L'intervista

Italo Radoccia, il Giudice e il valore dei fatti: e se l’uomo tornasse al centro della Giustizia?

Intervista al magistrato abruzzese Italo Radoccia, attualmente al Tribunale del minori dell'Aquila. Dalla riforma della Giustizia all'informazione, passando per le leggi - troppo spesso percepite come distanti - e dal Giudice, chiamato ad essere coscienzioso. Per far sì che l'uomo torni al centro della Giustizia.

Non c’è compito più delicato (ed eticamente fra i più importanti) che quello di valutare i fatti per quello che sono, senza pregiudizi, sovrastrutture, soprattutto quando si parla di diritti e di libertà: dare, insomma, valore ai fatti. Sembra facile, e come tutte le cose che lo sembrano, nella realtà, così non è.

“Il valore dei fatti” è l’ultima opera scritta da Italo Radoccia, magistrato abruzzese attualmente al Tribunale dei Minori dell’Aquila. Ma anche scrittore, saggista, poeta, di recente premiato con un riconoscimento all’impegno culturale nel premio internazionale Ut pictura poesis – Città di Firenze.

Premio Città di Firenze, tanti riconoscimenti per gli abruzzesi

Incontrare un libro del genere mentre si discute, da anni, di riforma della giustizia, della separazione delle carriere dei magistrati, nel mezzo di una pandemia in cui l’infodemia – l’eccesso di informazioni a disposizione – ormai la fa da padrona, è una boccata di aria fresca. E lo è perché riavvicina il lettore a quel senso di giustizia, alla legge che si percepisce spesso come un’entità distante, che dimora nei palazzi dei tribunali italiani e non ne esce mai. Eppure così non è e così non dovrebbe essere: “Se la legge appare a volte lontana dall’equità è proprio perché non considera il senso del “Qui e ora”, ma solo il sempre e dovunque, allontanandosi dal nudo fatto”, scrive Radoccia. E allora tanto più diventa fondamentale il ruolo del Giudice, che deve essere uomo e non semplice bocca della legge; colto ma non “intellettuale”; che deve comprendere la persona che ha davanti e non l’idea, astratta, di uomo. Meno ideologia, più coscienza. E una giustizia che sia veramente giusta.

Ne abbiamo parlato con Italo Radoccia in una intervista a tratti sorprendente: dalla riforma della giustizia“i magistrati subiscono, abituati a spalare fascicoli” – al ruolo dell’informazione, dalla soppressione dei tribunali minori alle somiglianze fra poesia e diritto. In un paragone che, a ben pensarci, rende lo stupore protagonista.

Parliamo del suo libro, “Il valore dei fatti”. Perché ha voluto dedicare un’opera a questo tema?

Perché nel mondo attuale è in atto la massima astrazione fra i fatti reali e la percezione che se ne ha di essi attraverso la sempre possibile mistificazione derivante da ideologie pervasive che portano a univoche interpretazioni della realtà sul fondamento del “pensiero unico” che può tendere ad instaurare una forma di totalitarismo del pensiero; e ciò anche con la complicità di forme di comunicazione sempre più capillari e penetranti, si pensi ad Internet. A ciò si aggiunga anche l’idolatria della legge che da strumento di tutela potrebbe rappresentare un inciampo burocratico o assumere un ruolo di gendarme che mira a intimidire e a condizionare le idee delle persone.

Sembra paradossale: Internet e la legge sono strumenti essenziali per la libertà o no?

Sembra paradossale, ma è proprio nella rete che si celano le insidie, in cui è difficile sceverare le informazioni false da quelle autentiche e dove l’eccesso di informazioni può creare assuefazione e disinteresse. D’altra parte, vi è una intrinseca volontà di potenza nella legge e nei suoi “burocrati” dinanzi a cui i fatti sembrano trascolorare e perdere la loro valenza. Al contrario, ciò che veramente ci appartiene sono i rapporti tra le persone, la fiducia reciproca, i fatti e i valori ad essi connessi. Valori che si ricavano proprio sul terreno della realtà, in funzione della persona, pur in un mondo in continua oscillazione tra principi astratti, norme ed elementi di senso comune, tra istanze di giustizia e logiche di potere, tra la discrezionalità del Giudice e le scelte politiche del legislatore.

Radoccia, lei parla di una possibile evoluzione del diritto dando più spazio all’uomo in carne ed ossa, alla centralità dell’uomo di legge e meno alla “burocrazia” e alla rigida applicazione delle norme. Tornare alla realtà per essere più vicini ai cittadini?

Infatti, il diritto è un fenomeno in continua evoluzione in quanto più fortemente di ogni altro esprime la tendenza all’oggettivizzazione dei valori, da far valere secondo un criterio di tendenziale verità. Il diritto nasce dal fatto e in definitiva nella valutazione dei fatti trova il suo compimento. Ma se così è, dalla centralità della legge si deve passare alla centralità della valutazione del fatto che spetta all’uomo di legge, rappresentato da un Giudice coscienzioso più che un burocrate del cavillo, una persona colta più che un semplice tecnico. Insomma, il Giudice deve essere il custode dei fatti che deve maneggiare con sensibilità e capacità intuitiva, perché il diritto consente di navigare a vista, ma è la coscienza a guidare il timone. Per altri versi, il cittadino è un soggetto sovrano, titolare di una dignità propria, ma che più che regole e principi astratti reclama fiducia, vuole legami, relazioni, fatti carichi di valori oggettivi in cui riconoscersi proprio come persona, perché i fatti possono sempre rivoltarsi contro chi ha delle “buone ragioni”.

Il Giudice come custode dei fatti

Il Giudice, oltre ad essere il custode della legge – che contiene fattispecie astratte – deve anche essere il custode dei fatti concreti. Dinanzi al valore di un fatto non ci si può rifugiare in mere astrazioni, ma è necessario fare appello al valore della coscienza e di una effettiva responsabilità; specie in un mondo dove domina il mercato globale, la comunicazione di massa e il mascheramento dei veri centri di potere. Ma anche qui il discorso è lungo.

Si parla tanto di riforma della giustizia. Cosa manca? Quali sono i punti che potrebbero far cambiare il passo ad un sistema che si è via via più appesantito?

Sento spesso parlare di riforma della giustizia, ma il termine è improprio: bisogna parlare di riforma della magistratura, perché il sistema attuale – è sotto gli occhi di tutti – non funziona, non sembra più garantire né la trasparenza dei suoi meccanismi né la giustezza delle sue decisioni. La magistratura è un ordine autonomo e indipendente che esercita un potere dello Stato, e il Giudice è soggetto solo alla legge per cui il suo potere è indiretta derivazione della sovranità popolare. Ma a volte si assiste a una sorprendente divaricazione tra la decisione di un Tribunale e quella che sembra essere una diffusa coscienza collettiva che rifiuta completamente il merito di certe sentenze; in proposito, si parla a volte di sentenze così dette shock.

Fermo restando l’indipendenza e l’autonomia della magistratura?

Certamente. Si parla tanto dell’indipendenza del magistrato dalla politica, che è un valore assoluto. Ma la questione non è tanto che il Giudice abbia o meno una qualche idea politica, ma che sia mosso o meno da ragioni di potere. Insomma, il Giudice deve essere un uomo libero mentre il potere per definizione imbriglia questa libertà. Per dirla meglio: se si insegue il potere, si rischia di far perdere l’autonomia di giudizio, a costo anche di tradire la propria coscienza. Ebbene, la vera indipendenza non è soltanto quella dal potere politico, ma anche quella dal potere di lobby trasversali allo stesso potere politico. Il Giudice inserito in un sistema di potere può diventare un mero burocrate perdendo l’autonomia decisionale o affievolendola in un meccanismo impersonale che lo pone in una situazione di soggezione e ne indirizza le decisioni, anche per ambizioni di carriera o per incarichi più o meno prestigiosi. Per concludere: il magistrato deve essere un uomo libero più che un uomo di potere.

Che ruolo ha l’informazione?

Un ruolo pesantissimo. L’informazione è libera, e ci mancherebbe; ma la cronaca può avere effetti devastanti per i processi, per l’immagine di un uomo pubblico, per gli equilibri politici e non da ultimo per singole carriere; insomma, l’attività del giornalista è da maneggiare con cura, per farla sono necessarie preparazione e misura.

Anche fare il Giudice richiede preparazione ma anche misura

Proprio così, e una riforma per me – ma non solo per me – necessaria deve essere quella di modificare e ampliare i criteri di selezione per l’ingresso in magistratura; oltre ai requisiti tecnico – professionali, devono essere previsti anche requisiti psico – attitudinali. Insomma, è meglio una cattiva legge ma un buon Giudice che una buona legge ma un cattivo Giudice.

Bisognerebbe cambiare anche i metodi di valutazione dei magistrati?

Certo. In una valutazione di professionalità si possono esaltare i meriti glissando sui demeriti, e viceversa si possono enfatizzare i demeriti sminuendo i meriti. Un po’ come avviene nelle valutazioni comparative per l’assegnazione di un incarico direttivo quando alcuni titoli in un caso vengono sovrastimati e in altre occasioni, gli stessi titoli, vengono sottostimati.

Ma una valutazione non è discrezionale?

Fino a un certo punto. Basterebbe introdurre criteri oggettivi e rigorosi. Insomma, la soluzione è semplice: basterebbe pesare e contare meriti e demeriti con la stessa unità di misura. Ma ciò toglie potere alle correnti, alle lobby, alle conventicole varie.

Insomma, abbiamo toccato il punto cruciale: lo scandalo delle nomine pilotate dal Sistema?

Non voglio entrare nel merito della questione, ma non dimentichiamoci che la Magistratura è solo uno dei gangli del sistema in cui c’è di tutto: partiti politici, potere finanziario, apparati di sicurezza, la stampa e quant’altro. Comunque, se un Sistema esiste, è ovvio che abbia interesse a controllare i dirigenti, a dar loro sempre più potere e a rendere sempre più discrezionale una nomina.

I rimedi?

Se così fosse, basterebbe depotenziare il ruolo dei dirigenti, rendere comunque oggettivi i criteri di comparazione per le nomine e introdurre il meccanismo del sorteggio per i membri del Consiglio Superiore della Magistratura. Semplice, no?

Ma allora perché non si fa?

Perché chi ha interesse a queste riforme non ha voce in capitolo. Sono i magistrati qualunque che subiscono in silenzio e con pazienza, anche perché sono abituati a “spalare” fascicoli e non hanno nemmeno il tempo di discettare sui massimi sistemi.

Tema Tribunali minori: lei è stato a Vasto per diversi anni, uno dei quattro Tribunali a rischio chiusura in Abruzzo. Quali sono le problematiche dei tribunali minori e come possono essere risolte senza ricorrere per forza alla soppressione?

Ormai la stragrande maggioranza dei tribunali così detti minori è stata soppressa. Resistono i tribunali abruzzesi (Avezzano, Lanciano, Sulmona e Vasto) ma solo perché sono in proroga. A mio avviso, i tribunali minori non andavano soppressi. La decisione, squisitamente politica, è stata presa per dare un segnale: lo Stato ha la volontà di risparmiare. Tuttavia, è in altri ambiti che lo Stato dovrebbe effettivamente risparmiare, come per esempio nel taglio degli innumerevoli enti inutili, non certo dei tribunali o degli ospedali.

Ultima domanda:  oltre ad essere un docente universitario, autore di interessanti studi giuridici e saggi letterari, Italo Radoccia è anche un poeta. Ci sono punti in comune fra il diritto e la poesia, mondi che apparentemente sembrano così distanti?

La poesia nasce dallo stupore che deriva dalla bellezza della natura e dei sentimenti umani. Il diritto, a volte, nasce dallo stupore di certe sentenze

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