Lotta tra bande

Carcere Santa Maria Capua Vetere, “Spedizione punitiva organizzata: nessuno si è tirato indietro”

Santa Maria Capua Vetere, "Non la guerra tra squadrette, ma una vendetta premeditata. Nessuno, dalla prima guardia al Capo dell'Amministrazione penitenziaria, si è fermato". L'intervista a Michele Miravalle, coordinatore Osservatorio Antigone

Carcere Francesco Uccella, Santa Maria Capua Vetere.

È il 6 aprile 2020 quando scatta la spedizione punitiva a Santa Maria Capua Vetere. I detenuti avevano messo in atto una protesta il giorno precedente, intimoriti da un caso di Covid in un reparto. Il pomeriggio del giorno dopo accade l’impensabile: oltre 200 agenti in assetto antisommossa e le immagini che ormai tutto il mondo ha visto. “È stata una vendetta premeditata. Non una classica lite tra squadrette, ma un’intera organizzazione. Dall’agente di sezione al Capo dell’Amministrazione Penitenziaria: nessuno ha avuto la lucidità di dire ‘Fermiamoci, cosa stiamo facendo?'”. 

A parlare alla redazione del Capoluogo è Michele Miravalle, coordinatore nazionale dell’Osservatorio Antigone sulle carceri. Davanti a quelle immagini non regge alcun tipo di giustificazione. E, non è un caso, se neanche la guardia più sindacalizzata abbia provato a giustificare quanto accaduto. Quella non è legittima difesa. Quanto avvenuto è assolutamente indifendibile: si è andati oltre qualsiasi livello di immaginazione”.

Carcere Santa Maria Capua Vetere, cosa si evince da quelle immagini che hanno sconvolto il mondo?

“Che esistono, purtroppo, una radicata cultura della violenza e una concezione vendicativa della pena: quanto di più lontano da quella che dovrebbe essere l’originaria funzione ‘rieducativa’ della stessa. Ormai il concetto di rieducazione è un puro espediente retorico: sta prevalendo l’idea – sempre più diffusa – che la pena sia soprattutto una vendetta. E che, quindi, quello che si consuma in carcere non è un patto tra persone che hanno leso un contratto sociale – commettendo un reato – e uno Stato che, attraverso i suoi rappresentanti sociali, prova a ricucire quello strappo, ma piuttosto qualcosa di molto simile a una lotta tra gang rivali. Come nei telefilm ambientati nelle metropoli americane”.

Prima la protesta dei detenuti, poi l’azione punitiva dei poliziotti. Tutti, nessuno escluso. L’intera scala gerarchica.

“I detenuti hanno messo in atto delle proteste e rispetto a quelle proteste e la reazione è stata – come confermano anche le intercettazioni diffuse – considerare il Carcere di Santa Maria Capua Vetere come territorio da riconquistare. Questo è ciò che ne è venuto fuori. Quasi come se fosse stata lesa maestà l’essersi ribellati ed avere organizzato una rivolta. Si è trattato di una guerra tra bande: con la differenza che una delle due bande dovrebbe essere quella che veste le divise dello Stato e che quello Stato lo rappresenta”.

Miravalle sottolinea, quindi, la diversità di questa azione nel Carcere di Santa Maria Capua Vetere, in confronto ad altri episodi avvenuti nelle carceri italiane e non solo, che sono stati messi in luce dalle inchieste.

“In questo caso – spiega – si è trattato di una reazione di vendetta, probabilmente istintiva e atavica nelle intenzioni. Quello che di sicuro mai avremmo potuto aspettarci e che non si può in nessun modo giustificare, è che questa voglia di rivalsa abbia interessato tutti, dagli agenti fino ai piani alti e dirigenziali. Qui sta la differenza sostanziale rispetto a tutte le precedenti inchieste su violenze in carcere. Bisogna rimarcare il concetto dell’organizzazione del Carcere che sceglie la strada della vendetta. Una vendetta premeditata e messa a punto nei dettagli”. 

“Mai – continua Miravalle – si era verificata una pianificazione così massiccia. I precedenti avevano fotografato piccole squadre di poliziotti penitenziari che facevano, in alcuni casi, il cosiddetto lavoro sporco, con maggiori o minori connivenze tra l’amministrazione. Questa del Carcere di Santa Maria Capua Vetere è stata un’operazione organizzata con cura. Si parla di oltre 200 poliziotti, provenienti da diverse carceri campane per mettere in atto, nel Carcere di Santa Maria Capua Vetere quella che formalmente era una perquisizione straordinaria ma che sostanzialmente è stata una violenta spedizione punitiva. E, va da sé, che 200 uomini sono per forza organizzati: ci sono sicuramente atti amministrativi che hanno stabilito che molti di loro il giorno successivo non sarebbero andati al lavoro nella rispettiva sede di competenza, ci vogliono mezzi per trasportarli, autorizzazioni per scusi e caschi…insomma tutta una serie di fasi e procedimenti logistici, che presuppongono un’intera organizzazione per giungere a quei fatti”.

Come ne uscirà la Polizia Penitenziaria?

“Gli operatori, davanti a un episodio tanto grave e di così grande risonanza, potranno scegliere se far prevalere il concetto dello spirito del Corpo – quindi chiudersi a riccio e rimandare al mittente ogni tentativo di riflessione – oppure potrebbero fare quella che, a mio parere, sarebbe una scelta intelligente. Cioè aprire una profonda riflessione sul ruolo loro: sul perché lavorano negli istituti, perché vestono quella divisa, cosa significa vestirla. C’è in gioco un’etica, una vera cultura professionale. Spero che quelle immagini siano viste in tutte le Caserme di Polizia Penitenziaria”.

“È l’occasione per fare questo tipo di riflessione e ricordare il senso della pena, ribadendo l’importanza della videosorveglianza. Nelle carceri, luoghi di privazione della libertà degli individui, non possono esserci luoghi ciechi. Qualsiasi spazio o locale dovrebbe avere installate telecamere funzionanti, ma purtroppo in Italia non è così. In questa inchiesta in particolare – conclude Miravalle – la possibilità di visionare le immagini è stata fondamentale”.

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