Cultura e tradizioni

Le nuove stanze della poesia, Antonio Alleva

Il ritratto di Antonio Alleva per l'appuntamento con la rubrica Le nuove stanze della poesia a cura di Valter Marcone.

Antonio Alleva è nato e vive a Nocella di Campli (TE). Ha pubblicato Le farfalle di Bartleby (Tracce 1998, Carnaiore Proposta 1999), Reportages dal villaggio in 7 poeti del Premio Montale 2000 (Crocetti 2001) e La tana e il microfono (Joker 2006).

Presente in antologie, riviste, volumi collettivi, tra cui Ombre come casa salda. Il purgatario letta dai poeti Canti I-IX (II Ponte del Sale 2009).

antonio alleva

Alessandro Perosa su HuffingtonPost del 31 marzo 2017 scrive di lui: “… La sua recente raccolta poetica, Ultime corrispondenze dal villaggio (Il Ponte del Sale, 2017), è un diamante incastonato nelle fibre di un’umanità, spinta ormai ai margini della routine cittadina. Alleva sa che la vita che conta, l’amore, le passioni più sincere si vivono in periferia. A ritmo lento, persi fra lingue di vento e tramonti che sgranano il cuore. Il centro di questa raccolta è certamente Li chjacchjarate ‘nghë Batine (Le chiacchierate con Sabatino): le poesie sono in vernacolo con traduzione letterale e versione in lingua. E il vernacolo è la cifra che le contraddistingue. Le rende più cariche di nostalgia. Più vere. Perché in periferia, pur tra mille difficoltà e a dispetto del mainstream, si continua a parlare un’altra lingua. O almeno ci si prova, rievocando gli echi di un suono familiare.”

Perosa in poche righe disegna il mondo di Antonio Alleva. Un mondo in cui la lingua parlata è il dialetto che forse si mette in contrasto con la lingua ,la cosiddetta” madrelingua “ ma solo perché riesce a tradurre meglio quello che è il dono dell’emozione.

Quella che viene da un modo di incarnare la quotidianità nel mondo circostante con tutti i suoi problemi ma anche con tutte le sue risorse.

E continua Perosa: “Le Ultime corrispondenze dal villaggio incarnano proprio questo dono, questa capacità conviviale di stare al mondo fra amici. “Eccomi qui, caro Sabatino. / Ancora in piedi dietro a una finestra, ancora / da solo, / davanti a un’altra primavera. / Guardo fisso il miracolo giallo della ginestra, / il miracolo rosa del pesco quello bianco / del mandorlo, / guardo fisso la pace la calma. È questo un mondo espresso con voce pura, da un’anima che non frequenta i salotti buoni e non se ne preoccupa: Siamo sempre lontani dalla festa, caro Sabatino / lontani, e fuori: / che ci sembra sempre che la festa / sfiammi, gratifichi gli altri altrove. Alleva scrive un libro ogni dieci anni. Da fisico dei sentimenti e da chimico innamorato della vita pesa i versi sul bilancino. Ne misura il volume, intinge il mignolo nel ritmo, tasta ogni singola parola come un amante, ne assapora il senso profondo, arcano, per poter sussurrare, infine: E speriamo che tutto questo scrivere tutto questo penare / riesca almeno a rinfocolare l’umana speranza // quel bel lampo dentro agli occhi // quel bel sospiro, proprio come fosse il volo di mille cicogne”.

Nelvia Di Monte scrive invece che “Ultime corrispondenze dal villaggio” è in realtà una bussola per orientarsi nell’opera di Alleva perché partendo proprio dal senso letterale del titoloo è sicuramente la continuazione naturale della silloge Reportages dal villaggio (in 7 poeti del Premio Montale 2000, Crocetti 2001).

E Di Monte affermando che “La scrittura scaturisce da un ininterrotto dialogo, con il quale il soggetto riflette sulla realtà umanamente connotata dove ha stabilito la sua dimora, reale e simbolica: quel villaggio che, pur essendo un ambiente fisico e sociale ben definito, costantemente si proietta verso la globalità, certamente connota i versi di Alleva come un modo di arrivare dal particolare al generale così che il sentimento dell’appartenenza non sia il miele delle radici che incolla le ali ma diventi incessante esperienza di vita e cambiamento. Questo spesso giunge lieve nel tempo che trascorre e, mentre trasforma in ricordo persone amate e momenti vissuti, reca al presente nuovi affetti e stagioni. Ma a volte il cambiamento si impone con drammatica attualità, provocato da vicende quali il terremoto nel centro Italia, la guerra siriana, le migrazioni.”

Dice infatti lo stesso Alleva: “Basta inserirsi in quel lampo in cui la memoria ritorna /(…)/ e se vedi bene quel lampo è alato e profondo: sono versi che delineano una poetica del movimento, dove riflessioni e percezioni (districandosi tra leggerezza e fatica, memoria e attualità, gioco e gravità) continuamente si interrogano su cosa sia trovarsi nell’assurdo incanto del vivere degli uomini. Inevitabili contraddizioni scaturiscono dalla compresenza di adesione ad un luogo familiare (ai suoi riti, agli abitanti, alle case, all’ambiente) e di sentimento dell’esilio, percepito come un allontanamento non spaziale, ma temporale, di chi sembra osservare la realtà dal tempo concluso di congedi già avvenuti, con tutta la carica emotiva ed esistenziale che questo comporta.”

Da Le farfalle di Bartleby (Tracce 1998)

ALEXIS
Dalla mia brughiera senza un’anima viva
mamma,
mi godo il silenzio i vetri chiusi la distanza
e ti cerco i capelli:
ho sempre il cuore rigato da quelle parole
(ancora un giorno chiusa in casa da sola)
da gente e visioni zeppe di punteruoli:
ho voglia di dare inaudite carezze
___(ti cerco di nuovo i capelli)
metto su una musica di pianoforti e tabular bells:
intanto ti mando Alexis, il mio primo figlio
insieme al resto del racconto lancinante di giostre e bandoneon.
Perdonami mamma, ma io sono morto per il giorno.

Da 4 poeti abruzzesi (Edizioni Orizzonti Meridionali 2004)
GUARDA QUESTE MANI, IL NOSTRO BEL FOXTROT
guarda queste mani
come si estenuano per tenersi in forma, per salvarsi
per
continuare a ballare solo con la carta il nostro bel foxtrot
e come ripuntano la tana con le più sofisticate tecniche del
ripiegamento
solo unatantum il guizzo, il moto da cobra il grido
solo unatantum il morso sul collo,
sul collo del nostro ottuso nemico
e guardale adesso di nuovo piene di sangue e di tagli
come si estenuano nel disperante tentativo di risottrarsi
di risottrarsi
di risottrarsi
all’ennesima caduta, all’ottuso peso di tutti questi massi.

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