Inchiesta acqua fresca

Celano, si sgonfia il castello di accuse a carico del sindaco Santilli

Si sgonfia il castello di accuse a carico del sindaco Santilli. Pubblicate le motivazioni della sentenza dello scorso 2 luglio, che ha visto la Cassazione annullare il divieto di dimora del primo cittadino a Celano.

Crolla l’impianto accusatorio a carico del sindaco Santilli. Pubblicate le motivazioni della sentenza dello scorso 2 luglio, che ha visto la Cassazione annullare il divieto di dimora del primo cittadino a Celano.

Un’indagine dalle accuse fortemente ridimensionate, che avevano visto coinvolto il sindaco Settimio Santilli, finito agli arresti domiciliari lo scorso 22 febbraio 2021. A metà marzo, invece, il Tribunale del Riesame dell’Aquila aveva scarcerato sia il sindaco Santilli, che l’ex vice sindaco Filippo Piccone, disponendo tuttavia per entrambi la misura del divieto di dimora nel Comune di Celano, finalizzata ad evitare “la possibilità di inquinamento delle prove”.

Le motivazioni sull’accoglimento del ricorso da parte della Corte di Cassazione, però, a seguito dell’udienza tenutasi il 2 luglio, hanno contribuito a chiarire la posizione del primo cittadino, che ai microfoni del Capoluogo aveva dichiarato in anteprima:

“Non mi sono dimesso perché sono sempre stato consapevole della mia innocenza. Se ci sarà rinvio a giudizio, sarò sereno”. 

Con una decisione anomala, diversamente da quanto accade di solito, è stata la stessa Cassazione ad annullare direttamente il Divieto di dimora. In genere, invece si attua un annullo con rinvio: rinvio che viene delegato sempre al Tribunale del Riesame.

Come ci spiega la difesa, in questo caso: “Le accuse erano inerenti sia a delibere di giunta che a procedure di appalto pubblico, ma i vizi di forma emersi riguardano un mancato esame delle norme che regolano gli Appalti pubblici e i compiti spettanti alla giunta: se questi fossero stati valutati ci si sarebbe subito resi conto che la costruzione dell’impianto accusatorio a carico del sindaco Santilli fosse assolutamente illogica”.

Si parla di omessa individuazione di adeguati criteri di scelta della misura, come genericamente incentrati sull’enunciazione di non meglio precisate condotte di favoritismo poste in essere nei confronti di imprenditori, in assenza di qualsiasi specificazione e attualizzazione del contesto storico-fattuale in cui le stesse sarebbero maturate“. 

La sentenza di annullamento del divieto nei dimora da parte della Corte di Cassazione viene così motivata:

Nei passaggi motivazionali dell’ordinanza impugnata, non vengono indicati elementi dai quali sia possibile desumere le ragioni della persistente effettività del ravvisato periculum libertatis, cioè il reiterato rischio di perpetrare reati.

“Ciò – spiega la sentenza – a maggior ragione, ove si considerino, da un lato, la circostanza relativa alle irrevocabili dimissioni da assessore e consigliere comunale del coindagato Filippo Piccone (in data 10 marzo 2021) – sì come ritenuto dai Giudici di merito il principale responsabile di una gestione personalistica ed accentratrice dell’amministrazione comunale – e, dall’altro lato, i concorrenti effetti della sospensione di diritto dalla carica di Sindaco, anteriormente disposta nei confronti dello stesso Santilli con provvedimento prefettizio del 22 febbraio 2021”.

“Questi elementi – continua la sentenza – non possono di certo ravvisarsi, a fronte del decorso di un significativo lasso temporale e dello stato di incensuratezza dell’indagato, in quelli di mera natura congetturale indicati nelle sequenze argomentative a ciò dedicate nell’ordinanza impugnata ed ivi inquadrati nel torno di tempo ricompreso fra gli anni 2017 e 2018. Si tratta della riproposizione di un complesso di elementi già a suo tempo vagliati dai Giudici di merito, in sede di applicazione dell’originaria misura cautelare, dunque ancor prima dell’intervenuta rivalutazione della complessiva gravità della base indiziaria, in quanto ritenuti sintomatici (con riferimento a quel determinato arco temporale) dello stretto rapporto intrattenuto con il Piccone, della consapevolezza, da parte del Santilli, delle modalità accentratrici con le quali il primo gestiva un’amministrazione comunale le cui redini, di converso, avrebbero dovuto far capo al secondo e dell’omesso esercizio dei poteri di controllo, volti a frenare i meccanismi clientelari esaminati nell’ordinanza genetica, senza valorizzare appieno la circostanza di fatto – della quale pur si dà conto in motivazione – relativa agli atti di autotutela posti in essere dallo stesso Santilli (talora direttamente attivatosi per annullare alcune gare pubbliche), né individuare, in relazione alla susseguente fase temporale, la presenza di atti o comportamenti concreti, dotati di specifica pregnanza al fine qui considerato e come tali idonei a sorreggere un congruo apprezzamento di merito, riguardo alla ricorrenza di una probabile continuità di azione finanche nel mutato contesto di relazioni all’interno degli organi amministrativi comunali che potrebbero, in tesi, risultarne direttamente investiti”.

Il ricorso

Il ricorso presentato dalla Difesa del sindaco – l’avvocato di fiducia Michele Lioi – sottolineava, principalmente, la presenza di:
“violazioni di legge e vizi della motivazione, relativamente alla ritenuta sussistenza del requisito della gravità indiziaria per il reato di concorso nella falsità ideologica della delibera di giunta comunale n. 277 del 29 dicembre 2017 (capo 4), il cui contenuto risulta effettivamente corrispondente a quello delle decisioni assunte nel corso della riunione di giunta, senza alcuna divergenza rispetto a quanto in quella sede venne deliberato”

Non solo. Nel ricorso si contestava anche l’accusa relativa ad un’altra delibera di Giunta, la 127 del 9 giugno 2018, poiché

“dalle intercettazioni in atti richiamate non emerge quale sia stato il ruolo del Santilli, laddove il fatto che la tabella – priva di data e di firma – sia stata pubblicata in allegato a quella delibera non poteva far sorgere il dubbio che la stessa potesse essere stata adottata contestualmente ad essa, atteso che alcuna tabella ed alcun conteggio vi erano stati approvati, trattandosi, piuttosto, di un mandato conferito dalla Giunta ai competenti uffici comunali al fine di provvedere con urgenza alla verifica delle rendicontazioni per recuperare eventuali somme dalla società sportiva”.

Infine, con riferimento ai reati di Turbativa d’asta il ricorso faceva leva

“sull’assenza di elementi indiziari idonei a ritenere che da parte del ricorrente vi sia mai stata una richiesta di nominare il presidente della commissione di gara, alterandone le modalità di partecipazione, tanto che l’indagato aveva manifestato dei dubbi sulla regolarità dell’avviso e sulla stessa prosecuzione della relativa procedura, sicché la stessa, in seguito ad una sua sollecitazione, fu oggetto di un provvedimento di revoca in autotutela già nel maggio del 2018”.

Sempre nell’interesse dell’indagato, aveva proposto ricorso anche il legale di fiducia Antonio Milo deducendo “violazioni di legge e plurimi vizi della motivazione in relazione alla sussistenza del pericolo di recidiva, di cui all’art. 274, lett. c), codice di procedura penale: trattandosi di ipotesi di reato risalenti all’anno 2018, cui non ha fatto seguito alcun comportamento rilevante da parte dell’indagato,
peraltro del tutto incensurato: aspetti, questi, sui quali il Tribunale del riesame non si è affatto pronunciato“.

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