Politica

Sfida per il Quirinale: destra, sinistra e nuove alleanze

Archiviate le amministrative, tornano le manovre della grande politica. Partiti in fibrillazione verso la sfida al Quirinale. Berlusconi lo sogna, Giorgia Meloni vorrebbe Draghi. E se nascesse un nuovo Ulivo?

La sfida tra destra e sinistra su Quirinale, elezioni politiche e alleanze.

Archiviate le elezioni amministrative sono riprese le grandi manovre della politica, con la sfida del Quirinale all’Orizzonte.

Un audio rubato di Salvini fa capire come i baci e gli abbracci con Giorgia Meloni siano solo apparenza. Berlusconi sogna il Quirinale, evidenzia che lui è europeista, non sovranista, e corre ad abbracciare la Merkel nella riunione del Ppe. Ma il Cavaliere deve fare i conti con una fronda interna e sono nomi di peso: Brunetta, Carfagna e Gelmini. I tre ministri lamentano di essere tagliati fuori nel rapporto con il vertice. Lo fanno in modo pubblico e l’obiettivo non è solo Berlusconi, ancor di più lo è Tajani, che gestisce di fatto Forza Italia e, in fondo, la critica è alla stretta alleanza con Meloni e Salvini.

Non è un urlo nel deserto, perché qualcosa si sta muovendo. In una intervista, un ex democristiano come Rotondi, avverte che tra destra e sinistra vince la sinistra, ma tra centro e sinistra è il centro a vincere. Così, spinge per spostare la coalizione di centrodestra verso una posizione moderata. Un messaggio a Berlusconi e un sostanziale sostegno ai ministri di Forza Italia. Del resto ha fatto notizia l’incontro tra Renzi ed esponenti vicini a Forza Italia.

Elezioni amministrative, partita politica ad alto rischio per i leader

Calenda non fa mistero di puntare alla formazione di un’area liberal democratica e non perde occasione per contestare Letta e soprattutto i 5Stelle. Non solo, ma Calenda manda segnali anche a l’area liberal della Lega, punta su Giorgetti.

È chiaro che il sogno per gli anti grillini di sinistra e gli anti sovranisti di destra è quello di creare una alleanza che raccolga l’Italia moderata e gli elettori delusi che non votano più.

Potremmo chiamarlo il partito di Draghi, quello della governabilità, dell’europeismo. Comunque, il presidente del Consiglio si tiene ben lontano da questi giochi politici, consapevole che la sua forza è proprio quella di non apparire schierato. Può polemizzare con Salvini senza apparire di sinistra, boccia le proposte di Franceschini senza essere arruolabile a destra. Non a caso gli elettori di centrosinistra lo considerano più vicino alle loro posizioni, mentre è esattamente il contrario per gli elettori di centrodestra. Difficile trovare in passato un equilibrio simile.

Per Draghi al Quirinale ci sarebbe un plebiscito in Parlamento.

Se non accadrà sarà per altre ragioni. Berlusconi è tornato a recitare un ruolo politico, spera nella corsa per il Quirinale, ma avverte che Draghi deve restare al suo posto per guidare il Paese. Chi vorrebbe mandare subito il premier al Colle è Giorgia Meloni. Di Berlusconi abbiamo detto, Salvini ondeggia: una parte del suo partito, quello del nord e degli imprenditori, spera che sia Draghi a guidare la ripresa da Palazzo Chigi. Inoltre la concorrenza con la Meloni ora lo vede sfavorito. Salvini però riesce a dare il meglio nella bagarre politica e lo sa bene, quindi ogni tanto è tentato dallo strappo, oppure dalla voglia di anticipare una competizione politica. L’elezione di Draghi potrebbe essere la strada per le elezioni anticipate.

A sinistra il voto non lo vogliono. Se a destra la coalizione dà segni di sofferenza, a sinistra non è nemmeno nata. È solo nei sogni di Letta e forse di Conte. Le amministrative hanno dato fiducia e inducono all’ottimismo, ma se si andasse a votare nella prossima primavera il rischio è che ogni forza vada per proprio conto, mentre a destra, per convinzione o necessità, la coalizione si ricompatterebbe.

Letta vorrebbe unire Renzi, Calenda, Conte, Bersani e altre forze sparse in un nuovo Ulivo. Ma Renzi e Calenda non vogliono nemmeno sentire parlare dei 5Stelle. E di conseguenza anche Conte si tiene alla larga da quei due. E i suoi fedelissimi ricordano che Calenda si dissociò subito dal governo giallo-rosso e Renzi fu l’artefice della caduta del Conte 2.

Vista così la situazione potrebbe apparire cristallizzata. Ma non è così. I 5Stelle stanno affrontando la più grave crisi della loro pur breve storia. Conte ha riunito i gruppi parlamentari per comunicare la nomina dei suoi vice, indicando la Taverna come numero due. Le scelte non sono piaciute, molti parlamentari hanno abbandonato la riunione. C’è malessere per i disastrosi risultati elettorali, per aver sacrificato la Appendino, nessun incarico nazionale, e la Raggi lasciata sola a Roma. Il richiamo ai valori originari del movimento non infiamma alcuno. La scissione sempre temuta o evocata è una opzione. Una scissione potrebbe determinare una parte favorevole all’intesa con il Pd. Un ruolo ridimensionato, un peso minore nell’alleanza potrebbe riaprire il discorso anche con Calenda, che, dopo il voto di Roma, vorrebbe assumersi il ruolo di federatore di un’area liberal. Quel 20 per cento di consensi ottenuti a Roma, se non utilizzati per costruire qualcosa di più ampio, non servirebbero a nulla. Per questo tra aperture, battute e avances, il fondatore di Azione cerca di porre le basi per un progetto politico.

L’elezione del Capo dello Stato è una occasione per costruire nuove alleanze. Se il centrodestra presenterà veramente Berlusconi, la risposta potrebbe avvenire con l’indicazione di un candidato centrista, ora più vicino all’area che guarda a sinistra, ma non ostile all’area moderata del centrodestra e, sicuramente, favorevole a Draghi. Su quella proposta potrebbe determinarsi una aggregazione che avrebbe anche la possibilità di resistere dopo il voto per il Presidente. Il nome c’è da tempo, lo sussurrano in tanti, con un timore: spesso, come accade in conclave, chi entra papa poi esce cardinale. L’interessato, almeno per ora, si tiene alla larga dalla questione, è silenzioso come mai lo è stato nella sua lunga militanza politica.

Il nome è quello di Pierferdinando Casini.

Lui, nato democristiano, fedelissimo di Forlani, che si staccò dai popolari insieme a Mastella, quando questi si allearono con la sinistra, che fino al 2008 è stato con centrodestra e con Berlusconi. Per uno strano gioco del destino potrebbe essere, inconsapevolmente, il federatore di un nuovo Ulivo.

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