I bambini e la pandemia

Bambini chiusi in casa e distanti a scuola: lo stress da Covid colpisce anche i piccoli

Bambini vs pandemia. Lo stress non colpisce solo gli adulti. Ci siamo chiesti, però, che impatto abbiano avuto mascherine, distanza, dad e giornate trascorse tra le pareti di casa per i più piccoli

Bambini-genitori-insegnanti. Cambia la scuola, ai tempi della pandemia, entrando spesso direttamente a casa nostra. E cambia anche  il rapporto docenti/studenti. Neanche i bambini, però, sono immuni allo stress.

Il Covid ha cambiato la quotidianità. Una quotidianità fatta, per i bambini della scuola materna e delle elementari, di incontri con amichetti e coetanei, lezioni in presenza, lavori e giochi di gruppo, chiacchiere con il compagno di banco, interrogazioni in cattedra, compiti a scuola e a casa. Se qualcosa è rimasto, più o meno, lo stesso, tantissimo è stato trasformato dalle nuove misure anti contagio. Non tutti, però, si sono chiesti che tipo di impatto emotivo e psicologico abbia avuto l’epidemia sulla vita di ogni giovane studente, alle prese con cambiamenti più grandi di lui.

“I nostri bambini sono più vivaci rispetto al periodo pre-Covid”. Una sensazione comune quella segnalata da molte mamme alla redazione del Capoluogo. Lo sono a casa ma anche a scuola ed è utile individuare i giusti “indicatori” e trovare, allora, per genitori e insegnanti, il modo migliore per affrontare tanti piccoli spettatori di una situazione che li porta ad adattarsi a un qualcosa mai vissuto prima. Una sfida che potremmo chiamare: serenità, nonostante tutto. 

“Lo scenario emergenziale ha portato tantissimi bambini a sperimentare cambiamenti sostanziali nel proprio stile di vita. È cambiata la loro routine quotidiana, così come la loro rete relazionale. Sono venuti a mancare una serie di tasselli che nutrono la promozione della salute e la resilienza ad eventi che, nella psicologia, si definiscono ‘traumatici’. Tuttavia – spiega alla redazione del Capoluogo la psicologa e psicoterapeuta Chiara Gioia – bisognerebbe considerare ogni bambino come un singolo caso. Poiché ognuno di loro ha vissuto una sua esperienza personale con il Covid. Ogni bambino ha trascorso il lockdown a suo modo: alcuni di loro, purtroppo, hanno anche contratto il virus in prima persona. Pensiamo, poi – ed è doveroso farlo – a tutti quei bambini che hanno subìto lutti in famiglia a causa dell’epidemia”.

Bambini ai tempi del Covid: sos stress

Un contraccolpo psicologico non indifferente per i più piccoli. “È importante capire come hanno vissuto, nella loro mente, questa emergenza. Quando si parla di stress – continua la psicologa e psicoterapeuta Chiara Gioia – si pensa quasi esclusivamente agli adulti. Ci siamo chiesti, però, come hanno reagito a tutto questo i bambini?”.

Pensiamo, nello specifico, alla fascia d’età che va dai 3 ai 6 anni.

“In molti casi per loro il Covid è stato un jolly, che ha rappresentato la possibilità di restare a casa con la mamma e il papà, senza dover andare alla scuola materna. Si è trattato, però, di una fase iniziale di entusiasmo, seguita dalla realizzazione, a modo loro, che il cambiamento non fosse una scelta, bensì una costrizione. Per questo è fondamentale capire come i piccoli si sono approcciati a queste nuove regole e al nuovo modo di vivere”.

Scuola, lavoro, sport, visite a nonni e zii. A tutto questo si è sostituita la costrizione del restare in casa.

“C’è stata la fase della rimodulazione. È cambiato, in primis, il modo di relazionarsi tra genitori e figli. La dinamicità, in questo caso specifico, fin dalla primavera scorsa si è trasformata nella necessità di capire come imparare a stare dentro casa. Per i genitori, così come per i bambini, adattarsi è stato faticoso. Ritrovarsi 24 ore su 24 a contatto con i propri figli, ha consentito agli adulti di conoscere e sperimentare anche nuovi modi di stare insieme, avendo un lasso di tempo maggiore. Un discorso simile, logicamente, si può fare per i bambini”.

Covid 19, bambini-genitori-insegnanti: l’importanza della narrazione per il benessere dei più piccoli

“Il Coronavirus è una sorta di variabile esterna che provoca precarietà nella nuova quotidianità. Per gestire tutto ciò che accade, potrebbe essere utile, sia da parte dei genitori sia da parte degli insegnanti, fare ricorso alla narrazione“.

Cioè far narrare e narrare ai bambini quello che stiamo vivendo.

Sono tantissime le storie che narrano come la pandemia può essere vissuta. “Pensando ai bambini della scuola materna, ad esempio, un consiglio potrebbero essere le storie raccontate. Storie su persone e bambini che si conoscono, tratte dalla realtà anche miste a fantasia, ma con nomi inventati: raccontate come se si trattasse della favola di Cappuccetto Rosso“.

Ma a cosa serve questo tipo di narrazione?

“Il bambino ne viene attratto e si sente partecipe, si sente di condividere racconti ed esperienze e potrebbe, in questo modo, condividere anche la sua storia personale, ad esempio con un insegnante. Parola e narrazione danno spazio alle emozioni dei bambini, li aiutano ad esprimersi. Ciò permette al bambino di non sentirsi solo nell’elaborare, a modo suo, la situazione d’emergenza che gli sta intorno“.

Per quanto riguarda i bambini della scuola elementare, invece, che tipo di narrazione si consiglia?

“I bambini più grandi, oltre ad ascoltare storie narrate, hanno la capacità di scrivere in prima persona. Per questo, accanto alla programmazione scolastica vera e propria, è importante rispondere all’attualità uscendo dagli schemi e arricchendo le modalità di relazione e di didattica proposte. Ricorrendo, magari, a forme di didattica diverse, anche se non previste dal piano ministeriale. Solo in questo modo si può relazionare i bambini alla realtà, aiutandoli a comprenderla in maniera serena”.

I bambini, infatti, hanno bisogno di conoscere la verità, spiegata con un linguaggio adatto alla loro comprensione. Alla base di qualsiasi atteggiamento da adottare deve esserci empatia.

La vivacità fa parte dei bambini, per fortuna. Ma se genitori e insegnanti riscontrano un’accentuata vivacità negli studenti giovanissimi, quell’atteggiamento ci sta dicendo qualcosa. Precisiamo che non è un atteggiamento che dobbiamo soffocare: a scuola bisogna rispettare le regole, ovviamente, ma è importante capire anche le cause di un certo cambiamento di atteggiamento. Forse ci sono dei contenuti propri dei bambini che si fa fatica a leggere e che gli stessi bambini fanno fatica ad esprimere. Allora, li esprimono attraverso questo tipo di vivacità”.

“Così come accade in terapia, la relazione che si viene ad instaurare in ogni setting – individuale, di coppia, familiare o di gruppo – ha una propria identità, caratterizzata da un linguaggio specifico“.

Bambini-genitori-insegnanti vs pandemia: come tutelare la serenità dei più piccoli

Cominciamo dall’ascolto dei bambini. Un ascolto che deve esserci a casa come a scuola. “Ascoltare significa anche dar voce le emozioni: un fattore di fondamentale importanza, indipendentemente dalla pandemia. I bambini hanno bisogno di sentirsi ascoltati e di sentire la verità, comunicata loro con un linguaggio sempre appropriato. Ricordiamo, infatti, che il bambino assimila e percepisce tutto”.

Lasciare lo spazio necessario a riprendere un discorso rimasto in sospeso.  Ci sono tematiche che i bambini non riescono ad assimilare completamente già dalla prima volta in cui gli vengono spiegate. Allora serve “ricorrere a più fasi. Lo stand-by discorsivo non deve essere seguito da un vuoto: è necessario ricollegarsi al discorso rimasto incompleto e aiutare il bambino a capire quel determinato concetto”.

Avvicinarsi agli interessi dei bambini. Quando si affronta un argomento complesso o delicato è consigliabile farlo cogliendo un interesse del bambino. “Ad esempio nei bambini delle elementari, risulta utile fare gruppi e discutere insieme delle rispettive situazioni affrontate. In questo modo, attraverso un confronto, i bambini si sentono valorizzati”.

Rispettare il bisogno di silenzio. “Un momento di riflessione, necessario al processo di apprendimento. Bisogna essere presenti pur rispettando il silenzio dei bambini, tutte quelle volte in cui ne hanno una profonda necessità. Come accade in terapia, dove il silenzio indica una necessità e un modo della psiche per rapportarsi con ciò che il soggetto sta vivendo, allo stesso modo i bambini, con il silenzio, non indicano un disinteresse, bensì un modo per accogliere quanto gli adulti – genitori e insegnanti – gli stanno narrando”.

Coinvolgere i bambini nel costruire nuove modalità di stare insieme, “agevolando le relazioni, anche con l’ironia, rispetto alla severità delle modalità anti contagio che ci sono state indicate. Penso, ad esempio, all’idea di cantare una canzoncina durante il lavaggio delle mani. O ancora, cantare una canzoncina di rito al momento della merenda, per portare forme di allegria tra i bambini”.

Evitare di mostrarsi allarmati al minimo starnuto.

Non esiste un decalogo del bravo genitore o del bravo insegnante, esistono però tanti piccoli accorgimenti per provare a favorire la serenità del bambino, che, dietro una maggiore vivacità, può nascondere stress accumulato che non riesce a raccontare.

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