La salsa di pomodoro, un rito che profuma di ricordi

12 settembre 2021 | 11:29
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La salsa di pomodoro, un rito che profuma di ricordi

Oggi la salsa di pomodoro non è più una necessità ma rientra in quelle belle tradizioni tramandate dalle nonne e che rendono l’autenticità di un Abruzzo ancora molto rurale.

Il Capoluogo.it, porta i suoi lettori alla scoperta di quello che oggi sembra più un rito e che nel secolo scorso era una vera e propria necessità.

salsa di pomodoro 3

La tradizione della salsa di pomodoro, “le pemmadora” come dicono dalle parti di Alfedena nel cuore del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, unisce e mette allo stesso tavolo da lavoro giovani e adulti.

Nel secolo scorso, soprattutto nei paesini dell’Abruzzo montano, era una vera e propria necessità, dettata dall’asperità del lungo inverno e dalla difficoltà di raggiungere il capoluogo o le grandi città della costa, per reperire beni di prima necessità.

È un rito antico, senza errori, che si ripete da generazioni e la cui origine si perde nella notte dei tempi.

Il periodo dedicato alla preparazione è sempre lo stesso: primi di agosto o fine del mese, anche primi di settembre, a seconda della stagione, quando il pomodoro raggiunge la sua massima maturazione.

Un lavoro che esula in parte dalle moderne tecnologie, anche se le attrezzature per preparare la salsa sono all’avanguardia.

Per la preparazione si riuniscono allo stesso desco grandi e piccini, anziani e ragazzi, dello stesso nucleo familiare o semplicemente accomunati da rapporti di buon vicinato, ognuno con un compito e una mansione ben precisa.

La location per la preparazione della salsa di pomodoro è solitamente una taverna, “fondaco” in alcuni dialetti.

Le case si riempiono dell’odore buono dei pomodori San Marzano, considerato il re della categoria, “il principe della salsa” dicono a Napoli, e del basilico, a mazzi, che serve per profumare ancora di più le bottiglie.

C’è chi il basilico lo compra; per fortuna ci sono ancora le nonne “come una volta”, che anche senza crocchia o “zinalino” coltivano le foglie profumate sui loro terrazzini.

E poi c’è la caccia alle bottiglie che dovranno essere intatte, senza etichette o ammaccature: i tappi ermetici, nuovi di zecca lucenti, l’avvitatore per fare in modo che la salsa “non sfiati”.

Vasi e bottiglie, poi, andranno sterilizzati al momento. I tappi sono una cosa “moderna”, prima, negli anni ’50 si usava il sughero, legato con uno spago robusto.

Tornando al rituale e alle mansioni di ognuno, al tavolo da lavoro c’è posto per tutti: c’è chi lava i pomodori, chi toglie semi e peduncoli, chi toglie la parte verde, chi prepara e sorveglia la bombola del gas con il calderone, “ru cuttur”, che ospiterà poi le bottiglie di salsa per la bollitura.

Le bottiglie vengono avvolte in panni puliti, disposte in modo da non rompersi, in un disegno quasi geometrico che si ripete da anni e che non è più mistero per nessuna mamma, per nessuna nonna, che ripete questa tradizione da anni.

“Ru cuttur” viene gelosamente custodito di anno in anno, la leggenda vuole che ce ne siano alcuni che vanno in giro da almeno 60 anni, ricavati da vecchie taniche di benzina, pulite e modellate secondo la necessità.

ru cuttur

Non è solo un lavoro, ma un momento di grande socialità, dove di parla di tante cose, dove le signore “si raccontano i fatti”, si immagazzinano non solo bottiglie ma anche ricordi, colori e sapori.

salsa di pomodoro

Si canta, si ricorda chi non c’è più e che per tanti anni ha partecipato al rito, ma soprattutto si mangia: chi porta il salame, chi il pane, chi una bottiglia di vino e magari a mezzogiorno c’è anche una bella pastasciutta fumante, con il basilico avanzato e la bottiglia di salsa dell’anno prima, affinchè nulla vada sprecato.