Hikikomori, soli per scelta ma connessi: quando il mondo finisce in una stanza

16 marzo 2021 | 23:16
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Hikikomori, soli per scelta ma connessi: quando il mondo finisce in una stanza

Hikikomori, giovani soli con la propria solitudine. Il disagio di chi sceglie di chiudersi in casa, davanti a internet, in compagnia di chat e videogiochi. Una ‘corazza’ per sfuggire ai malesseri. Il Covid non ha aiutato

Un fenomeno ancora poco conosciuto, quello dell’Hikikomori, ma non per questo poco diffuso in Italia. E il Covid non ha fatto altro che acuire un disagio che colpisce soprattutto i giovani. Ma va fatta una distinzione precisa tra isolamento obbligatorio – dovuto in questo caso specifico alle misure Covid – e isolamento volontario, qual è quello che caratterizza l’hikikomori.

La sindrome dell’hikikomori porta l’individuo soggetto al disagio a indietreggiare, a mettere in atto un vero e proprio ritiro sociale. Lo dice l’etimologia del termine giapponese.

La parola “hikikomori” fu utilizzata per la prima volta dallo psicologo e scrittore Saito Tamaki: deriva da ‘hiku’ che sta per ‘indietreggiare’ e ‘komoru’ cioè ritirarsi socialmente. Dal 2013 il termine ha trovato una propria identità anche sul dizionario della Lingua Italiana Zingarelli. “Il fenomeno nasce proprio in Giappone e ha riguardato, fin dal principio, quei ragazzi o quegli adulti che decidono di praticare una reclusione volontaria, chiudendosi in casa, spesso nella propria stanza, per un periodo variabile: che può andare da qualche mese a svariati anni”. A parlare al Capoluogo è la psicologa e psicoterapeuta Chiara Gioia.

Si tende a distinguere, nella nostra cultura occidentale, tra: Hikikomori Primario, ovvero quella condizione di reclusione che non ha legami con altri disagi preesistenti, e Hikikomori Secondario, quell’esclusione sociale che risulta essere l’effetto di fobie, disturbi dell’umore o altre sofferenze a livello psichico

Hikikomori, l’esigenza di stare soli a causa di un malessere

L’hikikomori, ormai, è un disturbo molto diffuso anche in Italia. Sono circa 100mila i casi accertati. Il disturbo in genere appare prevalentemente in una fascia d’età che va dai 10 ai 40 anni. La maggiore incidenza si registra fra i 15 e i 19 anni

Tra i sintomi che provoca: lo sviluppo di pensieri ossessivi o compulsivi, fissazioni, regressioni infantili. 

Le principali cause dell’hikikomori negli studi ad esso dedicati sono state elencate in:

-un malessere a livello familiare e in modo ancora più ampio a livello sociale,

– una particolare introversione.

-episodi di bullismo scolastico, con i giovani cheesprimono la loro sofferenza attraverso il ritiro sociale.

“Tuttavia, al di là del mondo esterno, il disturbo può derivare da come ogni singolo individuo tende a decodificare determinate dinamiche che si ritrova ad affrontare, da come reagisce e, quindi, quali risorse intrapsichiche attiva”, specifica Chiara Gioia.

Aprendo una parentesi sulla realtà aquilana, passare dal terremoto all’emergenza Covid non deve diventare “la scusante al ritiro sociale dei ragazzi”.

‘C’è stato il terremoto, non c’è più nulla. Poveri ragazzi, cosa dovrebbero fare per passare il proprio tempo?’

 ‘C’è il lockdown, cosa dovrebbero fare questi poveri ragazzi?’

Giustificazioni spesso fornite dai genitori in risposta alle tante ore trascorse dai propri figli, chiusi in camera, davanti alla play o navigando in rete. “Sono assolutamente d’accordo nel considerare internet una risorsa, ciò non vuol dire, però, che il web debba diventare un palliativo e un sostituto della vita sociale e relazionale. A L’Aquila, in particolare, non c’è più un Genius Loci, cioè metaforicamente un luogo di ritrovo. Il terremoto ha modificato l’aspetto strutturale della città: prima c’era un centro unico, ora molte zone cittadine possono essere considerate centro. In questo specifico momento, poi, causa Covid non si può uscire. E allora chat e videogame diventano il loro Genius Loci, il loro luogo di incontro: la loro piazzetta, il loro bar, la loro palestra e così via“.

Hikikomori e confusione: è notte o giorno?

Spesso gli hikikomori presentano “alterazioni dei ritmi sonno-veglia“, ci spiega ancora la dottoressa Chiara Gioia.

“Si scambiano il giorno e la notte, tutto risulta molto confuso. Ciò provoca ulteriore disagio, che può tradursi anche attraverso forme di aggressività e scoppi di rabbia. Inoltre, uno studio recente ha dimostrato come tra gli hikikomori sia associato un elevato rischio di suicidio“.

Tutte le molteplici espressioni del fenomeno dell’hikikomori, per quanto caratteristiche, al contempo possono variare da soggetto a soggetto.

L’elemento comune è che ogni hikikomori trascorre le 24 ore della giornata all’interno della propria stanza,creandosi delle interazioni con il mondo esterno solo attraverso internet, le chat, i social network e i videogame. Lo scopo, infatti, è quello di annullare tutte le condizioni che possono portarli ad avere contatti concreti”.

Soli sì, ma connessi.

“Ovviamente – specifica Chiara Gioia – non è internet la causa di questo disagio. Non è la rete la malattia, questa va ad inserirsi in un vuoto che è già preesistente. La rete agisce attraverso un effetto ipnotico che allontana la mente da angosce profonde“. Non solo, perché la rete “riempie il tempo o può rispondere ad eventuali disagi psicologici permettendo l’assunzione di diverse personalità immaginarie, senza metterci la faccia. Permette, inoltre, di mantenere aperta una parvenza comunicativa che preserva il soggetto dal completo scivolamento nella follia”.

“I ragazzi che entrano nel fenomeno hikikomori, probabilmente, non hanno intenzione di rimanere chiusi per mesi o addirittura anni; probabilmente cercano una dimensione difensiva che possa ‘proteggerli’ di loro malesseri. Tuttavia, è proprio questo isolamento volontario che, alla lunga, per loro assume le sembianze di una ‘corazza’. Uno scudo indossato, che i giovani non sono in grado autonomamente di togliere se non si interviene appositamente con la giusta terapia“.

L’hikikomori, infatti, agisce attivando una precisa modalità:

“Possiamo descrivere il meccanismo che si innesca negli hikikomori paragonando il nostro mondo interiore ad un palcoscenico di teatro. Qui si viene a creare un personaggio psichico che si attiva e che chiamiamo, appunto, hikikomori: personaggio che può essere anche funzionale al benessere di una persona (la ricerca della solitudine non è per forza negativa), ma che diventa disfunzionale quando diventa il protagonista unico di quel palcoscenico.Tanta più forza acquisisce, tanto più il singolo individuo tenderà ad isolarsi. Un giusto intervento di natura psicologica-psicoterapeuta può ristabilire equilibrio; al contrario rimanere soli e non farsi aiutare non fa altro che aumentare il malessere”.

Hikikomori, quando la solitudine è un’ossessione

“Il ritiro sociale è sempre la risultante di un disagio complesso. Inoltre, quando parliamo di hikikomori risulta doveroso parlare anche di solitudine: una condizione che oggi più che mai si avverte in modo incisivo e che è diversa dall’isolamento. Perché anche in mezzo a una folla ci si può sentire soli. Trattasi di una condizione individuale che coinvolge in primis la sfera emotiva e che può preannunciare esiti disfunzionali per la salute di ogni singolo. Doveroso, da un punto di vista terapeutico, sottolineare che la solitudine di per sé non è del tutto negativa, lo diventa quando pervade il modus operandi del singolo e non la si affronta, nelle sue sfaccettature, in modo costruttivo e positivo in terapia”.

chiara gioia

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Il Capoluogo propone una rubrica di approfondimenti curata dalla psicologa e psicoterapeuta Chiara Gioia, attraverso appuntamenti settimanali. La psicologia e la terapia, per troppo persone, restano ancora un tabù. Intraprendere un percorso di terapia non vuol dire soffrire di una malattia, tuttavia sono ancora molti i luoghi comuni sulla psicoterapia e i pregiudizi su chi decide di fare delle sedute dallo psicologo. Fare terapia vuol dire, semplicemente, capirsi e mettere al primo posto il proprio benessere.

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