Le nuove stanze della poesia, Modesto della Porta

31 dicembre 2020 | 12:28
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Le nuove stanze della poesia, Modesto della Porta

Gli auguri di fine anno con una poesia di Modesto della Porta per l’appuntamento con la rubrica Le nuove stanze della poesia, a cura di Valter Marcone.

A conclusione di un anno non proprio felice per gli avvenimenti che lo hanno caratterizzato, tra cui le conseguenze psicologiche, sociali, economiche della pandemia dovuta al contagio da coronavirus voglio esprimere un augurio forte e completo. In questa ultima puntata dell’anno de Le nuove stanze della poesia, voglio augurare un buon anno nuovo ancora una volta al Direttore del Capoluogo e alla redazione che hanno permesso che questa rubrica potesse arrivare settimanalmente, con il racconto della vita di poeti del passato e contemporanei e delle loro opere, ai lettori. Ai quali poi in modo particolare voglio dare un augurio perché il prossimo anno porti nella vita di ciascuno di loro non la speranza ma la promessa di ogni bene .

E proprio per continuare ad evocare questo clima delle festività natalizie che ogni anno rinnova quella emozione che fin da bambini conserviamo nel nostro cuore e aspettiamo con gioia, affido ad una poesia di Modesto della Porta di rinnovare ancora una volta questa magia.

Modesto della Porta nacque a Guardiagrele (CH) non esercitò come attività principale l’attività di poeta, ma fu un sarto, che onorò la sua professione.

Partecipò attivamente come componente della banda civica alle feste del suo paese e dei paesi vicini . Le sue poesie in dialetto guardiese sono oggi un patrimonio di memoria e di saggezza perché quasi sempre riflettono sul senso della vita e sulla rassegnazione alle condizioni della vita umana tra cui la povertà che non è miseria e che ha in sé la forza anche della satira e dell’ironia come strumento di momentaneo riscatto verso l’oppressore di turno o la condizione di vita volute dalla società o dalla natura.

Pubblicò “Ta-pù: lu trumbone d’accumpagnamente”, che dà il titolo ad una silloge di poesie composta nel 1920, pubblicata dall’editore Carabba di Lanciano.

Nell’opera Modesto Della Porta rappresenta un calzolaio, suonatore del trombone d’accompagnamento, strumento musicale presente nelle bande, il cui unico suono è, appunto, “Ta-pù”. Le poesie più celebri sono: Nu sem nu – Serenate a mamme – La cocce de San Dunate – La Nuvène de Natale.

La poesia che segue ha come titolo “Lu pranze de Natale” e la si può ascoltare anche su Youtube al link https://www.youtube.com/watch?v=63CAb5xreu0.

Devo il testo che riporto di seguito alla cortesia del mio amico Andrea Giampietro. studioso del mondo poetico vernacolare e della vita delle tradizioni della nostra regione .

La poesia è in sostanza un colloquio tra Don Giuvà che chiede a Caitàne come sarà il suo pranzo di Natale. Probabilmente un pranzo di Natale che ciascuno di noi ha gustato con quelle ricette che da secoli si tramandano. Un pranzo che è fatto di “prelibatezze” che vengono dalla campagna per Don Giuvà che però il poeta fa solo intendere mentre è un pranzo, completamente raccontato quello di Caitàne.

Perché quello che interessa al poeta Modesto della Porta è affermare la semplicità di alcune pietanze come anima di una tradizione che appunto dalla semplicità e genuinità trova la sua forza di resistere ad ogni vento contrario, come possono essere le avversità che purtroppo non mancano mai nella vita e che non sono mancate anche in questo anno 2020 che si avvia a concludersi .

“Mbè,che scì preparàte ,Caitàne?”
“Spachitte ,don Giuvà,’nche la sardelle,
lu capitone sopr’a la ratelle
e dope pesce fritte e bbaccalàne.

E queste pe’ ‘sta sere.Pe’ dumane:
lu gallinacce… già! le lahanèlle
nu pare de capune a lu tijàne
e appresse na ‘rrustanne di mujelle.

“Sintème don Giuvanne che si magne?”
“Dumane lu cardone le faceme…”
“T’àjje capite,cibbe prelibbate,

robe che t’arrivè ‘ da la campagne.
Nu’ immece puvirille ci-arrangème
‘nche quelle che se trove a lu mercate…”.