Movida molesta

Movida ed eccessi in centro, pericolo Tana Libera Tutti

Vie del centro usate come gabinetti, rifiuti gettati in ogni dove, rumori fino a notte fonda. "Non chiamatela movida!", l'allarme di residenti e commercianti: colpa dell'effetto Covid? L'intervista alla psicologa aquilana Chiara Gioia

L’estate 2021 non è ancora cominciata, ma la Movida – per mesi in stand-by – è ripartita a pieno ritmo, non senza conseguenze. Tana Libera Tutti a L’Aquila? Tanti lo pensano. La cronaca arriva, soprattutto, dal centro storico del capoluogo ma fa eco a tantissime realtà cittadine italiane: tra pipì in piazza, rifiuti lasciati in ogni dove (dalle bottiglie di birra agli assorbenti) e rumori molesti fino a notte fonda.

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L’eccessiva libertà che porta alcuni a trattare i vicoli in pieno centro città come gabinetti, o a picchiarsi tra bande di rivali, può essere conseguenza delle misure restrittive legate al Covid19? “Sicuramente si sono attivate una serie di dinamiche che sono effetto del Coronavirus e delle misure imposte. È pur vero, tuttavia, che attribuire tutto a un anno di restrizioni, limitazioni e angosce sarebbe poco corretto e non così rispondente al vero, poiché vi è una struttura comportamentale ed educativa presente da ben prima che arrivasse il Covid19“. 

Il Capoluogo ha ascoltato il parere di un’esperta, la psicologa e psicoterapeuta aquilana Chiara Gioia, per cercare di capire cosa può nascondersi dietro ad alcuni episodi spiacevoli, di cui la città è stata spettatrice nelle ultime settimane.

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La volontà di marcare il territorio e il “Tana Libera Tutti!”

Alcuni episodi, quali urinare in pieno centro, tra i vicoli o nelle aiuole delle piazze, “possono essere letti come un tentativo di segnare il proprio territorio da parte dei giovani. Un comportamento che ha origini ancestrali e che rischia di prendere piede come risposta ad una mancata affermazione della loro identità nel difficile anno Covid”.

Il rischio, dietro l’angolo, è che si generi l’effetto Tana libera tutti. “Un comportamento incontrollato che è anche la diretta conseguenza di tutte le notizie negative e le incertezze vissute in questo periodo, alle quali, in queste ultime settimane, stanno seguendo notizie di riaperture, ripartenze e restrizioni allentate. Come decodificano i giovani tutto questo? Come una ritrovata normalità ante Covid. Così le limitazioni e i vincoli subiti nel lockdown si trasformano in un fiume in piena: traducendosi nella voglia di riprendersi appieno le loro libertà. Ecco perché è fondamentale il contenimento da parte dell’adulto: c’è bisogno di una guida che sappia indirizzarli, consigliarli. Perché i comportamenti sbagliati non vanno giustificati, ma vanno interpretati: psicologicamente vengono letti come fragilità inespresse e soffocate“. 

L’angoscia generata dal Coronavirus va incontro ad uno sfogo da parte di tantissimi giovani, soprattutto adolescenti. Poco vicini – cognitivamente – al concetto di rischio e paura per gli altri e, soprattutto, per loro stessi.

Giovani e movida: limitazioni Covid, paure e angosce

Partiamo dal presupposto – ci spiega Chiara Gioia – che gli adolescenti non hanno paura del rischio, dei pericoli o della morte. Un’idea, questa, che per ragioni anagrafiche vedono lontana rispetto agli adulti. Se, ad esempio, un gruppo di ragazzi in centro si ubriaca, con bottiglie che passano dalla bocca di uno a quella di un altro, in quel caso quei giovani probabilmente non avranno paura di contagiarsi: non percependo la pericolosità o l’incidenza del virus sulla loro giovane fascia d’età“. 

Comportamenti che portano a ‘distrarsi’ – dopo mesi di divieti – dalle disposizioni anti Covid e che sono, al tempo stesso, concause di un contesto di allentamenti dovuto al calo dei contagi, ad una minore circolazione del virus e ai benefici della campagna vaccinale di massa. Eppure il Covid19 non è scomparso e bisogna tenerne conto.

“La vera paura dei giovani, non solo degli adolescenti, è quella di sentirsi limitati nella loro libertà. E il Covid ha limitato contatti, relazioni, uscite, divertimenti. Nello specifico, poi, della fascia adolescenziale, il discorso è ancor più complesso. L’adolescente attraversa un periodo – a livello psicologico, fisiologico e sociologico – di distacco dalla famiglia: perché sente il bisogno impellente di trovarsi un suo spazio indipendente. Il Covid, però, ha inevitabilmente limitato questa esigenza tipica dell’adolescenza. Difficoltà che tuttavia non può giustificare eccessi comportamentali, che vanno a discapito del decoro pubblico e della serenità dei cittadini”. 

“Bisogna, comunque, considerare che il discorso del Coronavirus non può aver stravolto, dall’oggi al domani, il comportamento di un giovane: a meno che non ci sia stato un evento traumatico in famiglia”.

Quella degli adolescenti può essere letta come una lotta all’angoscia, sentimento che è diverso dalla paura. Se la paura, infatti, è ben direzionata – ad esempio, noi abbiamo vissuto il terremoto, sappiamo cos’è e lo temiamo – l’angoscia legata al Covid19 non aveva un oggetto specifico identificato: perché nessuno sapeva esattamente cosa fosse questo virus. Questa lotta contro l’angoscia, però, non può e non deve essere letta come giustificazione, ma come una necessità che hanno i giovani di incanalare nel giusto modo tutti questi sentimenti”. 

Movida molesta “di tendenza”?

Tutti siamo stati giovani, ma non può diventare una moda andare in giro con casse di birre da consumare in centro, anche nei parchi verdi, senza minimamente preoccuparsi di gettare i rifiuti nei cassonetti specifici. Fenomeno, questo, a cui cerca di porre freno l’ordinanza anti botellòn emanata dal Comune dell’Aquila.

“I giovani manifestano un bisogno di scaricare quella rabbia, quella tristezza e quello scoramento accumulati in oltre un anno di pandemia. In particolare, pesano le conseguenze psicologiche di una seconda ondata che non tutti credevano possibile. Ci si ritrova a fare i conti con un sistema emotivo sovraccarico. Come ce ne possiamo liberare? Lasciandoci andare a comportamenti sfrenati’, sembra essere la risposta che tanti si danno. Invece bisognerebbe educare i nostri giovani a interfacciarsi con le emozioni contrastanti che stanno vivendo: anche perché, comportandosi in questo modo, continuano a soffocare i propri sentimenti”.

“È importante parlare, confidarsi, narrarsi. Reagendo e rispondendo a quanto subito solo con sopraffazione ed eccessi non servirà a riaffermare la propria identità. Il Covid ci ha limitato tutti, ma non dobbiamo pensare che queste risposte – che autonomamente scegliamo – ci diano la libertà di comportarci come più ci va anche in futuro, senza pagarne le conseguenze. Per i giovani comportarsi senza controllo rischia di diventare una moda: si assiste al nascere di un loro linguaggio disfunzionale“.

Non è un caso se la lista degli episodi denunciati da commercianti e residenti si allunga. “Così come abbiamo faticato ad adattarci alle abitudini ridisegnate all’improvviso dal Covid, adesso i giovani dovranno nuovamente adattarsi a nuove abitudini. Uscendo sì, ma con rigore, senso di responsabilità e comportamenti ligi. E farlo è molto più faticoso di quanto fatto prima, del loro adattarsi alle limitazioni e ai vincoli in una società in pieno lockdown. Ora la mente farà più fatica, perché si vuole tornare alle abitudini esistenti prima della pandemia“. 

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