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Covid 19, rapporto rischi benefici solo per la scuola: il Paese deve ripartire

Valutazioni rischi/benefici sulla riapertura delle scuole, perché non si fa lo stesso per la ripartenza del Paese? L'editoriale di Gaetano Quagliariello.

Valutazioni rischi/benefici sulla riapertura delle scuole, perché non si fa lo stesso per la ripartenza del Paese? L’intervento di Gaetano Quagliariello.

Editoriale del senatore Gaetano Quagliariello che su L’Occidentale analizza l’attuale fase di emergenza Covid 19 e le prospettive future: “È stata decisa la riapertura delle scuole fino alla prima media, indipendentemente dal colore della regione. Nessuno ha osato affermare che si tratti di una disposizione priva di rischi e che l’eventuale contagio tra i ragazzi non possa trasferirsi nelle famiglie contaminando adulti e anziani non ancora vaccinati. Le tesi a sostegno della decisione sono state in prevalenza di altra natura. Tra queste: l’istruzione ha bisogno del contatto umano, senza nulla togliere allo sforzo fatto per assicurare l’insegnamento a distanza; la scuola è innanzi tutto scuola di vita e non può essere confinata dietro uno schermo; la sofferenza psicologica di una generazione che deve rinunciare al contatto quotidiano con gli amici e con i docenti è un prezzo troppo alto da pagare. Abbiamo ascoltato, insomma, ragionamenti che potremmo definire empirici e approssimativi: su un piatto della bilancia sono stati posti i rischi, sull’altro la perdita secca che certamente si concretizzerebbe se il blocco della scuola si prolungasse. E si è deciso di correre il rischio. Messa così, niente da dire: nulla di ideologico e nulla di temerario”.

“Se però è stato questo il metodo annunciato per la scuola, – sottolinea Quagliariello – per quale motivo si è adottato un criterio diverso quando si è trattato di decidere sulle attività economiche e in particolare su quelle che animano la cosiddetta economia di prossimità? Perché si è voluto sentenziare a dei poveri cristi, che da un anno stringono i denti, che per loro per l’intero mese di aprile non ci sarà speranza in quanto nulla riaprirà? Perché si è scartata l’ipotesi di far ripartire almeno quelle province dove il rischio del contagio non sarà certamente assente ma potrebbe essere “calcolato”? In Parlamento si sta ora discutendo di un decreto, reso possibile dall’ennesimo “scostamento di bilancio”, che elargisce gli ennesimi risarcimenti alle attività svantaggiate dalla pandemia. Se confrontato con analoghi provvedimenti adottati dal governo precedente, le novità positive risaltano agli occhi e non possono perciò essere taciute: riguardano tanto la semplificazione dell’iter quanto la velocizzazione delle pratiche. Tuttavia, nonostante gli sforzi, per partite Iva e lavoratori autonomi ciò che può essere assicurato attraverso interventi di questo tipo, rispetto a ciò che in quest’anno è andato perduto, è uno sputo nell’oceano. E non è colpa di nessuno. La buona politica può infatti creare il possibile e non limitarsi a gestire l’esistente. Non può, però, promettere l’impossibile. E concedere “ristori” adeguati alle perdite è impossibile: in tempo d’emergenza i conti dello Stato debbono essere forzati ma non possono essere stravolti”.

“Non c’è dunque alternativa: affinché le categorie che si sono viste impossibilitate a sviluppare le loro attività in tempo di Covid possano tornare a respirare il Paese deve riaprire. Perché per il mese di aprile questa eventualità la si è voluta escludere a priori e senza eccezione alcuna? A noi pare che, così facendo, si corre il rischio di alimentare quella depressione di massa che Draghi, durante le consultazioni che hanno portato alla formazione dell’esecutivo di unità nazionale da lui presieduto, ha affermato di voler invece combattere. Quel che è più grave, applicando un metodo a geometria variabile, a seconda degli interessi coinvolti, si rischia di trasformare l’apertura delle scuole da scelta laica, e proprio per questo condivisibile, in opzione ideologica che tende a privilegiare ciò che non ha a che fare con il mercato brutto e cattivo”.

“Di fronte a queste decisioni, – scrive Quagliariello – come si deve comportare una forza liberale e moderata che guarda a destra senza tentazioni di sorta? Deve innanzitutto denunciare questi residui di ancien régime; deve continuare a prospettare una diversa soluzione, provando a dimostrarne il buon senso. Deve provare a favorirla questa soluzione, per quanto possibile, laddove si trova al governo di città o regioni. Deve continuare a sostenere questo governo e in particolare il suo Presidente. In questi giorni, infatti, altri eventi si sono compiuti. E i liberali avversi a una sinistra ideologica e al perbenismo non possono far finta di non vedere come l’europeismo pragmatico che Draghi ha fin qui espresso rappresenti una vera e propria rivoluzione copernicana se confrontato alle litanie di europeismo ideologico che il governo giallo-rosso per quasi due anni ci ha ammannito. Non devono sminuire lo sforzo di statualità che con l’avvento del generale Figliuolo si è compiuto nella programmazione della campagna vaccinale. E, in questo campo, non devono sottovalutare i progressi che, in mezzo a tante difficoltà, si sono comunque registrati. Infine, non devono sottovalutare il clima politico differente che, grazie anche a una comunicazione più sobria, comunque si respira. Insomma, il centrodestra non può rinunciare alla sua azione di pungolo critico del governo ma questa funzione non può trasformarsi in critica nei confronti del Presidente del Consiglio. Sarebbe un’attitudine ingiusta e un errore politico. Draghi è stato e resta un salto di qualità e di serietà che, proprio per questo, non può avere nulla in comune col tentativo da ultimo teorizzato di mettere insieme, nello stesso campo, tutti: da Renzi fino alle sardine. Nessuna esitazione: chi vorrà continuare a praticare questo tentativo, dovrà trovare qualcun altro in cui identificarsi”.

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