30 anni fa sbarcava in Italia Vlora, la nave albanese della speranza

Vlora: 30 anni fa lo sbarco della nave con un carico di 20 mila persone dall’Albania. Ancora oggi resta una delle immagini più iconiche dei fenomeni migratori tra le due sponde del mare Adriatico.
La nave Vlora era partita da Durazzo e la foto, che fece il giro del mondo, mostrava l’arrivo al molo di levante del capoluogo pugliese, con una “mattonella umana” formata da uomini, donne e bambini in attesa di conoscere il loro destino.
“Se il mare ghiaccia, andiamo tutti in Italia pattinando”. È un adagio che mormoravano gli albanesi durante gli anni ‘80: sognavano lo Stivale, pensando di trovare fortuna al di là del mare. Chi aveva la televisione e poteva vedere i canali italiani ha raccontato di sognare davanti le pubblicità, o i programmi pieni di colori e lustrini.
Erano gli anni di Mike Buongiorno, dei quiz a premi, delle pubblicità della Barilla e della Nutella. Dall’altra parte del mare invece c’era chi soffriva e fantasticava una fuga impossibile dall’isolamento paranoico imposto dalla dittatura di Enver Hoxha.
L’Albania, il minuscolo Stato comunista, era una specie di Corea del Nord affacciata sull’Adriatico: il mare, un muro d’acqua invalicabile. Poi il dittatore morì e l’ermetismo del regime iniziò lentamente a scricchiolare.

Per questo anche 30 anni dopo Vlora non può essere dimenticata: con il suo carico umano ancora oggi resta una delle immagini più iconiche dei fenomeni migratori tra le due sponde del mare Adriatico.
Come arrivò Vlora in Italia?
Il 7 agosto 1991, di ritorno da Cuba carica di zucchero di canna, durante le operazioni di sbarco del carico nel porto di Durazzo, in Albania, la nave mercantile Vlora venne assalita da una folla di circa 20.000 persone che costrinsero il comandante, Halim Milaqi, a salpare per l’Italia.
Quello del mercantile Vlora fu l’episodio più famoso ma non certo l’unico. Il regime comunista albanese aveva isolato il Paese dal mondo occidentale, facendo impennare il tasso di criminalità e generando una povertà dilagante. Dopo la caduta del dittatore Hoxha nel 1985 la situazione non migliorò, e così, grazie all’influenza della tv italiana, il cui segnale arrivava anche al di là dell’Adriatico, a partire dagli anni novanta le prime persone decisero di attraversare il mare in cerca di un futuro migliore.
Già nel febbraio 1991 decine di cittadini albanesi iniziarono ad approdare nel porto di Brindisi. Il primo esodo di massa verso la città arrivò intorno al 7 marzo dello stesso anno. Le stime parlano di circa 30mila persone in pochi giorni, più di un terzo dell’intera popolazione brindisina. Gli sbarchi diminuirono progressivamente solo alla fine del decennio.
Molti di loro, a differenza dei passeggeri della Vlora, riuscirono a rimanere in Italia, grazie anche a un accordo stipulato tra Roma e Tirana per facilitare l’immigrazione albanese in Italia.
Cosa ne è stato del carico umano di Vlora?
Nel giro dei pochissimi giorni venne organizzata la più poderosa operazione di rimpatrio della storia repubblicana. Vi parteciprono 11 aerei militari C130 e G222, assieme a tre Super80 dell’Alitalia e a motonavi come la Tiepolo, la Palladio e la Tiziano, sulla quale si imbarcò clandestinamente l’inviato del Messaggero Marco Guidi, fingendosi albanese per poter poi raccogliere le storie degli immigrati.
I rimpatriati furono 17.400, più dei passeggeri effettivi del Vlora (ripetiamo, secondo le stime dell’epoca) perché vennero rimpatriati anche immigrati di altri sbarchi. Rimasero in Italia in 1.500, che avevano fatto domanda di asilo politico. In seguito si stipulerà un accordo modello tra Roma e Tirana per favorire l’immigrazione regolare di molti Albanesi e collaborazione per contrastare quelli irregolari.
Tanti di quegli uomini e di quelle donne oggi non ci sono più, ma c’è chi in Italia ha trovato fortuna e si è rifatto una vita. Parecchi dalla Puglia sono arrivati anche in Abruzzo, dove hanno ricostruito le loro abitudini, la quotidianità, dove oggi stanno crescendo i figli nati in Italia e quindi italiani al 100 per cento.
Così descrisse quella giornata la moglie dell’allora sindaco di Bari, Enrico Dalfino: “Andò subito al porto, prima ancora che la Vlora sbarcasse. A Bari non c’era nessuno del mondo istituzionale, erano tutti in vacanza, il prefetto, il comandante della polizia municipale, persino il vescovo era fuori. Quando uscì di casa però non immaginava quello a cui stava andando incontro. Dopo qualche ora mi telefonò dicendomi che c’era una marea di disperati, assetati, disidratati, e aveva una voce così commossa che non riusciva a terminare le frasi. Non dimenticherò mai l’espressione che aveva quando tornò a casa, alle 3 del mattino dopo. “Sono persone” – ripeteva – “persone disperate. Non possono essere rispedite indietro, noi siamo la loro ultima speranza”.
Le celebrazioni per il trentennale
Dal 5 all’8 agosto la città di Durazzo ospiterà una mostra allestita dalla fotografa Eva Meksi. Albanese di nascita, Eva aveva solo 24 anni quando si imbarcò sulla “Dolce nave” alla volta dell’Italia, dove vive da allora lavorando come interprete e mediatrice culturale.