Le nuove stanze della poesia, Zietta Liù

Zietta Liù e la poesia “4 novembre” per l’appuntamento con la rubrica Le nuove stanze della poesia, a cura di Valter Marcone.
Forse si ricorderanno i temi proposti ne Le stanze della poesia nel primo ciclo della rubrica con molte delle mie poesie. Vorrei riprendere quella esperienza non per proporne altre ma per chiedere ai lettori di considerare alcuni temi attraverso poesie di autori noti e meno noti. A cominciare da quelle composizioni che chiamo “le poesie dei banchi di scuola”.

Sono quelle poesie che abbiamo letto, studiato e mandato a memoria da bambini, ragazzi e adolescenti. Le voglio riproporre perché appunto il lettore possa ritrovare la fragranza della sua fanciullezza, della sua adolescenza, i ricordi di scuola, insomma una stagione della propria vita che sta nella memoria a custodire un seme che è poi germogliato e ha fatto nascere la pianta che ognuno di noi è. Certo dire che siamo piante non è poi il massimo per qualificare la nostra presenza nel mondo e il lettore mi perdoni questo accostamento anche se rimaniamo sempre una, “canna che pensa”.
E per dirla tutta secondo Pascal: “L’uomo non è che una canna, la più debole della natura, ma è una canna che pensa. Non serve che l’universo intero si armi per schiacciarlo; un vapore, una goccia d’acqua è sufficiente per ucciderlo”.
Per dire anche la grande fragilità di cui questa natura è fatta; fragilità che a volte può esere trasformata in forza. Ma questo è un altro discorso. Qui oltre a Pascal al lettore suggerirei di leggere i libri di Stefano Mancuso che le piante le conosce bene e del mondo vegetale è un interprete. Forse dalle piante abbiamo qualcosa da imparare, quando decideremo di conoscerle a fondo. Chissà. Ma torno alle poesie “dei banchi di scuola” e prima di mettere mano al commento di alcune o molte di questi componimenti che fanno parte di una letteratura che ha suscitato emozioni, consensi o dissensi di intere generazioni, mi limito a ricordare di leggere ,per quanto riguarda la scuola ( esiste una intera biblioteca su questo argomento declinato, interpretato, analizzato) due recenti opere di narrativa come “Ex cattedra e altre storie di scuola” di Domenico Starnone, edito da Feltrinelli e “La scuola cattolica” di Eraldo Affinati, edito da Rizzoli.
E poiché ho già quasi esaurito lo spazio proposto per ogni puntata mi limito a trascrivere una brevissima poesia di Zietta Liù, proprio per l’anniversario del prossimo 4 novembre. La prossima puntata cercherò di parlare più a lungo di questa poetessa proponendo anche un’altra sua composizione.
4 Novembre
4 novembre. O morti che dormite
a Redipuglia e in grembo alla rossiccia
terra del Carso: o voi che non udite
il giocondo squillar della fanfara,
morti in terre lontane, o voi caduti
giù nell’azzurra immensità del mare,
non vi ridesta un fremito di gloria?
Oggi son tutte al vento le bandiere:
dicono che fu vostra la vittoria.
Con questa poesia In questo giorno, l’Italia vuole ricordare la grande vittoria da essa ottenuta alla fine della prima guerra mondiale e insieme l’unità della Nazione e la Giornata delle Forze Armate. Una poesia che non tiene conto di una vittoria pagata a caro prezzo perché la guerra 1915-18,la prima guerra mondiale costò all’Italia 37 milioni di vittime , contando più di 16 milioni di morti e più di 20 milioni di feriti e mutilati, sia militari che civili, cifra che fa della “Grande Guerra” uno dei più sanguinosi conflitti della storia umana.
“L’ufficialità afferma che la “grande guerra “è stato un passaggio fondamentale nel processo di costruzione del nostro Paese, perché è nell’affratellamento delle trincee il primo momento vero in cui si sono “fatti gli italiani” (così l’allora sottosegretario Paolo Peluffo)”.
Nel libro “La grande menzogna”, Valerio Gigante,Luca Kocci, Sergio Tanzarella affermano che è tutta una grande menzogna perché; “Si tratta di contrapporre ad un’ideologia e ad una retorica funzionale a trasmettere l’idea di una storia nazionale senza cesure e contraddizioni, vissuta nell’ottica dell’unità di intenti e della ricerca di una fantomatica unità, o “bene comune” (che il nazionalismo e l’idea di patria spesso suggeriscono), interclassista e irredentista, un approccio critico, che dia consapevolezza a chi non ha vissuto quegli eventi, ma ne è figlio sia per storia familiare che collettiva, che quella guerra ha drammaticamente segnato l’immaginario, la cultura, la politica e la storia del nostro Paese. E che ha inciso la carne stessa delle centinaia di migliaia di vittime, mutilati, feriti, prigionieri (terribile fu la sorte dei prigionieri italiani, che non ebbero dal nostro governo alcun sostegno materiale, perché considerati vili o disertori). La guerra ha colpito chi l’ha combattuta allo stesso modo delle famiglie a cui queste persone sono state sottratte per essere restituite cadaveri, o non essere restituite affatto; o restituite a volte con devastazioni fisiche e psicologiche inimmaginabili. Perché nella I guerra mondiale tutti gli strumenti di distruzione disponibili (gas, mitragliatori, aerei, artiglieria, lanciafiamme, proiettili dum-dum, sommergibili) furono utilizzati su larga scala e senza limiti”.