Cultura

Le nuove stanze della poesia, Alfredo Luciani

Il poeta Alfredo Luciani e le sue "Stelle lucende", per l'appuntamento con la rubrica Le nuove stanze della poesia, a cura di Valter Marcone.

Il ritratto di Alfredo Luciani e le sue “stelle lucende” per l’appuntamento con la rubrica Le nuove stanze della poesia, a cura di Valter Marcone.

Siamo andati pubblicando in questa rubrica il profilo e le singole poesie di poeti ,scrittori, intellettuali, operatori culturali abruzzesi del recente passato e contemporanei.

Vogliamo affiancare ora, tra le altre indicazioni di un panorama ampio ed articolato per il numero di autori e per i diversi generi , anche la presentazione di opere che meglio dei singoli componimenti possono illustrare la figura dell’autore proprio ,appunto, attraverso un’opera più articolata e comunque significativa nella produzione di quell’autore.

E in tema appunto di poesia dialettale riprendiamo il discorso da lontano .

“All’indomani dell’unità d’Italia anche in Abruzzo si cominciò a sentire l’esigenza di una ricognizione, più diretta e meno retorica, della realtà regionale. Dietro la spinta del positivismo e del verismo, s’intrapresero studi socio-economico-finanziari e fiorirono ricerche demologico-linguistiche ad opera soprattutto di Gennaro Finamore e di Antonio De Nino”.

L’Ottocento abruzzese fu caratterizzato da una vitalità di ricerche in molti capi e settori con studiosi e ricercatori in varie discipline come Giovanni Pansa e Pietro Piccirilli.

Pansa si dedica con l’amico Pietro Piccirilli e con Antonio De Nino allo studio dei monumenti locali, e al restauro degli stessi, promuovendo campagne di scavo archeologico.

Interessandosi allo stesso tempo anche al folklore locale abruzzese, Pansa si distanzierà dal metodo di ricerca deniniano negli Usi e costumi abruzzesi.

Con i fratelli Rivera, il De Nino, il Piccirilli, Alfonso Dragonetti, partecipò nel 1888 alla fondazione a L’Aquila della Regia Deputazione abruzzese di storia patria (allora nota come Regia Società di Storia Patria degli Abruzzi). Nello stesso tempo Pansa pubblica alcuni articoli sulla Rivista Abruzzese di Lettere, Scienze e Arti, fondata a Teramo nel 1886 da Luigi Savorini e Giacinto Pannella, che durerà fino al 1919.

Resisteva ancora, però, nella cultura dominante del tempo, il pregiudizio secondo cui il dialetto, considerato strumento rozzo della mera praticità, fosse incapace di oltrepassare il ristretto orizzonte della cultura popolare.

“Non mancavano neanche presso noi dei poeti in vernacolo”, dirà più tardi Cesare De Titta [De Titta 1930] ma questi, nel loro angusto mondo paesano, si limitavano agli scherzi, agli strambotti, alle satire, al genere insomma mordace e piccante.

Tra i poeti di questo periodo ricordiamo Vincenzo Ranalli [Moretti 2003], Fedele Romani [Allodoli 1920 e Tosti 1925], Luigi Brigiotti [Tosti 1925; Campana 1914; Moretti 2003], Giuseppe Paparella [Finamore 1903; Verlengia 1956], Giustino e Camillo Razionale [Moretti 2003], Ermindo Campana [Giammarco 1969; Moretti 2003] e, soprattutto, Luigi Anelli [Giammarco 1969] per l’autenticità del dialetto ed il nerbo vigoroso dello stile.

Le Stelle lucende (1913) di Alfredo Luciani operarono la prima svolta.

Scrive Nicola Fiorentino in poeti dialettali abruzzesi: “Se ne avvide immediatamente Ermindo Campana, poeta palenese: Questa poesia del Luciani, non soltanto per i suoi caratteri esteriori, ma più ancora per la sua intima essenza, mi pare si stacchi nettamente da quella degli altri poeti di Abruzzo e solo non possa vivere e cantare e spasimare, se non nell’ardore del suo cielo e nell’altezza della sua solitudine”.

Con Luciani, in effetti, le tematiche si moltiplicano, la prospettiva poetica si slarga. Nel grande affresco della vita regionale trovano posto gli aspetti più umili della quotidianità e, insieme, le più pressanti questioni morali e religiose, felicemente drammatizzate nella plasticità dell’ipotiposi, al di sotto della quale, però, di volta in volta, non è difficile scorgere una dolente e sincera solidarietà umana oppure una vena di sorridente ironia; vi ritrovi le discussioni politiche e sociali del periodo precedente alla Grande Guerra; c’è la raffinata parafrasi del canto popolare e c’è, ancora, un duplice atteggiamento: da una parte le riserve ed il distacco con cui il colto borghese guarda a certe attardate convenzioni sociali del borgo, dall’altra l’inquieto presentimento che l’avanzante modernità possa metterne in crisi la compagine antropologica.

Per converso, non è propensa questa poesia ad un’approfondita e costante introspezione psicologica; non conosce, perciò, una vera e propria dimensione lirica.

Per effetto, forse, della perdurante lezione veristica, il sentimento dell’autore tende a relativizzarsi nella dialettica interpersonale della scena rappresentata, a sciogliersi nel tessuto della sensibilità collettiva.

Si capisce, allora, perché tanta parte della pagina lucianesca porti lo stampo del registro narrativo, sempre sorretto da una fluida e scoppiettante vivacità linguistica, da un verso che, pur nelle varie forme chiuse, attinge con la massima naturalezza alle infinite possibilità del dialetto, certamente nobilitato ma pur sempre reso nella sua sostanziale identità: ma quest’ultimo giudizio vale per la prima edizione di

Stelle lucende, cioè quella del 1913.

Nella seconda edizione che cambierà il titolo in Stelle lucenti (1921) si abbandonano i residui della trascrizione fonetica, sostenuta dal Finamore, per abbracciare quella etimologica, caldeggiata dal De Titta dal ’19 in poi.

Nasce così una koinè abruzzese situandosi a mezza strada tra una parziale regionalizzazione ed una consistente omologazione alla lingua nazionale.

Stelle lucende”, fu la sua prima raccolta in dialetto ed il poemetto Tatone Minghe, “impetuoso e misurato” lo fa conoscere.

‘Ntusté lu calle, s’avezé lu ggiorne.
Na cicale cantì sopr’a na live,
po’ ddu’, po’ tré, po’ quattre, e ppo’ sentive
a ccantà’ tutte l’albere èlle n’torne.
‘Ntrave la state. E ttra la maraviije
di tutte chelu rane alde e mmature
si vidì llampïà’ le favucijje
s’alzì lu cante de li mietiture.

N’amore selvagge tratto da Stelle lucende (1913) si può ascoltare su :
https://www.youtube.com/watch?v=N0hoB7oGl6s

leggi anche
Cultura
Le nuove stanze della poesia, Vittorio Monaco
Le nuove stanze della poesia
Le nuove stanze della poesia, Giorgio Caproni
Cultura
Le nuove stanze della poesia, Anna Ventura
Cultura
Le nuove stanze della poesia, il ricordo di Franco Loi
Le nuove stanze della poesia
Le nuove stanze della poesia: Fernando D’Annunzio
Le nuove stanze della poesia
Le nuove stanze della poesia, Luciano Flamminio
Cultura
Le nuove stanze della poesia, Romualdo Parente
Cultura
Le nuove stanze della poesia, Remo Di Leonardo