Franco Marini a un passo dal Quirinale, quando la politica si arrese al populismo

L’Abruzzo piange la scomparsa di Franco Marini. Dalle vertenze in Marsica in Vespetta alla soglia del Quirinale. D’Alessandro: “La sua mancata elezione fu la sconfitta della politica che cedette sul populismo”. L’intervista.
“Lo si vedeva arrivare in Vespetta per quelle prime vertenze nell’area industriale marsicana; Franco Marini è stato un uomo venuto su dalla fatica della politica e dell’attività sindacale”. Lo ricorda così il deputato di Italia Viva Camillo D’Alessandro che proprio con l’ex presidente del Senato ha mosso i primi passi, come “figlio politico”. “Viene dalla fatica tipica degli abruzzesi che si sono fatti da soli e che sono arrivati ai vertici dello Stato e delle istituzioni democratiche. Non ci sono altri casi in cui la stessa persona è stata segretario nazionale di partito e di sindacato, ministro, parlamentare europeo, presidente di una delle Camere del Parlamento, a riprova di come sua autorevolezza crescente nel tempo gli abbia consentito diventare un punto riferimento che andava ben oltre la sua appartenenza politica. Quando venne eletto Presidente del Senato, se la giocò con un calibro da novanta come Andreotti e questa autorevolezza gli permise di arrivare a un passo dall’essere eletto Presidente della Repubblica.
Franco Marini, il mancato appuntamento con la Storia.
“In quei giorni – ricorda D’Alessandro – ero delegato come grande elettore della Regione Abruzzo, insieme al presidente Chiodi e a Gatti. Ho avuto il privilegio di trascorrere quei giorni nell’ufficio di Franco Marini, mentre le cose si componevano e si scomponevano. Ho visto un uomo che di fronte alla comunicazione arrivata da Franceschini che Bersani non avrebbe retto sul suo nome e quindi non lo avrebbe portato ulteriormente per la Presidenza della Repubblica, non fece una mossa di disapprovazione. Lui era così: fermo, forte. Però quelle giornate furono l’inizio della fine della politica, che per la prima volta veramente si inchinava al populismo urlante“.
“Fuori dal Palazzo – prosegue il deputato di Italia Viva – i 5 Stelle urlavano ‘Rodotà!’ e dentro il PD si suicidava, prima lasciando Marini come candidato alla presidenza, anche se i voti da lui ottenuti in prima votazione sarebbero bastati alla quarta, e poi cedendo al populismo fuori dal palazzo. Era la prova che il PD non era maturato nel matrimonio tra ex popolari ed ex Ds. Finì che Bersani cambio cavallo, propose Prodi e anche lui fu impallinato, si arrivò quindi al Napolitano bis. Anche Renzi non era favorevole a Marini, ma non era nel Palazzo, all’epoca era solo un sindaco che portava avanti una sua posizione, che non ho condiviso allora e non condivido ora. Ma quando è toccato a Renzi contribuire all’elezione del Presidente della Repubblica, ha rotto il Patto del Nazareno, pur di garantire al Paese un presidente come Sergio Mattarella, facendo quello che Bersani non aveva fatto per Marini. Bersani si piegò, perché aveva in mente l’accordo coi 5 Stelle, che poi lo umiliarono nella famosa diretta streaming”.
In quei giorni, però, andava in scena un’altra pesante polemica, con Stefania Pezzopane: “Non capii allora e non capisco ancora oggi come abbia potuto votare contro l’Abruzzo, in un periodo in cui la ricostruzione stentava e avere un presidente abruzzese avrebbe garantito il più autorevole dei riferimenti. Non intendo polemizzare con lei oggi per allora, ma questa è la verità storica”.
Franco Marini, dall’Abruzzo alla Storia d’Italia.
Al di là delle vicende politiche, però, Franco Marini è stato e rimane un grande abruzzese: “È stato sempre presente durante l’attività politica e sindacale, ma anche dopo. Veniva spesso tra le sue montagne ed è questo un patrimonio da conservare: bisogna ricordare che chi è investito di un ruolo pubblico ha dovere di donare alla propria terra tutto il proprio impegno. E questo fece Marini”.
“Con la fine della DC – ricorda ancora D’Alessandro – i democratici cristiani si trovarono a un bivio tra la destra e la sinistra. Marini, con il gruppo dirigente formato da Castagnetti, Jervolino e Matterella osò quello che oggi è scontato, ma allora sembrava una bestemmia, condurre il nuovo Partito Popolare, con il quale fui candidato a 18 anni alla Provincia, nel centrosinistra. Se oggi abbiamo il centrosinistra lo dobbiamo a quella scelta. Questo patrimonio di lavoro non va disperso, nei prossimi mesi bisognerà organizzare un luogo non solo di ricordo, ma di analisi e studio dell’opera di Franco Marini”.
Franco Marini, le Brigate Rosse e la vittoria della democrazia.
Tra gli aneddoti ricordati da Camillo D’Alessandro, il racconto dei giorni difficili dell’omicidio del giudice Alessandrini da parte delle Brigate Rosse. Marini ci raccontava spesso un episodio che lo aveva segnato: era entrato nell’ufficio dell’allora ministro Donat-Cattin, il suo “padre politico”, nel momento in cui il ministro aveva appreso la notizia che nel commando che aveva ucciso il giudice c’era anche suo figlio. Lo trovò piegato in due dal dolore. La favola della democrazia, però, volle che Marini, che aveva avuto come punto di riferimento politico il genitore di uno degli assassini del giudice, a sua volta fu uno dei primi grandi sostenitori del figlio del giudice Alessandrini, che divenne sindaco di Pescara”.