Ristoratori stremati, noi piccoli tra i grandi intoccabili

Ristoratori, una crisi senza fine: lo Stato si è fatto sentire “solo quando si è trattato di pagare tasse e contributi. Dovremmo fare lo sciopero fiscale”.
È quasi una resa quella dei ristoratori. Con le attività chiuse dallo Stato, riaperte, poi chiuse nuovamente, poi ancora riaperte ma solo per l’asporto. Gira la testa a ripercorrere i passi tormentati di un anno nerissimo, seguito dai primi mesi di un 2021 ancora più pesanti. L’Abruzzo non fa eccezione.
“In Italia ci sono toccabili ed intoccabili. Qualcuno ci spieghi cosa cambia nel lasciare aperto un autogrill, rispetto ad un qualsiasi bar o ristorante. Qual è il maggiore rischio di contagio che c’è nei nostri locali? E su quali basi è stato stabilito? A ben guardare, la differenza non sta nel reale pericolo di contagio, ma nel fatto che le grandi catene e la grande distribuzione contino qualcosa, al contrario noi, piccoli imprenditori, non contiamo nulla“.
Tra gli intoccabili quei grandi, appunto, che con il lockdown e i negozi chiusi hanno incrementato le vendite. E qui non si parla solo del settore della ristorazione. Colossi internazionali dell’e-commerce, Amazon su tutti, sono stati le uniche vetrine disponibili per mesi interi: soprattutto quando tantissime attività non avevano ancora organizzato le vendite online e si sono trovate a doversi reinventare, per non essere costrette ad alzare bandiera bianca.
Se il 2020 è stato nero, comunque, le aspettative dei ristoratori erano quelle di un anno fiscale bianco: cioè senza tasse, a fronte di entrate quasi inesistenti causa lockdown e attività limitata per mesi al solo asporto. Le speranze di un vero anno bianco, però, sono andate presto in fumo.
“In un mese ho pagato oltre mille euro tra luce e gas, con il locale ‘chiuso’: per la precisione aperto solo per l’asporto. Se non muoio di Covid, morirò di fame“. Lo sfogo di un ristoratore aquilano, raccolto dalla redazione del Capoluogo.
“La categoria dovrebbe unirsi, fare fronte comune e mettere in atto lo sciopero fiscale. Ci è stato negato il diritto al lavoro, con provvedimenti al limite della legge. Dov’è scritto che lo Stato può chiudere la mia attività senza riconoscermi indennizzi? Nei Dpcm che si sono susseguiti? La verità è solo una: le chiusure ci sono state, i ristori no e se qualcuno li ha ricevuti di certo non sono stati adeguati alle perdite subite”, denuncia il ristoratore.
Ora, con le riaperture alle porte e il servizio di ristorazione nuovamente possibile, ma solo all’aperto, arriva un’altra spesa: quella per gazebo e dehors vari. Già, ma con quali risorse?
“Non dimentichiamo che la prima riapertura ci aveva già visto fare diverse spese per gli adeguamenti previsti dalla normativa Covid. Ed era stata seguita da incassi frenati dalla paura del contagio, diffusa tra la gente, e dalla nuova chiusura scattata fin dall’autunno scorso. Inoltre, le banche hanno chiuso il credito. Su quale liquidità dovremmo contare per andare avanti, se tutti i nostri sacrifici sono stati annullati dalle tasse da versare allo stato?”.
Una situazione che ha provocato aspre polemiche e rabbia internamente alla categoria. “Noi continuiamo a versare sangue pur di andare avanti, in uno Stato che ci penalizza senza un minimo sostegno”. Il binomio in netto contrasto tra privati e dipendenti pubblici, questi ultimi sicuramente non toccati, economicamente parlando, dalla crisi dilagante.
Se il movimento IoApro – pur accompagnato da accese critiche per alcuni episodi di disordine registrati nelle manifestazioni – ha avuto il contributo di tornare ad accendere la luce sui problemi dei ristoratori e sulla crisi profonda del settore (e dell’intero indotto); i piccoli imprenditori oggi si sentono definitivamente presi in giro.

“Sono mesi che le nostre attività restano chiuse. Questo ha fatto sì che migliorasse la situazione dei contagi sul nostro territorio? Assolutamente no. Buona parte della provincia dell’Aquila è in zona rossa, l’Abruzzo è stato più rosso di tutti, o quasi. Basta questo a dimostrare come il problema non sia il bar o il ristorante di turno, ma, evidentemente, la piazza fuori dal bar, dove si creano spesso e volentieri assembramenti non controllati. Si intensificassero i controlli all’esterno: noi ristoratori facciamo i conti con le chiusure da più di un anno ormai, eppure – a livello di contagi – ci ritroviamo sempre al punto di partenza. Siamo vittime di un sistema che non funziona“.