Giro d'italia 2021

Tra santi e pastori, il Giro d’Italia attraversa il cuore dell’Abruzzo

Giro d'Italia: da Castel Di Sangro a Campo Felice, prima vera tappa di montagna. In una terra disadorna, cristiana e medioevale, dove l’alternativa alla passione civile è il miracolo.

Giro d’Italia: la tappa abruzzese, in una terra magica e ricca di storia, nell’articolo di Roberta Scorranese, pubblicato sul Corriere.

Dal Passo Godi, tra Scanno e Villetta Barrea, lo sguardo si allarga a perdita d’occhio su una terra di pietre ed erba sottile. Sassi bianchi punteggiano l’Abruzzo più duro e spigoloso, attraversato nel corso dei millenni da pecore e santi, contadini e viandanti.

Il lago di Scanno ha la forma di un cuore ma questa è l’unica concessione alla grazia nell’Appennino che Ignazio Silone definiva una contrada “di santi e scalpellini”.

Le corti rinascimentali che hanno addolcito i palazzi e i dipinti delle vicine Marche viste da qui sembrano non essere mai esistite e la storia civile dell’Abruzzo ha un retroterra cristiano e medioevale. Appunto: “santi e scalpellini”.

lago di scanno

Un dolore che non ha mai fatto letteratura

La povertà radicata nelle terre dei cafoni raccontati in Fontamara da Ignazio Silone non è stata solo una condizione sociale, ma tutti quelli che nascono qui la avvertono come una forma di predestinazione.

Il senso dell’ingiustizia e della sopraffazione sulla pelle dei contadini che si ribellavano ai signorotti della piana del Fucino appartiene a tutti, anche agli abruzzesi che sono partiti, anche a quelli che si sono inventati un lavoro «cool» nei parchi nazionali. Si vede nei volti alteri ma sofferenti delle madonne.

Quelle in terracotta custodite nel nuovo museo dell’Aquila e quelle esposte nelle decine di chiesette tratturali che ricamano una piana brulla. Sono le chiese della transumanza, come Santa Maria de’ Centurelli a Caporciano: qui trovavano riposo fedeli e pastori, pecore e briganti.

Un romanzo contadino che racconta un territorio ferito dalle guerre ma che del dolore non ha mai fatto letteratura. A due passi dalle terre attraversate dal Giro — a Sulmona, per esempio — la Resistenza ha scritto pagine impressionanti, eppure pochi le conoscono. Come se quel romanzo fosse cosa viva.

L’attesa di qualcosa che, prima o poi, arriverà

Come se non ci fosse bisogno di un codice letterario o figurativo: l’arte, in questa porzione d’Abruzzo, è negli eremi che hanno accolto visionari della fede e della politica, è negli affreschi pre-giotteschi dell’Oratorio di San Pellegrino a Bominaco, miracolosamente scampati alle centinaia di terremoti.

Miracoli: qui non sono solo leggende alimentate dall’influente Stato Pontificio, ma per secoli sono stati una concreta alternativa alla passione civile soffocata dalle oppressioni. Vero motore della spiritualità più pietrosa, come quella di Celestino V, il “povero cristiano” che divenne papa per poi tornare a vivere di acqua e preghiere nel suo eremo di sassi sopra Sulmona.

bominaco

D’Annunzio e Flaiano

La stoica attesa di qualcosa che prima o poi arriverà (il Regno dei cieli? La libertà? Il riscatto degli ultimi?) è la vera forza degli abruzzesi, quella che permette di sopportare persino una terra capricciosa che ogni anno decide se regalare il prezioso zafferano della piana di Navelli oppure di negare financo le patate.

Descrivendo le processioni sotto la Majella, dove la devozione si spinge ai limiti di una coreografia feroce e pagana — con santi avvolti da serpenti vivi e pellegrinaggi compiuti strisciando con la lingua a terra — Gabriele D’Annunzio aveva colto questo aspetto profondo, verissimo. Le tentazioni estetizzanti lo hanno poi allontanato da questa placenta e così Roma prima e il Bresciano poi lo hanno adottato senza difficoltà. Però c’è stato anche Ennio Flaiano, che si è trasferito a Roma portando con sé quell’umorismo sottile che solo gli abruzzesi capiscono e colgono fino in fondo.

Tra francescanesimo e anarchia

Sospeso tra francescanesimo e anarchia, l’Abruzzo fatica a promuoversi come paradiso naturale alternativo al Trentino (anche se ha ben tre parchi nazionali) oppure come terra di rivoluzione verde nei servizi e nella tecnologia, nonostante gli importanti centri di ricerca scientifica. Perché è come se ogni forma di grandezza dovesse necessariamente essere ridimensionata, riportata a misura d’uomo semplice.

Quando Antonino Zichichi prese la guida dei Laboratori di ricerca dell’Aquila subito gli trovarono un soprannome: “lu mattarille de lu Gran Sass”, cioè “quel simpatico mattacchione che lavora sotto al Gran Sasso”.

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