirituale che dalla mente passa alla mano e da qui alla bacchetta che, arcuata e in tensione, fa affondare i crini sulle corde e trasferisce alle vibrazioni dell’anima del violino l’interpretazione dell’idea beethoveninana, trasformandola in musica, in arte, in commozione, in vita.
Per me Beethoven è la musica più profonda della Natura che da essa si sprigiona per perdersi nei misteri più fitti dell’ignoto. Amo la musica di Beethoven innanzitutto come persona prima che come musicista. Studiare il violino per 10 anni mi ha fornito quella più fine e consapevole vista interiore per scorgere i segreti rivelatori di Ludwig, ma quella musica travolgente e allo stesso tempo meditativa, quell’ira e quella dolcezza rese suoni e silenzi riescono ad elevare qualunque spirito umano. Nella musica di Beethoven si può scorgere la bellezza umana razionalizzata dalla mente e abbandonata alla romantica ricerca dell’infinito.
Nei momenti di crisi mi rifugio sempre tra i sentieri che affiancano l’Eremo-Santuario della Madonna d’Appari di Paganica ed è proprio in quei momenti che nel silenzio cosmico della mia mente nasce il ricordo della musica di Beethoven, che dona forza all’animo afflitto, coraggio laddove non c’è più speranza.
Beethoven mi ha accompagnato e mi accompagna in ogni momento, persino quando, studiando la Storia di Napoleone, ho vissuto quella stessa ammirazione mista a profonda delusione che visse Beethoven quando strappò la dedica a Napoleone che aveva posto nella sua Eroica. Ma è proprio nella crisi che Beethoven trova l’opportunità di affidarsi con intelligenza, razionalità e sentimento alla sua arte. “La musica è come un sogno che non riesco a sentire”, diceva infatti Beethoven.
La musica di Beethoven non conduce forse in un universo divino, ma umano, in un’interiore umanità perfetta proprio perché ricca di imperfezioni, limiti e contrasti che generano bellezza vissuta e autentica; Beethoven accompagna l’ascoltatore o l’interprete prendendolo per mano con vigore e lo conduce sulla cima di una montagna, quella più alta. Da lì gli indica il cielo, l’immensità, il mistero dell’esistenza, la sofferenza terrena a cui non c’è altra risposta se non la musica.
Dalla sofferenza che spesso conduce fino alla più tenebrosa morte, Beethoven rivela sempre un riscatto, una risalita, una luce che sorge flebile dalle nostre capacità umane e che poi si espande esplodendo nell’immenso Inno alla gioia, nel Finale della Fantasia corale (basato su un commovente testo di Christoph Kuffner), nel Trio dello Scherzo della Sonata n. 7 per violino e pianoforte o nella semplicità quotidiana di una Pastorale.
Beethoven riesce a rendere l’anima afflitta del musicista o dell’ascoltatore adrenalinica, viva, trionfante. Come i più grandi maestri, però, Beethoven non ci dà risposte, ma solo la consapevolezza della nostra capacità di pensare e di elevarci tramite il ragionamento, la riflessione, fino ad abbandonarci al sentimento, nella poesia e nella musica. Come diceva Socrate: “io non posso insegnare niente a nessuno, io posso solo farli pensare”.
Il secondo tempo della Settima parte da una soffusa foschia per poi sfociare nell’intreccio di ruscelli e altissime cascate che levigano giganti di roccia: è il suono della creazione di ogni cosa, della creazione del mondo, della Natura, della coscienza umana.
Non manca però l’amarezza della pietosa e traditrice crudeltà umana cantata nel Massacro di Glencoe in cui Beethoven mette in musica lo straziante carme di Walter Scott, uno dei tanti meravigliosi testi degni del repertorio di stampo popolare composto da Beethoven; ma anche in questo caso dopo che la voce del soprano si è estinta come un ultimo respiro, negli ultimi pizzicati del violino e del violoncello e negli ultimi tocchi del pianoforte rimane l’invisibile luce di una rinascita. Beethoven, infatti, non conosce “altro segno di superiorità per l’uomo se non la bontà”.
Negli ultimi quartetti (che per Schumann “si trovano al limite estremo di tutto ciò che è stato raggiunto finora dall’arte e dalla fantasia umana”) Beethoven scrive filosofia in musica: lo fa nel Quartetto n. 14 in cui i 7 tempi del quartetto si avvicendano senza alcuna pausa tra un tempo e l’altro come in un flusso temporale che non può essere fermato in nessun modo dall’uomo (di questo quartetto, che sembra essere stato il preferito dallo stesso Beethoven, Schubert commentò “Dopo questo, cosa ci resta da scrivere?”) o lo fa nella Canzona di ringraziamento offerta alla divinità da un guarito in cui l’umiltà e l’umanità generano la commovente cura dell’anima e del corpo, oppure nel Presto del quarto tempo della Sonata n. 7 per violino e pianoforte in cui un’attrazione irresistibile verso l’accordo finale genera tensione vitale giungendo in una doppia sbarra musicale invalicabile; nel silenzio di un’eterna corona finale confluiscono come diceva Beethoven “due forze, che hanno uguale grado di certezza, di unitarietà e nello stesso tempo sono parimenti originali e universali, ossia le forze di repulsione e di attrazione”.
La musica di Beethoven è per me arrivare sulla vetta di una montagna dopo una faticosa ma bellissima scalata tra le rocce di un sentiero e ammirare da lì la terra che si estende fino all’orizzonte nel tempo e nello spazio terreno e umano, alzando poi lo sguardo al ravvicinato Cielo che nasconde nell’azzurro risposte a cui solo la musica e la poesia animate dalla filosofia umana possono accedere.
La musica di Beethoven è rendersi umili di fronte alla Natura e alla collettività utilizzando appieno la nostra intelligenza umana, il nostro sacrificio per dar vita alla bellezza, realizzandoci come esseri perfetti tra i nostri limiti e affidando alla nostra arte la celata scoperta di ogni Verità.
È un atto di umiltà e di amore sintetizzato da Beethoven nella frase che lui stesso disse di fronte alla tomba di Händel: “mi scopro il capo e mi inginocchio”.
Beethoven ci insegna a sconfiggere il destino “sorridendo poco a poco”, ad andare oltre, a raggiungere fini superiori dando forza alla nostra persona che come l’oboe nella Quinta Sinfonia è parte imprescindibile di un tutto, è bellezza specifica nella bellezza universale.
Noi siamo parte di quel tutto, di quell’Universo, di quella Natura in cui riponiamo i nostri misteri, e, perciò, come diceva Ezio Bosso, tutti noi siamo anche figli di Ludwig van Beethoven.
“Si dice che l’arte è lunga e breve la vita: ma lunga è la vita e breve l’arte.
E se il suo soffio ci eleva fino agli dèi, non è che per un istante”. Ludwig van Beethoven
Andrea Petricca, 20 anni, violinista e poeta aquilano, si è diplomato in Violino con il massimo dei voti e la lode al Conservatorio “A. Casella” dell’Aquila, ha conseguito la maturità scientifica con il massimo dei voti e la lode ed è inserito nell’Albo Nazionale delle eccellenze.
È iscritto al primo anno di Scienze Politiche all’Università di Teramo. Ha un’intensa attività concertistica come violinista e ha svolto anche attività come attore cinematografico e teatrale.
Dal 2014 ha ricevuto più di 60 premi in concorsi internazionali e nazionali di poesia e letteratura, classificandosi primo numerose volte. È membro di giuria di diversi concorsi letterari. Nel 2018 e nel 2019 ha scritto due libri di poesia che hanno ricevuto importanti riconoscimenti internazionali. Il suo secondo libro bilingue “La coscienza di Euterpe – The conscience of Euterpe” ha ricevuto, nel 2020, il prestigioso “Premio Speciale Giovani” al Concorso Internazionale di Poesia 2Don Luigi Di Liegro” a Roma ed è arrivato finalista al Premio Internazionale “Michelangelo Buonarroti” in Toscana.
Il libro è esposto in Inghilterra, nella prima Poetry Pharmacy al mondo, della scrittrice Deborah Alma; inoltre è stato letto da importanti personaggi come Dacia Maraini, Vittorio Sgarbi, Nuccio Ordine, Ezio Bosso, Jacopo Sipari, Ilya Grubert, Roberto Giacobbo, Flavio Insinna. È stato donato a Papa Francesco ricevendo una lettera personale di ringraziamento e alla Casa Bianca, tramite l’Ambasciata degli USA. Con il suo secondo libro, Andrea Petricca ha ideato l’Euterpe International Project for Art and Culture, un progetto volto alla promozione e diffusione della cultura sopratutto tra le nuove generazioni e, nella forma didattica, tra i bambini.