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Crisi ristoratori: “Vittime di un accanimento inspiegabile da parte dello Stato”

Ristoratori in crisi: "Non siamo supereroi ma gente normale, vittime di un accanimento da parte delle istituzioni quasi inspiegabile". L'intervista del Capoluogo al ristoratore aquilano Luca Taralli, uno dei tanti che non lavora da marzo scorso.

“Noi ristoratori stiamo pagando un prezzo troppo alto. Il Covid 19 ha colpito duro senza guardare in faccia nessuno e l’incertezza trasmessa in questi mesi a tutto il settore, oltre a essere dirompente, comincia a lasciarci stupefatti”.

A parlare al Capoluogo è Luca Taralli, un ristoratore aquilano, titolare del locale La Cartiera del Vetojo che adesso, dopo mesi di chiusura, comincia ad essere non solo stanco della situazione ma quasi “stupito dall’atteggiamento delle istituzioni nei confronti della categoria”.

Durante il lockdown di marzo, Luca, insieme a tanti colleghi ristoratori aquilani, ha creato un “movimento”, i Ravv, Ristoratori aquilani versus virus e tutti insieme, durante questi mesi, hanno protestato pacificamente nei confronti delle lunghe chiusure.

Adesso Luca si è quasi rassegnato, anche perchè i mesi di chiusura cominciano ad essere tanti. La sua non è una tipologia di locale che si presta a fare, per esempio, asporto o consegna a domicilio, l’unico conforto da ottobre in poi per alcuni suoi colleghi. Il suo è un locale dove si facevano banchetti e cerimonie: quindi, in pratica, è fermo da molto prima di marzo scorso.

“Siamo proprio spenti – dice Luca – stretti in una situazione dove abbiamo piegato la testa e non riusciamo ad andare avanti dopo 10 mesi in cui siamo vittime di un accanimento inspiegabile”.

“Non tutti i locali possono fare asporto, i colleghi non possono snaturare la natura delle proprie cucine: sarebbe un’altra cosa”.

“Anche a L’Aquila, lavoriamo all’interno di un mercato saturo di aziende che già facevano asporto ben prima della pandemia”.

Coronavirus, i ristoratori aquilani: “Non siamo gli untori”

“Qualcuno è riuscito a tirare avanti anche a Capodanno ma sappiamo benissimo che non potrà mai sostituire il servizio ‘in presenza’: non si tratta solo di guadagni. Noi siamo abituati a stare in mezzo alla gente e questa situazione ci ha messo in gabbia”.

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“Non si sa se molti potranno riaprire o come faranno ad andare avanti: l’asporto è stato una ‘pezza’ con cui tanti si sono sostentati nel quotidiano. Dopo essere stati tacciati di essere untori, siamo passati nella seconda fase in cui sembravamo tanti piccoli ‘Donald Trump’, tutti ricchi e con le riserve auree sotto il materasso“.

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“Non si conosce a pieno la difficoltà di chi vive e lavora nella ristorazione: ci sono mutui, scadenze, pagamenti, affitti, utenze, fornitori… spese praticamente quotidiane. All’inizio della pandemia, a marzo, qualcuno si è trovato scoperto con la banca che incalzava e i fornitori che avevano messo all’incasso anche gli assegni a 30 e 60 giorni!”.

La nostra stessa esistenza viene messa in forse dalle marcate insicurezze delle istituzioni. Scaricare poi addosso ai settori produttivi del Paese ogni colpa del diffondersi del contagio non fa onore a chi dovrebbe, per primo, assumersi il peso delle proprie scelte: il Covid non si prende nei ristoranti, noi ristoratori non siamo gli untori di Manzoni, ma soprattutto ci hanno soffocati a maggio con una serie di obblighi per riaprire e come ci siamo rimessi in marcia, l’ennesima chiusura. Cosa pensano di fare adesso per questo 2021?”.

“Uno si spezza in due per tanti anni, fa questo lavoro con passione, in maniera corretta e poi viene lasciato con pochissimi aiuti: non è giusto! Noi ristoratori siamo stati di fatto abbandonati, parliamo di giovani e meno giovani che portano avanti non solo un’attività, ma un sogno, nel quale hanno riposto non solo speranze ma anni di risparmi e sacrifici“.

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“Molti colleghi ristoratori hanno chiuso a marzo e ancora non riaprono, tenendo conto che gennaio e febbraio sono da sempre dei mesi ‘morti’ in tanti non lavorano da un anno. Cosa dire di più? Non riesco proprio a capire questo accanimento nei nostri confronti”.

“Gli aiuti alla ristorazione sembrano una specie di barzelletta che però non fa ridere: sono veramente poca cosa rispetto a quanto abbiamo dovuto sostenere. Non c’è stata la scelta di sospendere urbi et orbi le utenze o gli affitti e quel poco che è arrivato ha coperto, a malapena, l’ordinario. Non si è vista per mesi la cassa integrazione per i ragazzi che lavorano nei nostri locali che spesso non sono solo un aiuto fondamentale ma una spalla: tanti giovani, rimasti praticamente per strada”.

“I licenziamenti sono vietati fino al 31 marzo ma non riusciamo a immaginare quanta gente dopo questa data finirà per strada. Serpeggia questo sconforto, anche se non ce lo diciamo perchè alla fine cerchiamo di farci forza”.

“Non siamo supereroi, siamo persone normali che adesso cominciano ad avere paura. Lo Stato ci aiuti, seriamente, altrimenti quelle saracinesche e quelle cucine rimarranno vuote e spente”. 

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