L'aquila

Basilica di San Bernardino, i ceci di Navelli dalla terra al cielo

L'AQUILA - Che ci fanno i ceci di Navelli nella basilica di San Bernardino? Un viaggio nelle strane vie dell'arte con il contributo di Lucia Celenza.

L’AQUILA – Che ci fanno i ceci di Navelli nella basilica di San Bernardino? Un viaggio nelle strane vie dell’arte con il contributo di Lucia Celenza.

Entrando nella basilica di San Bernardino l’occhio viene immediatamente catturato dall’imponente soffitto ligneo policromo e dorato che funge da cielo della navata centrale. Si tratta di una mirabile opera dell’ebanista Ferdinando Mosca da Pescocostanzo e bottega, realizzata tra il 1721 e il 1727 in sostituzione di una precedente versione, non di stile gotico con capriate a vista, ma lineare e cassettonata. Il soffitto, oggi scomparso, era opera di Orazio Valla, esemplificato sul modello di quello realizzato da Flaminio Boulanger per Santa Maria in Aracoeli, commissionato nel 1587 e di cui resta testimonianza in un disegno di Simone Lauri. L’attuale decorazione è quindi una terza, se non quarta, versione di copertura che va a inquadrare, attraverso cornici, fregi di fogliame e ghirlande di rose e fiori, tre tele di Girolamo Cenatiempo a soggetto francescano, datate intorno al 1732.

Ma l’ornamento che di certo cattura maggiormente l’attenzione è il trigramma IHS, in corrispondenza della cappella di San Berardino. Fu proprio il Santo senese a ideare la raffigurazione simbolica del Nome di Gesù, cardine della sua predicazione, al fine di dare concretezza a un concetto astratto – il Verbo fatto uomo – che difficilmente sarebbe stato ricordato dai fedeli accorsi ad ascoltarlo. La devozione in realtà era già presente in San Paolo e durante il Medioevo in alcuni Dottori della Chiesa; ripresa poi da San Francesco d’Assisi, fu accolta in tutto il senese attraverso i Gesuati, congregazione religiosa fondata nel 1360 dal beato Giovanni Colombini, e dove fu verosimilmente assimilata da Bernardino. Ma la novità della rappresentazione grafica del Nome apportata dal francescano fu dirompente. Il trigramma fu disegnato dal frate stesso: un sole raggiante – allusione al Cristo Sol Invictus – in campo azzurro con all’interno le lettere IHS, le prime tre del nome Gesù in greco, ma funzionali anche a ricordare, abbreviato, il motto costantiniano In Hoc Signo (vinces), o Iesus Hominum Salvator. La diffusione del cristogramma bernardiniano ebbe notevole successo in tutta Europa, tanto che si trova rappresentato negli edifici religiosi e in quelli laici, pubblici ma anche privati, come è possibile vedere su numerosissimi architravi di porte e finestre presenti nella città dell’Aquila.

Proprio in merito a questo particolare del soffitto è da annotare una interessante curiosità. A seguito dei lavori di restauro successivi al sisma del 6 aprile 2009, è stato possibile osservare da vicino la decorazione lignea. L’intervento, realizzato tra il 2011 e il 2012 e interamente finanziato dalla Fondazione Cassa di Risparmio dell’Aquila, sotto la direzione della Soprintendenza ai Beni Storici e Artistici, nella persona della Dott.ssa Lucia Arbace, è stato effettuato contestualmente al restauro strutturale e alla progettazione dei successivi interventi di messa in sicurezza e reintegrazione delle decorazioni architettoniche. In questa fase è stato ripristinato l’originale colore di fondo azzurro, coperto da una ridipintura verde frutto di un precedente intervento di manutenzione, e di cui si è scoperta la presenza attraverso saggi sotto i rosoni del soffitto. Durante le operazioni di consolidamento della foglia oro che ricopre le superfici intagliate, in particolare lungo le microlesioni che si erano aperte nel fondo del cristogramma, si ebbe la caduta di un frammento della decorazione semisferica a rilievo. A una attenta osservazione del pezzetto, ancora ricoperto di gesso e foglia oro, i restauratori si resero presto conto non trattarsi di una semplice anima in stucco, ma di trovarsi di fronte a un piccolo legume. La prova evidente la si riscontrò nell’impronta lasciata sul fondo, su cui si vedeva chiaramente la forma dei due lobi di un cece: il legume era stato affogato nel gesso del tavolato ligneo e poi ricoperto di foglia d’oro. Quindi tutta la base su cui poggia il trigramma IHS era stata movimentata e resa scabra con l’inserimento di queste piccole sfere, in modo da rifrangere la luce e far risaltare ancora più chiaramente il simbolo bernardiniano. In particolare, però, incuriosì il colore del cece, non chiaro ambrato ma bruno rossastro, cosa che fece pensare a una particolare tipologia del legume. Il cece (Cicer arietinum L.) è una pianta erbacea della famiglia delle Fabaceae, i cui semi, appunto i legumi, sono ampiamente usati nell’alimentazione umana rappresentando un’ottima fonte proteica di origine vegetale. Da una serie di analisi di laboratorio e dal raffronto visivo, si scoprì che il legume presente nella decorazione del soffitto era il cece rosso di Navelli, oggi presidio Slow Food. Accanto alla tipologia chiara, utilizzata fin da Medioevo per la vendita, se ne conservava un’altra più dura, di colore rosso ruggine, utilizzata talvolta per il consumo personale dei contadini ma più spesso come mangime per gli animali. In realtà si tratta di una varietà molto pregiata, ricca di proteine, sali minerali e vitamine del gruppo B, di cui fortunatamente è stata ripresa la produzione. I terreni pietrosi dell’Altopiano di Navelli, ricchi di ferro e minerali, le importanti escursioni termiche e il microclima particolare, rendono questo piccolo legume una varietà pregiata e dal sapore unico.

Da ricordare inoltre che proprio grazie al ponteggio, montato per le opere di consolidamento statico e impiegato anche per le attività conservative sull’intera superficie dipinta o dorata, si è verificato un evento eccezionale nella storia del restauro, non solo della Basilica. È stato possibile organizzare, infatti, durante il periodo del Natale 2011, delle visite guidate nel cantiere, permettendo, grazie all’impiego dell’ascensore montacarichi, ai cittadini curiosi di godere della vista ravvicinata del prezioso manufatto. Anche in questa occasione le guide illustrarono la particolarità dell’impiego dei ceci come elemento decorativo, reimpiegati nelle operazioni di restauro con la tecnica utilizzata nel ‘700, sottolineando ancora una volta il profondo legame perdurato nei secoli tra città dell’Aquila e contado, soprattutto tra la Basilica di San Bernardino e la piana di Navelli.

(Si ringrazia la dottoressa Maura Iannucci per le foto)

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