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Squid Game, un fenomeno che divide: cosa ne pensano i ragazzi aquilani

Squid Game è la serie coreana che impazza tra gli adolescenti. Genitori e figli: due punti di vista. Cosa fare ce lo spiega la terapeuta Gioia.

Squid Game, adolescenti e genitori. Il fenomeno ha dimostrato di essere inarrestabile. La voce dei ragazzi e genitori aquilani. A seguire le conclusioni della terapeuta Chiara Gioia.

Squid Game, ne avrete senz’altro sentito parlare. È la serie che ha battuto tutti i record con nove episodi distribuiti sulla piattaforma Netflix. La serie scritta e diretta dal sudcoreano Hwang Dong-hyuk è un mix di thriller e crudeltà che ha risvegliato il dibattito sulle condizioni sociali del paese asiatico, oltrepassando ogni confine.
Ovunque si parla di Squid Game, anche nelle scuole. Allora Il Capoluogo ha chiesto “informazioni e curiosità” sul fenomeno del momento a ragazzi aquilani.

La voce dei ragazzi – Vi anticipiamo: tutti hanno guardato almeno una puntata, chi è “rimasto fuori” è in procinto di farlo.

“Ho cominciato a guardare la serie perché ne parlavano tutti e allora mi sono incuriosita. Mi è piaciuto, ci sono azione e suspence insieme” – così Maria, 15 anni.

“Non guarderò la seconda puntata, l’ho trovato abbastanza violento e crudo, oltretutto non mi ha incuriosito” – afferma Andrea, 15 anni. “Gli attori sono indubbiamente bravissimi, questo voglio evidenziare insieme al fatto che le scene violente sono comuni ad altre serie che conosco e che abbiamo sotto gli occhi da un po’. Per questo non mi spiego come su Netflix sia andata al top immediatamente”.

“Ho potuto vedere solo parte della prima puntata insieme ai miei genitori che hanno stoppato immediatamente l’episodio. Vorrei guardare tutta la serie, ma non posso” – Daniele, 12 anni.

“A scuola se ne parla parecchio. A ricreazione, all’ingresso, nei momenti di pausa. Incuriosisce. Se la mia amica la guarda come faccio a non capire di cosa si tratta anch’io?” –  Sara, 16 anni.

“Ho visto tutti gli episodi, da subito. Uno dietro l’atro. Mi è piaciuta” – Daniele, 18 anni.

“Se ne parla, ma nessuno l’ha vista nella mia classe. A noi piace Tik Tok” – Davide, 8 anni.

L’esperienza di una mamma: Il divieto assoluto non è corretto, parliamo con i nostri figli.

“Mio figlio ha visto solo la prima puntata perché noi genitori l’abbiamo stoppato, dopo aver visto il gioco dell’Un-Due-Tre Stella con un finale macabro, ovvero l’uccisione di uno dei partecipanti. Più volte mio figlio mi ha chiesto di vedere, ma più volte abbiamo detto di no a una cosa così macabra. Da genitore reputo questa serie ampiamente diseducativa, ma la cosa che mi fa più arrabbiare è che una piattaforma come Netflix abbia messo episodi del genere totalmente liberi. Comprendo che è un genere che può piacere, ma ad adulti, non a bambini. Nello stesso tempo ho fatto anche un esame di coscienza chiedendomi come fare con mio figlio più piccolo. E allora mi sono detta che vorrei affrontare con loro il discorso su ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, sapendo che Daniele con i suoi dodici anni può comprendere in un modo, ma Alessandro con i suoi sette anni non ha i mezzi giusti per capire. Non vorrei ritrovarmi in situazioni in cui ho visto giocare bambini a Un-Due-Tre Stella con un finale rivisitato: ovvero dito puntato contro l’avversario insieme all’esclamazione “Sei Morto!” che sostituisce il tradizionale “Stella!”. Il divieto assoluto non è una risposta, ma vorrei far capire loro perché è sbagliato guardare questa serie alla loro età” – così Mariapaola, mamma di due bambini di 12 e 7 anni.

Parola alla terapeuta: “I genitori facciano da filtro”

“In Corea del Sud questa serie è vietata ai minori” – comincia così la psicologa e psicoterapeuta aquilana Chiara Gioia interpellata sulla “febbre” da Squid Game. “Lì sono molto ligi nel rispettare le regole, qui è evidente che manchino controllo e rigidità da un punto di vista psicologico”.

Cosa fare? Come comportarsi da genitore di un adolescente nell’era Squid Game e simili?
“I ragazzi dalla notte dei tempi seguono la moda: ovvero se la massa fa una cosa la faccio anch’io per omologarmi e non restare fuori dai discorsi. Allora il genitore dovrebbe informarsi, capire di cosa si tratta e fare da filtro. Non esiste un decalogo genitoriale, ma bisogna solo inserirsi nel meccanismo e cercare di stare pari passo in mezzo a questo vortice senza freni generato dalla società virtuale in cui viviamo”.

Un tablet e uno smartphone nascondono dei mondi…
“Esattamente. Appunto, in questo caso, il controllo del cellulare del proprio figlio ha una accezione positiva: il genitore può far capire cosa è sbagliato, può aiutare a riflettere e accompagnare un ragazzo nel processo di crescita, momento in cui non si possiede ancora  una capacità di discernimento”.

Cosa fare di fronte la curiosità inarrestabile di Squid Game?
“Parlare, parlare, parlare. Poi analizzare le problematiche riportate nella serie, affrontare il tema della violenza e poi magari guardarla insieme, tenendo conto che evitare la visione resta la scelta migliore” – dice decisa Chiara Gioia. “Se ci sono una buona impostazione e un lavoro costante e serio sui nostri figli, anche la loro capacità di discernimento ha la meglio sull’impatto di persuasione che può avere una serie e tutto ciò che ne consegue”.

La trama di Squid Game

Squid Game racconta la storia di un uomo stravolto da una serie di fallimenti professionali e sentimentali. Fa l’autista a tempo perso, è tornato a vivere con la madre dopo il divorzio dalla moglie, ha una bambina che adora ma alla quale non riesce neppure a fare un regalo di compleanno perché non se lo può permettere. Sempre a corto di denaro, ogni tanto ruba spiccioli di nascosto a sua madre per giocarli alle scommesse dei cavalli. Il suo punto di non ritorno arriva quando scopre che potrebbe perdere sua figlia per sempre perché l’ex moglie e il nuovo marito hanno intenzione di trasferirsi negli Stati Uniti: deve guadagnare dei soldi per dimostrare al giudice che può occuparsi di sua figlia. E l’occasione gli arriva da un misterioso uomo che gli offre l’opportunità della vita: partecipare ad un gioco di cui si sa pochissimo se non che si possono guadagnare molti soldi.
456 persone (tutte ai margini della società) si ritrovano a partecipare al “game” che intrattiene alcuni ricchi annoiati che scommettono sui concorrenti. Devono superare sei prove “da bambini”: un due tre stella, il gioco del calamaro molto in voga tra i bambini sud coreani. Ma non fatevi ingannare dai ricordi da bimbi perché la posta in gioco è davvero alta. Chi vince sopravvive, chi perde viene ucciso. L’ultimo a restare in campo conquista un premio in won che equivale a circa 40 milioni di dollari.

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